Registrare un concerto nella grotta di San Giovanni d’Antro è non solo un atto di radicamento, ma significa misurarsi con un luogo che non è semplice contenitore, ma protagonista. Franco Giordani e Alvise Nodale lo sanno bene: nel loro incontro acustico, voce e chitarra diventano veicoli di una memoria stratificata, mentre la grotta restituisce tutto amplificato, trasformando ogni nota in un’onda lunga, quasi liturgica. Il titolo unisce i rispettivi due precedenti album ("Truòisparis" e "Gòtes"), ma il cuore del progetto sta nell’incontro: due voci, due chitarre, due mondi linguistici e poetici che dialogano senza sovrapporsi. “Truòis e gòtes” raccoglie dodici brani dal repertorio dei due cantautori, più un inedito – “A se vec sempre la luna” – eseguito insieme a Nicole Coceancig e Leo Virgili. È un disco che fa della semplicità un atto di verità: due voci, due modi di interpretare la lingua friulana, due poetiche che si avvicinano e si distanziano creando un equilibrio naturale.
I temi attraversano storie personali e collettive: il Vajont come ferita che non cessa di sanguinare, i paesi abbandonati dell’arco alpino, i destini interrotti come quello del calciatore Ruggero Grava, i gesti quotidiani che diventano rito quando vengono narrati. La registrazione restituisce fedelmente l’acustica naturale della grotta, trasformando ogni nota in una vibrazione quasi sacra. Ogni brano acquista, infatti, una risonanza che non è soltanto fisica: sembrano appartenere a un tempo più vasto, a una dimensione in cui memoria e paesaggio si fondono. Giordani e Nodale non cercano effetti speciali: si affidano alla forza della narrazione, alla sincerità dell’esecuzioni, al suono delle parole friulane e alla delicatezza delle loro chitarre, facendo convivere memoria e contemporaneità. Il risultato è un documento prezioso e poetico, un disco che non vuole stupire ma accompagnare, invitando l’ascoltatore a camminare attraverso i sentieri della musica friulana, con passo lento e consapevole. In un’epoca iperproduttiva, “Truòis e gòtes” rappresenta un gesto controcorrente: un elogio della presenza, della cura, del silenzio.
Salvatore Esposito
