Jaco Pastorius, energia, espressività musicale e il messaggio partecipato di Mary

Le memorie di Mary 
Jaco si era sposato giovanissimo con Tracy Lee. Dopo la separazione, si risposò con Ingrid Horn-Müller. Dai matrimoni nacquero quattro figli. Mary e i due gemelli, Julius e Felix (a cui dedicò “Twins I & II” del 1982), continuano a seguire le orme familiari, essendo tuttora attivi in ambito musicale.  Due motivi ci hanno spinto a scrivere su Pastorius. Il primo è stato la rilettura di un appassionato, sincero e toccante contributo, scritto dalla figlia per commemorare con “humanitas” il padre. Il secondo motivo (verosimilmente legato al primo) è un recente racconto onirico nel quale, in sogno, abbiamo visto Jaco sul palco che comunicava agli ascoltatori di un’immensa platea il seguente pensiero: «La vita è un soffio: vivetela intensamente, con amore, donandola agli altri». Dopo il sogno, a distanza di alcuni decenni, siamo andati a rileggere la sua biografia, focalizzando quanto devono aver pesato le due separazioni e il distacco dai figli nel suo declino professionale. A partire dal 1976, iniziò a far uso di sostanze alteranti, verosimilmente aggravando la patologia che lo affliggeva. I disturbi bipolari agiscono nel subconscio in modo deleterio, portando l’individuo ad avere atteggiamenti ossessivi che si alternano ad altri depressivi, provocando alterazioni delle emozioni, dei pensieri e dei comportamenti.  “I love you daddy”. Con queste parole, Mary concludeva il testo scritto nel 1994, nel quale configurò certi eccessi comportamentali del padre in un quadro medico ben definito (le traduzioni del testo sono libere): «Jaco Pastorius era un essere umano … era solo un uomo, a volte un uomo molto malato che aveva bisogno di aiuto». Tornando indietro con la memoria, ha ricordato i suoi repentini cambiamenti umorali nei primi anni Ottanta, che iniziarono a essere eclatanti durante il tour giapponese con la sua big band. Inoltre, ha rammentato come al padre vennero condonati diversi comportamenti oltraggiosi, ma questa benevolenza, verosimilmente non giocò a suo favore, perché gli impedì di «ottenere l’aiuto di cui aveva disperatamente bisogno».  Molti considerarono tali comportamenti accettabili per un artista.   «La verità - prosegue Mary - è che mio padre… soffriva di un grave squilibrio chimico, di una malattia maniaco-depressiva (…).  Le sue percezioni distorte della realtà e tutti i comportamenti bizzarri che li accompagnavano potevano essere attribuiti a episodi maniacali che a volte raggiunsero livelli psicotici». Mary ha comunicato di avere ereditato la malattia dal padre. Lontana da certo divismo mediatico artefatto, parlando della propria esperienza, ha voluto far comprendere il lato più umano del padre, i suoi punti di debolezza, che non intaccano minimamente il suo valore artistico, ma semmai permettono di meglio comprendere la sofferenza di tutti quei malati che combattono, senza possedere l’adeguato supporto per difendersi.   Proseguendo nella narrazione della propria esperienza personale, Mary ha anche raccontato che durante le crisi «… niente sembrava reale, tranne la presenza molto reale di qualcosa di nuovo e di estraneo nel mio essere che non mi apparteneva.  (…).  Non ci sono parole né linguaggio per trasmettere con precisione la follia, la perdita e il terribile vuoto che è la depressione clinica … sei lasciato vagare, senza meta, dopo che tutto ciò che sei ti è stato strappato e la tua anima è stata presa da predoni invisibili. Ricordo vividamente quando mi sono resa conto che questo doveva essere il posto dove viveva papà. (…)». A causa del disturbo bipolare, Jaco passò diverse settimane in un centro di riabilitazione mentale. Da parte di Mary è rimasto il rammarico, perché il padre avrebbe potuto essere curato se avesse avuto una vita più lunga, durante la quale avrebbe potuto apprendere, per non ripetere certi errori del passato. Tuttavia, ella evidenzia, “la depressione maniacale non uccise mio padre …”.  Entrò in coma a seguito di un alterco con il buttafuori di un locale notturno. Dopo alcuni giorni di ospedale, il decesso, a soli 35 anni.  
In merito ai suoi album e alle esecuzioni che lo resero celebre è stato pubblicato parecchio. Significative pagine dedicate a Pastorius sono state scritte dall’amico batterista Peter Erskine, nell’opera autobiografica titolata “No Beethoven. La mia vita dentro e fuori i Weather Report”. L’arte esecutiva del bassista americano avrà lungo corso, grazie anche a quei musicisti che hanno saputo e sapranno fare tesoro dei suoi insegnamenti, riferiti al linguaggio musicale e compositivo. Sullo sfondo, rimane intensa la tenerezza umana verso un giovane artista deceduto prematuramente, la cui carriera riservò entusiastici successi e travagliati patimenti. Una tenerezza che invita al “silenzio” interiore e alla meditazione. Ora riposa nell’ “Our Lady Queen of Heaven”, a North Lauderdale. Lì vicino, nel 2008, gli è stato dedicato “Oakland Park”, situato a poche centinaia di metri dal mare, elemento naturale caro a Jaco Pastorius e a numerosi musicisti e compositori, nella cui infinita profondità spirituale, da sempre, gli esseri umani ricercano risposte rispetto alle misteriose origini e agli insondabili enigmi irrisolti della vita.

Paolo Mercurio

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