
Partiamo da lontano, e precisamente dai vostri primi passi come La Maschera. Come è nata l’idea di formare questa band?
Per caso… conobbi Vincenzo (Capasso, il trombettista) grazie ad un’amicizia in comune. Lui mi spronò a suonare le canzoni che scrivevo in pubblico. Iniziai a scrivere qualche mese prima. Poco dopo ci proposero di partecipare ad un festival e quindi ci fu la necessità di ascoltare quelle canzoni con un arrangiamento più completo. Si aggiunsero perciò alcuni amici.
Ho sempre ascoltato, almeno fino ai vent’anni, rock/blues anni Sessanta e Settanta. Amavo e amo ancora i Led Zeppelin, i Queen, i Beatles ecc… Un annetto fa invece ho approfondito la discografia di Paul Simon, Tom Waits, Salif Keità, Ali Farka Tourè, Louis Armstrong, Sixto Rodriguez, Elliot Smith… e sono finalmente approdato, negli ultimi quattro anni, alla musica della nostra terra. Quella italiana e poi quella in lingua napoletana. Va detto che grandi maestri quali Pino Daniele e Sergio Bruni sono sempre stati presenti nella mia vita, prima marginalmente, poi a fondo.
Come nascono le canzoni de La Maschera? Potete illustrarci il vostro processo creativo?
Credo sia impossibile illustrare la nascita di una canzone. E’ un processo quasi sempre solitario, intimo. Di solito nasce chitarra o piano e voce in una stanzetta. L’istante dopo dimentico come sia potuto accadere e per qualche momento mi dispero!!
Come si è indirizzato, in questi anni, il vostro lavoro di ricerca musicale?
Abbiamo suonato parecchio insieme, abbiam cercato di farlo il più spesso possibile. Per la ricerca musicale, potrei parlare della mia esperienza (ad ognuno la sua) dicendo che ho ascoltato quanta più musica possibile. Poi, incontri fortunati mi hanno portato alla ricerca di altri mondi.
Moltissimo. Daniele è uno dei più grandi musicisti che abbia avuto la fortuna di incontrare. Frequentarlo è un continuo scoprire qualcosa, una sera si va in Argentina, una sera in Turchia, tutti gli altri giorni si sta ‘sfravecati’ su un divano o al tavolo di una trattoria. Indubbiamente è una delle persone che più hanno influenzato il mio modo di vedere la musica. So’ stato furtunato!
Parliamo del nuovo album “ParcoSofia”. Gli undici brani del disco compongono non un concept album in senso stretto, ma piuttosto una raccolta di storie legate dalla stessa origine ispirativa: i vicoli di Napoli. Come nasce questo disco?
E’ la fotografia di ciò che siamo adesso. Sono le storie ‘raccolte’ in questi tre anni dal primo disco. Alcune vissute in questo lasso di tempo, altri appartenenti al passato, come “Palomma ‘e mare”.
Non è un caso che il nome del disco sia stato ispirato dal nome di un parco di Villaricca, in provincia di Napoli. Quali sono le storie di “ParcoSofia”?
Sono storie di eroi di tutti i giorni… persone con la consapevolezza del loro essere semplici. Storie di convivenza miracolosa tra estrazioni e condizioni sociali opposte. Un mondo ‘ideale’ che in questo caso ha una connotazione geografica vera: un agglomerato di case popolari tutt’altro che idilliache...
Quali elementi autobiografici risiedono nelle canzoni e quali invece derivano dalla realtà che vi circonda?

Quanto è stato determinante l’incontro con Laye Ba? Ci potete raccontare di questo incontro che è stata un po’ una svolta nel vostro percorso?
Ci conoscemmo ad un concerto per i cassaintegrati della FIAT (tra l’altro organizzato dal Sepe, utilissimo ancora una volta). Il giorno seguente eravamo a casa sua e venne fuori Te vengo a cercà! Quest’ultima ha avuto la forza di portarci in Senegal, nelle 3 più importanti emittenti televisive del paese, oltre che a contatto con la vita africana. Direi che è stato importantissimo. Mi ha senz’altro avvicinato all’universo della musica del Senegal e del Mali. Probabilmente non avrei ascoltato autori meravigliosi come Baaba Maal, Salif Keità, Wali Seck, Toumanì Diabate e Ali Farka.
Il disco è stato co-prodotto da Claudio “Gnut” Domestico e ha visto la partecipazione di diversi ospiti. Ce li potete presentare?
Al disco hanno partecipato amici veri. Persone con cui abbiamo condiviso tanto. Devo il rapporto con Claudio all’esperienza di Capitan Capitone & i fratelli della costa. Un giorno, per caso, gli dissi “oh Clà, perchè non lavori con noi al disco?”. Tra noi c’è fortissima sintonia, musicale ed umana. Trovo sia fondamentale la partecipazione di persone coinvolte umanamente. E’ stato quasi un modo di far festa. C’è Michele Signore, violinista della NCCP, Arcangelo Michele Caso al violoncello, Michele Maione alle percussioni, Daniele Sepe, Alessio Sollo, Dario Sansone.
Geppino è uno strumento unico, a tratti assurdo! ahahah… lo ‘trovai’ (o lui trovò me) due giorni prima di entrare in studio, durante un concerto. E’ uno degli strumenti del liutaio Geppino Scamardella di Monte di Procida. Geppino (il liutaio) costruisce strumenti senza rispettare i ‘canoni del mestiere’. Forse improvvisa e ciò gli permette di creare suoni unici. Lo strumento ha 12 corde, l’accordatura di una chitarra al 12esimo tasto e un body indecifrabile… a metà tra un mandolino, un cuatro portoricano e uno charango. Fu amore a prima vista!
Il disco procede tra continui rimandi tra Napoli e l’Africa. Un esempio ne è l’iniziale “Te Vengo a Cercà”. Come hanno preso vita questo brano?
Come per gli altri, assolutamente per caso. L’esperienza africana ha influenzato non poco la produzione dei pezzi.
“Case Popolari” è un affresco della Napoli popolare. Chi sono i personaggi di cui cantate?
Case popolari ad esempio è il pezzo “a metà” tra Napoli e Senegal. La strofa racconta di una giungla e perciò il ritmo è incalzante e frenetico, il ritornello è romantico, malinconico; non poteva che dimezzarsi in un valzer mascherato dal sapore partenopeo.

Tra i brani più intensi e poetici del disco c’è sicuramente “Signora Vita”. Com’è nato questo brano?
E’ la storia di una sconfitta, la storia di un incidente. Il desiderio di avere quel qualcosa in più, quella goccia che porta a traboccare il vaso. Il personaggio è come bramoso di qualcosa che non può ottenere… ne è consapevole, ma lo capisce in ritardo.
“Salaam Aleikum” è, invece, nata da un vostro viaggio in Senegal. Ascoltandola mi ha rimandato a certi episodi di “Graceland” di Paul Simon. Come è nato questo brano?
Era il giorno del ritorno a Napoli e cercavo un modo per salutare i bambini del quartiere di Yoff a Dakar. Ci seguivano dappertutto e quando chiesi a Laye Ba come si potesse dire “arrivederci” in Wolof iniziai ad intonare quello che poi sarebbe diventato il ritornello del pezzo. Cominciarono a cantare tutti… Fu in quel momento di estrema commozione che capimmo che il ritornello sarebbe dovuto essere corale.
Dal punto vista sonoro mi ha colpito molto “Senza Fa Rummore”. Come avete lavorato alla costruzione sonora di questo brano in cui spicca il sax di Daniele Sepe?

“Dimane comm’ ajere” ruota intorno al tema della crescita e del diventare adulti. Ci potete parlare di questo brano?
Dimane comm’ ajere affronta due dei temi cardini del “ParcoSofia”: l’infanzia e la tossicodipendenza. Si parla della cattiva strada e gli si da una spiegazione gentile, a tratti romantica. Se il protagonista sbaglia lo fa ingenuamente, per il suo essere curioso, caratteristica tipica dei bambini (di chi “nun è mai cresciuto”). In napoletano tra l’altro “Dimane” può significare tanto Domani quanto Resta. Per questo la morale potrebbe essere: resta così come sei, con i tuoi errori. Gli sbagli sono l’ultima cosa in grado di farci sentire realmente umani.
Come mai avete deciso di rileggere “Serenata” de iMusicalia?
L’ascoltai dalla voce stupenda di Cristina Vetrone delle Assurd. M’innamorai al primo ascolto e la riproposi al mio concerto il giorno seguente. Da allora l’ho suonata ad ogni concerto e non si poteva non accoglierla in famiglia.
“13 Primavere” l’avete addirittura composta a otto mani con Gnut, Alessio Sollo e Francesco Di Bella. E’ d’obbligo che ci raccontiate la genesi di questo brano.

La scena musicale napoletana sta vivendo la sua terza giovinezza. Come giudicate questa fase di rinnovato fermento di cui siete certamente protagonisti?
E’ un momento fortunato. C’è una proposta musicale per ogni genere e ciò non può che far bene alla città. La gente ama di nuovo partecipare a concerti e vivere più da vicino la musica. C’è chiaramente bisogno di un’espansione territoriale ma, anche quella, si sta avvicinando pian piano. L’elemento nuovo della città è senz’altro la collaborazione tra diverse generazioni. La nascita di collettivi come Capitan Capitone e Terroni Uniti ne sono l’esempio. Si sta a stretto contatto e, personalmente, sono felicissimo dell’atmosfera serena che si respira. Mi auguro ci si allontani sempre più dalle dinamiche di competizione che (a mio avviso) stonano parecchio con l’arte, con la musica.
Concludendo come saranno i concerti di “ParcoSofia”?
Belli ci auguriamo! ahahah... noi ci divertiamo parecchio! Saranno senz’altro uno scambio di emozioni. Il pubblico mi sta regalando tantissimo, spero di poter ricambiare nella giusta maniera. Voi tuffatevi, noi proveremo a creare le ‘onde’.
La Maschera – ParcoSofia (Full Heads/Audioglobe, 2017)

Salvatore Esposito
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