Jaco Pastorius, energia, espressività musicale e il messaggio partecipato di Mary

Noto internazionalmente con il soprannome di Jaco, John Francis Anthony Pastorius III è stato un brillante virtuoso del basso elettrico. Con padre musicista di origini tedesche e madre finlandese, ebbe modo di formarsi strumentalmente in America, assorbendo e assimilando i linguaggi e gli stili più disparati. Da bambino, iniziò a suonare la batteria. Un infortunio sportivo lo fece ripiegare sul basso. Sorridente, giocoso, determinato, creativo, amante del mare, si presentava ai nuovi conoscenti come il “miglior bassista del mondo”. In pochi anni, superata l’età dell’adolescenza, maturò una tecnica strumentale invidiabile, in parte riprendendo i fraseggi tipici del “be-bop”. Sapeva contrappuntare in modo esemplare e con vivacità ritmica le melodie principali, vocali o strumentali. Usava in modo particolare gli “armonici” e la tecnica detta (da taluni) del “double rake”. La scelta di una tastiera “fretless” gli permise di rendere “parlante” il basso, accentuando la liricità delle frasi musicali. Dal punto di vista timbrico, affermò un “sound elettrificato” che lo contraddistingueva in modo inconfondibile. Sul palco si muoveva con disinvoltura e aveva la capacità di fare spettacolo anche con numeri a effetto. Inoltre, possedeva una spiccata carica energetica, unita a prestanza fisica. I lunghi capelli su un volto aggraziato, vivace e biricchino, lo rendevano particolarmente simpatico agli occhi del pubblico, il quale lo acclamava come una divo. Fece scuola e, ancora oggi, è riconosciuto come uno dei migliori bassisti di tutti i tempi. Lo ricordiamo quando suonò dal vivo con i “Weather Report” a Milano. Il pubblico era entusiasta e ammaliato dalla loro saggezza sonora e dal vigore esecutivo. In memoria di Joe Zawinul, in passato, abbiamo scritto uno specifico contributo. Era elegante esecutore e fine compositore. Sapeva selezionare con scrupolosità i componenti delle sue band e con Pastorius vide lontano, garantendogli una visibilità che in passato, solo in parte, aveva raggiunto. Certo, fondamentali furono per lui anche le collaborazioni con Paul Bley, Pat Metheny, Lyle Mays, John McLaughlin, Tony Williams e con tutti i musicisti coinvolti nella realizzazione dell’album “Mingus” (Joni Mitchell). “Jacopop” lo chiamavamo in gioventù, soprattutto dopo aver ascoltato “Word of Mouth”, nel quale si distinse come compositore e leader di una big band. La nostra “vision” vuole essere un piccolo tributo meditativo, nel trentacinquesimo della sua prematura dipartita, avvenuta a seguito di una diatriba con il guardiano di un locale notturno, degenerata in tragedia.


Copyright © Paolo Mercurio - Jacopop

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