La frontiera musicale. Musica popolare e Volksmusik in Trentino-Alto Adige/Südtirol

Il filo della memoria scritta
In “La frontiera musicale. Musica popolare e Volksmusik in Trentino-Alto Adige/Südtirol”, Morelli ha riunito gli esiti di pregresse ricerche locali e approfondito numerosi nuovi argomenti, ma nell’economia del saggio ha scelto di escludere il mondo dei cori e delle bande (tanto caro a Marino Anesa), realtà significativa nel panorama musicale regionale.  
L’opera è suddivisa in tre parti, ma è sulla prima parte - “Storia della ricerca etnomusicologica in Trentino-Alto Adige/Südtirol” - che concentreremo l’attenzione. Una storia di “frontiera e di confine” che, tramite il confronto tra due differenti realtà, aiuta ad acquisire consapevolezza e a rendere merito a numerosi ricercatori i quali, secondo distinti approcci metodologici e livelli di approfondimento, hanno dedicato parte della propria esistenza per dare risalto alle tradizioni folclorico-musicali. 
Il primo documento posto in risalto da Morelli è “Sacri canti ovvero Raccolta di varie Canzoni Spirituali Latine”, scritto dal sacerdote Giambattista Michi (1651-1690). Un documento significativo per la conoscenza della musica tradizionale trentina e, più in generale, dell’intero arco alpino.  Successivamente, l’etnomusicologo ha concentrato l’attenzione su “Una raccolta inedita di musiche popolari trentine” (1819), della quale scrisse anche Antonio Carlini, nel 1985, in un “preprint” del Dipartimento di Musica e Spettacolo, Università di Bologna, coordinato da Roberto Leydi.  Nel 1819, le diverse aree comprese nell’impero austriaco entrarono a far parte di un poderoso e pionieristico progetto di raccolta documentale, promosso da Joseph von Sonnleithner (1766-1835), barone e figura di spicco nella vita musicale viennese dell’epoca, essendo peraltro consulente giuridico dell’imperatore e autore di vari libretti d’opera (fra i quali il “Fidelio” di Ludwig van Beethoven e “Faniska” di Luigi Cherubini).  Ai raccoglitori locali, tramite apposito questionario, vennero richieste trascrizioni musicali di canti popolari profani, inni, canti spirituali e melodie delle danze nazionali e popolari. I documenti furono poi inviati a Vienna, città nella quale sono oggi conservati presso l’Archivio della “Gesellschaft der Musikfreunde”. Per un lungo periodo, i materiali della Raccolta Sonnleithner (Sonnleithner-Sammlung) rimasero nell’oblio, ma hanno un indiscutibile valore (sono più di 2000 trascrizioni musicali!) anche perché, per la prima volta, fu possibile evidenziare i punti di contatto e le differenze tra i repertori dell’area trentina e quella sudtirolese.  
Il percorso storico seguito da Morelli prende, poi, in considerazione il manoscritto di Francesco Lunelli, redatto a seguito di un’articolata inchiesta post-napoleonica (1835-1856). Successiva è quella sui canti delle “Venezie”, che portò al completamento della ricerca “Volkslieder aus Venetien” (1864), raccolta da Georg Widter e Adolf Wolf, comprendente duecentocinquantaquattro documenti. La maggior parte dei canti furono rilevati nella provincia di Vicenza, alcuni in Valsugana o in località direttamente confinanti con il Trentino.  
Nel 1882, vi è inoltre da evidenziare l’opera condotta da Nepomuceno Bolognini, il quale concentrò l’attenzione sul repertorio della “maitinade” della Val Rendena, facendo riferimento esclusivo ai testi verbali dei canti e ai contesti sociali esecutivi, senza però riportare le trascrizioni musicali. Nello stesso anno, Gustavo Venturi (1830-1898) condusse ricerche sui canti ladini di Fassa, ai tempi pubblicate in appendice a un testo linguistico.  
Alla fine del decennio, e precisamente nel 1889, Albino Zenatti si distinse nella raccolta di musiche del Trentino meridionale, che venne tardivamente pubblicata nel volume “Canti popolari trentini” (1923), grazie all’interesse dell’allieva Anna Pasetti.  “Canti popolari trentini” è pure il titolo della raccolta di Stefano Persoglia, pubblicata a Trento, nel 1892, con lo pseudonimo di Coronato Pargolesi. Tale raccolta comprendeva trascrizioni musicali rielaborate secondo stile colto, con l’accompagnamento del pianoforte. Tra il 1910-1911, testi di diversi canti popolari regionali furono pubblicati anche nelle riviste “La Paganella” e “Pro Cultura”. 
Nel 1904, fu promosso dal Ministero per la Cultura e da istituti scientifici viennesi il Progetto “Das Volkslied in Österreich” (Il canto popolare in Austria). Per ogni area linguistico-nazionale (dai ruteni ai moravi, dai serbo-croati agli sloveni, dai magiari ai ladini) venne costituito un “Arbeitsausschuß” (Comitato di lavoro), del quale fecero parte eminenti etnografi, dialettologi e musicologi. Nel Trentino Alto Adige venne costituito il “Comitato di lavoro” per il canto popolare ladino, diretto da Theodor Gartner, docente all’Università di Innsbruck, esperto conoscitore delle parlate locali. Il livello qualitativo del Progetto promosso dal Ministero della Cultura fu elevato, come testimoniato anche dalla direzione del “Comitato di lavoro” boemo affidata al compositore Leoš Janáček (1854-1928).
Nel Progetto era previsto di documentare “… tutto ciò che il popolo cantava, nella forma in cui veniva effettivamente cantato, qualunque fosse il registro linguistico, rifuggendo da armonizzazioni o affinamenti estranei all’effettivo uso locale”. La prima Guerra mondiale portò al crollo dell’impero austro-ungarico, da cui conseguì la drastica interruzione delle attività organizzate dai diversi “Comitati di lavoro”. Nel 1918, il principale artefice del Progetto menzionato - l’encomiabile Josef Pommer (nato nel 1845) - si suicidò e tutto il materiale raccolto e catalogato andò disperso. Si deve alla studiosa Gerlinde Haid la (fortuita) riscoperta di tali materiali che, dal 1992, entrarono a far parte del “Corpus Musicae Popularis Austriacae”, pubblicato in volumi monografici dalla Federazione dei “Volksliedwerke” austriaci (dall’Österreichisches Volksliedwerk). Si tratta di un Corpus di rilievo al quale, ancora oggi, fanno riferimento le principali iniziative didattiche organizzate dai diversi “Volksliedwerk” federali. 
Seguendo sempre il filo della musica tradizionale, seppur in rapida successione, meritano menzione anche altre raccolte e pubblicazioni, come quella di Piero Jahier e Vittorio Gui (1919), dedicata ai canti dei soldati al termine della Grande Guerra.  Nel 1926, Angelico Prati diede alle stampe il testo “Folclore Trentino”, comprendente una serie di canti popolari.  L’anno precedente, il musicista e compositore Renato Lunelli (1895- 1967) aveva iniziato a organizzare sistematici rilevamenti musicali sul campo, cercando anche di ricostruire i profili melodici dei testi canori rinvenuti nelle raccolte ottocentesche. 

Gli anni Trenta e Quaranta
Nel filone delle ricerche sul campo, è da menzionare quella condotta, nel 1935, da Giovanni Zanettin, musicista autodidatta e direttore di banda, il quale concentrò la propria attenzione sui canti popolari e i costumi della Val di Cembra. 
Dello stesso anno è la cosiddetta Horak-Sammlung (del 1935), tesa a documentare in modo analitico il rilevante repertorio delle danze sudtirolesi e tirolesi, integrando trascrizioni musicali e brevi descrizioni coreutiche, comparando le diverse varianti esecutive. Autore della raccolta fu Karl Horak (1908-1992), la cui opera è tutt’oggi apprezzata e presa in seria considerazione dai diversi gruppi di ballo che animano il movimento contemporaneo della danza popolare sudtirolese. Gli studi di Horak furono peraltro prodromo alle ricerche condotte da Jörg Bayr e Norbert Wallner, nel 1936, nella Valle dei Mòcheni, primo rilevamento scientifico e sistematico in ambito etnocoreutico effettuato in Trentino, del cui lavoro rimane un’importante pubblicazione, inserita nel progetto “Deutsche Volkstänze” (edito dalla Bärenreiter di Kassel).  
Sul versante musicale, è inevitabile riferire della ricerca attivata, nel 1939, dalla “Forschungs-und Lehrgemeinschaft Das Ahnenerbe 10” (Comunità di ricerca e insegnamento dell’eredità ancestrale) delle SS, presieduta da Heinrich Himmler. Tale comunità comprendeva numerosi settori di ricerca. Quello della musica popolare (Gruppe Volksmusik) venne affidato ad Alfred Quellmalz (1899-1979), la cui attività fu supportata da sei collaboratori, specializzati nei differenti ambiti della ricerca.  Il Gruppo di lavoro ebbe l’opportunità di usare moderni registratori a nastro magnetico (i “K4” della Aeg di Berlino), tecnologicamente avanzati rispetto a quelli usati, per esempio, da Bartók e Constantin Brăiloiu in Ungheria e Romania (Edison, con rullo di cera) o da Milman Parry nei Balcani (con dischi di alluminio). Punto di debolezza dei “K4” era il peso (circa cento trenta kg), che obbligava a difficoltosi spostamenti soprattutto nei luoghi sperduti di montagna, dove il registratore veniva trasportato grazie all’impiego di animali da soma. Opportunamente depurata dalle scorie politico-propagandistiche dell’ideologia nazista, da un punto di vista etnomusicologico, la “Quellmalz –Sammlung” conserva un patrimonio di straordinaria importanza e consta di circa tremila e trecento documenti sonori, contenuti in più di quattrocento nastri audio, prevalentemente registrati tra il 1940 e il 1942. Una documentazione imponente, che non ha raffronti con quella contemporanea svolta nel resto dell’Italia, le cui prime ricerche sistematiche sul campo furono attivate solo negli anni Cinquanta.   
Sempre nei primi anni Quaranta del secolo scorso, si menziona l’opera di Richard Wolfram, che stilò un articolato rapporto etnografico sulle comunità dei Mocheni, indicando preziose informazioni relative alla loro tradizione orale (1942). La sua collezione etnografica è conservata presso il “Salzburger Landesinstitut für Volkskunde” (Istituto statale di etnografia di Salisburgo). Relativamente alla cultura dei Mòcheni, si ricorda anche Giuseppe Šebesta (1919-2005), etnografo, saggista, regista, pittore nonché fondatore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, inaugurato, nel 1968, a San Michele all’Adige. Tale ricercatore, dalla fine degli anni Quaranta, privilegiò la comunità germanofona in Val dei Mòcheni, impiegando metodi di ricerca all’avanguardia che lo collocarono come pioniere nella moderna ricerca etnomusicologica trentina. 
Nel dopoguerra, va posto in primo piano il lavoro svolto dalla “Südtiroler Kulturkommission” e dalla “Gottscheer Kulturkommission”, le quali s’incaricarono di completare e in parte pubblicare le ricerche condotte dai predecessori, tra cui i citati  Horak, Wolfram e Quellmalz. In verità, durante la Seconda guerra i materiali raccolti da Quellmalz rischiarono di essere dispersi, come Morelli ha ben evidenziato nel testo: «A partire dal 1942, depositò tutte le sue collezioni a Berlino, ma in seguito alle crescenti incursioni aeree la sezione Volksmusik dello Staatliches Institut für Deutsche Musifkorschung (istituto statale per la ricerca musicale tedesca) venne evacuata nel piccolo villaggio bavarese di Waischenfeld, cercando di salvare il salvabile. Nel 1946 fu trasferita a Regensburg dove si stava pianificando un nuovo istituto statale di ricerca musicale diretto dal musicologo Bruno Stäblein [Nussbaumer 2001, 310], ma a Quellmalz fu negato l’accesso alla collezione a causa della sua appartenenza alle SS e dell’ambiguità del suo trascorso scientifico all’interno dell’Ahnenerbe [ivi, 321]. Grazie ad amici influenti del Tirolo gli fu permesso di rimanere in Austria e di non venir segnalato alla Germania. Rimasto senza lavoro e con problemi di salute, depressione, mancanza di denaro, svolse varie attività come insegnante di musica, nella regione austriaca del Vorarlberg. Nel 1968 pubblicò finalmente il primo dei suoi tre volumi Südtiroler Volkslieder (Canti popolari sudtirolesi) uscito per i tipi della casa editrice Bärenreiter [Quellmalz 1968]. Gli altri due uscirono solo nel 1972 e nel 1976, con trascrizioni musicali semplificate, monodiche, prive di indicazioni agogiche e di segni fonetici nei testi dialettali [Quellmalz 1972; 1976]. Il quarto volume, previsto per la trattazione scientifica del materiale, non venne mai pubblicato»

Dagli anni Cinquanta ai giorni nostri
Arriviamo al 1954, anno in cui Alan Lomax e Diego Carpitella operarono a Moena e, poi, a Resta, in Val Venosta. Del loro passaggio rimane traccia presso gli “Archivi di Etnomusicologia” dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma (raccolta n. 24). 
Molto sinteticamente evidenziamo che la seconda parte del libro di Morelli è interamente dedicata agli esiti “istituzionali” delle ricerche promosse dalle due Province autonome di Trento e Bolzano, per la tutela-conservazione-promozione della musica, del canto e della danza popolare nei rispettivi territori. Si tratta di un confronto sistematico e critico (supportato da una mole di numeri, dati, istituzioni …), che prende come riferimento generale l’anno 2018, facendo intuire che la situazione non era dissimile negli anni precedenti. La terza parte del testo è tutta riferita alla sincronia, in quanto prende in esame, con sguardo comparativo, i gruppi di musica “popolare/Volksmusik” più rappresentativi nei diversi territori della regione.
Siamo certi che “La frontiera musicale” resterà una pubblicazione basilare nella storia dell’etnomusicologia trentina, in quanto fornisce (con metodo) un’infinità di informazioni, le quali inducono a riflessioni sugli usi e consumi delle tradizioni popolari, condizionati dagli orientamenti culturali seguiti dai dominatori del momento. Riflessioni che, per alcuni versi, trovano riscontri nel versante compositivo in quanto, nel corso dei secoli, molti hanno utilizzato la musica popolare per elaborare armonizzazioni seguendo stilemi colti, talvolta, inconsapevolmente, snaturalizzandola. Sull’argomento sorvoliamo, rimandando all’esteso dibattuto in ambito etnomusicale trentino nel quale, a partire dagli anni Settanta, Morelli ha avuto modo di discettare in diverse pubblicazioni.  Ciò premesso e volgendo lo sguardo al futuro, stimiamo che nelle pieghe de “La frontiera musicale” sia possibile leggere un messaggio profondo, teso a stimare le comunità per il loro livello di “humanitas musicale”, che dovrebbe essere considerato uno dei fondamenti delle società civili avanzate e libertarie, senza divenire preda di interessi localistici e ideologici o carne da macello commerciale per effettuare arbitrari rimaneggiamenti culturali in stile “Truman show”. 
In limine, anticipiamo che, dal crogiuolo artistico di Renato Morelli, diverse produzioni stanno per trovare nuova luce. In particolare, il volume con DVD allegato “Voci del sacro. Due generazioni di canto a cuncordu alla settimana santa di Cuglieri”, dedicato alla memoria di Pietro Sassu, inoltre, una serie di filmati sui personaggi del Circo, corrispettivi a una pionieristica investigazione terminata negli anni Novanta, accuratamente condotta da Alessandra Litta Modignani e Sandra Mantovani. Il percorso artistico di Morelli prosegue con determinazione culturale, concepito in promozione di valori umani condivisi, senza dei quali risulterebbe arduo comprendere i livelli di coesione sociale e il senso dei significati più profondi espressi dalla musica popolare.  

Paolo Mercurio

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