Virtuoso del cordofono ad arco erhu, e figlio d’arte del leggendario Guo Jun Ming, Guo Gan è uno dei musicisti cinesi più rappresentativi, e ripercorrere la sua carriera solista vuol dire passare in rassegna una lunga serie di successi, a partire dai suoi primi passi mossi a Parigi dove ha studiato presso la Scuola Nazionale di Musica di Fresnes, e dove ha dato vita alla “Dragon Jazz” la prima jazz band cinese, per finire con le tante collaborazioni in ambito classico e world e i tanti dischi pubblicati negli anni, che gli hanno consentito di guadagnare una grande popolarità in tutto il mondo. Grazie all’encomiabile impegno e alla dedizione di Felmay, etichetta da tempo impegnata nella diffusione delle musiche dell’Asia, negli ultimi anni abbiamo avuto modo di ascoltare alcuni dei suoi lavori più belli ed intensi, ovvero “Scended Maiden” come solista, “Yue Luo” in duo con Yu Lingling e il più recente in trio “Jasmine Flower”. A distanza di appena un anno da quest’ultimo, Guo Gan ha recentemente dato alle stampe “Himalaya”, disco nel quale ha raccolto undici brani, di cui nove composti per l’occasione e due tradizionali cinesi, eseguiti per solo ehru. Ad aprire il disco è l’immaginifica title-track, scritta dal musicista cinese per il documentario francesce “Himalaya Face Aux Abelles Géantes”, a cui segue “Shadow Puppets”, brano ispirato al teatro delle ombre, che si caratterizza per una splendida linea melodica. Il suono evocativo ed intenso dell’ehru, ci conduce prima alla scoperta della città proibita di Pechino a cui è ispirata “The Forbidden City”, per poi schiuderci le porte della cultura cinese con “Tea-Girl”, nella quale è descritta la scena di una ragazza che porta il thè al mattino presto. Se il fascino di “Beijing Opera” ci schiude le porte del Teatro dell’Opera di Pechino, “The Lantern Festival” invece è ispirata ad una delle feste più importanti della tradizione cinese ovvero il Festival Delle Lanterne. Il gioco degli scacchi a cui si ispira “Go Chess” e la romantica melodia di “Water Woman” ci conducono verso il finale in cui troviamo i due capolavori del disco, ovvero “Horse Race”, che evoca le antiche corse dei cavalli delle feste mongole ed in cui Guo Gan rilegge una melodia tradizionale attraverso la sua peculiare tenica, e la struggente “Reflections Of The Moon” ispirata da un paesaggio notturno e solitario, illuminato dalla sola luna. Nonostante Guo Gan viva spesso lontano dalla sua terra d’origine, questo splendido album ci dimostra il suo fortissimo legame con la tradizione musicale cinese, della quale può essere definito come uno dei simboli.
Salvatore Esposito
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