Pubblicato da Muziekpublique, l’organizzazione non profit che dal 2008 anima Bruxelles con un ampio ventaglio di festival, concerti e progetti didattici dedicati agli strumenti musicali, nonché impegnata nel sostegno e nella produzione artistica di musicisti residenti in Belgio attraverso una propria etichetta discografica, “Diboli” rappresenta il terzo album dei Viaggiatori – Tamala, in mandinka. Il titolo rimanda a un villaggio al confine tra Senegal e Mali, terra d’origine degli antenati del carismatico lead vocalist Mola Sylla. Pubblicato verso la fine del 2024, questo lavoro giunge a tre anni di distanza da “Lumba”, album che avevamo già avuto modo di apprezzare e recensire in queste pagine.
Nel frattempo il trio è divenuto un quartetto composto dai senegalesi Mola Sylla (voce, piccola kora, kalimba e percussioni), in Europa dalla seconda metà degli anni ’80 e da tempo residente ad Amsterdam, e Bao Sissoko (kora, calabash e voce), radicato a Bruxelles, e dai fiamminghi delle Fiandre Wouter Vandenabeele (violino e voce) e Olivier Vander Bauwede (armonica a bocca, chitarra e voce), quest’ultimo entrato stabilmente nella band ma già presente come ospite nel disco precedente.
Seppur lungo poco più di mezz’ora, “Diboli” seduce per la sua grazia acustica e per la qualità di sei composizioni che fanno un passo avanti per il ruolo dell’armonica blues che si integra magnificamente in un tessuto sonoro già ricco di intrecci, tra voce estesa e strumenti acustici in un equilibrio fluido e suggestivo.
L’album si apre con “Garap”, composizione di Sylla e Sissoko, cantata in wolof, il cui titolo significa “Albero”: simbolo di natura e nutrimento, è un invito alla protezione della terra madre. Prosegue con “Xeesal” (“Sbiancare la pelle”), che affronta il tema dell’identità e delle pressioni sociali legate all’apparenza, con Sylla che si rivolge a un serpente come metafora del desiderio di cambiare pelle. La musica di Tamala, profondamente segnata dall’eredità dell’Africa occidentale, si tinge di sfumature folk e blues in “May Ma Sara”, singolo del disco, una canzone d’amore dall’incedere coinvolgente, perfino danzante, composta in wolof dal duo africano: dove l’armonica apre il brano, che si sviluppa con l’ingresso di violino, kora, kalimba e percussioni. Invece, “Kiñaan” (“Gelosia”) è un altro invito al rispetto e all’accettazione, con arpeggi di kora che si intrecciano a violino e armonica, mentre “Alkebulan”, strumentale ispirato agli scritti dello storico senegalese Cheikh Anta Diop, evoca l’antico nome dell’Africa, “Madre dell’umanità” o “giardino dell’Eden”. Qui violino, voce, calabash, percussione ed effetti sonori costruiscono un sorprendente suono “primordiale”. Chiude l’album la title track, cantata in lingua polaar: un inno alla socialità e alla cooperazione, evocando i rituali del raccolto e della condivisione come fondamento della sopravvivenza comunitaria, scandita dall’andamento pentatonico che culla e affascina.
“Diboli” è world music nel senso di naturale fusione, che nasce dall’intesa di quattro musicisti capaci di trasmettere un’emozione profonda: un’architettura sonora che sa da dove proviene, ma che nella sua attualità riesce a farsi intimamente universale.
Ciro De Rosa
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