Vincitrice del Premio Ciampi 2024, Nicole Coceancig con “Zohra” compie uno dei gesti più radicali e necessari della recente canzone d’autore italiana: porta la scrittura friulana dentro un territorio quasi inesplorato, quello del racconto civile costruito come un concept narrativo unitario, rigoroso e profondamente politico. Il disco nasce dall’esperienza diretta dell’autrice all’interno di una comunità per MSNA, dove ha potuto osservare da vicino i meccanismi, le gerarchie e le vulnerabilità che caratterizzano la rotta balcanica e racconta la vicenda di una ragazza pakistana che, a soli quattordici anni, tenta di raggiungere l’Europa attraverso la rotta balcanica: un percorso che i migranti chiamano The game, un “gioco” fatto di violenze, fallimenti, tentativi ripetuti, e di un coraggio che sfiora la disperazione. Il merito della Coceancig sta nell’aver trasformato questa storia individuale in una lente attraverso cui osservare le contraddizioni del nostro tempo. La sua scrittura è lucida, tagliente, mai ricattatoria: resta sempre accanto al respiro della protagonista, evitando tanto la retorica quanto il didascalismo. Il friulano, lungi dall’essere un filtro, diventa uno strumento espressivo potentissimo: avvicina, rende intimo, porta alla superficie una dimensione emotiva che altrove rischierebbe di stemperarsi nella semplice cronaca. Gli arrangiamenti di Leo Virgili sostengono tutto questo con un’intelligenza rara. Chitarre, tastiere e sottili trame elettroniche non decorano: respirano con la voce, amplificano senza invadere, costruiscono un paesaggio sonoro che accompagna la narrazione, lasciando emergere ogni vibrazione emotiva. La voce della cantautrice friulana — spoglia, carnale, riconoscibilissima — non interpreta, ma entra nel vivo di ogni brano. Sono storie che affrontano il tema dei migranti in tutte le sue complesse sfaccettature: i trafficanti di esseri umani, le tratte percorse stipati in un’auto o nel retro di un camion, la paura che diventa compagna costante, le forme di solidarietà inattese, la violenza — fisica, psicologica e istituzionale — che segna i corpi e le memorie. Aperto dallo strumentale “Dentri di un furgon”, il disco entra nel vivo con "Di trop che o ai cjaminat", in cui la protagonista racconta la sua condizione di fuggitiva costretta a travestirsi da uomo per sopravvivere, un destino comune a molte donne sole sulla rotta balcanica. La tensione emotiva resta alta con “Clamimi par non” a cui la Coceancig affida un immaginario dialogo con un trafficante di esseri umani, e le struggenti “Cjare mame” e “Rose Sveade d’Unviâr”. Il vertice del disco arriva con “Silos”, brano che premiato con la ,enzione per il Miglior Testo al Premio Andrea Parodi 2025 e il cui titolo al grande edificio triestino ottocentesco, un tempo deposito di granaglie e poi luogo di accoglienza per profughi istriani, fiumani e dalmati. Oggi, invece, è un simbolo di degrado e disumanizzazione: uno spazio invivibile, privo di pavimenti e servizi, dove chi giunge lungo la rotta balcanica attende il riconoscimento dormendo nel fango, tra ratti e gelo. Coceancig, però, sceglie una strada diversa dalla semplice denuncia. “Silos” è un dialogo immaginario tra Zohra e Maria, la madre di Cristo: una sovrapposizione potente tra l’Occidente cristiano e la realtà che esso produce e tollera. Così, “Zohra” è anche, e forse soprattutto, una riflessione sulla condizione femminile. La protagonista parte solo perché travestita da uomo: un paradosso doloroso che rivela la negazione profonda dell’autonomia femminile. Completano il disco il canto di speranza “La Liende Dal Silveri” giocata su una raffinata melodia in cui spicca l’intreccio tra archi, corde e voci e la villotta tradizionale “A no‘nd è mai stade ploe”. Ad impreziosire il tutto il booklet con traduzioni, note e riflessioni critiche che trasforma il disco in un oggetto narrativo complesso, quasi un’opera aperta. “Zohra” è, dunque, un disco che attraversa e mette in discussione confini fisici, culturali e morali. È un’opera che non consola e non attenua: illumina, espone, interroga. La scrittura di Coceancig, insieme all’impianto musicale e narrativo, costruisce uno dei lavori più solidi, consapevoli e urgenti della stagione italiana. Come la sua protagonista, questo album non chiede permesso. Cammina. E ci costringe a seguirla.
Salvatore Esposito
