Ammar 808 – Club Tounsi (Glitterbeat, 2025)

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Bentrovati/e nelle festose, calde notti soniche accese da Sofyann Ben Youssef, in arte Ammar 808, producer tunisino residente in Danimarca, il cui nom de plume si ispira alla leggendaria Roland TR-808, celebre drum machine che ha segnato la club culture degli anni Ottanta. Ripercorrendo in breve la sua discografia, ricordiamo l’esordio folgorante di “Maghreb United” (2018), seguito dal visionario “Global Control/Invisible Invasion” (2020), incursione nell’universo sonoro del sud dell’India durante una residenza nel Tamil Nadu. Successivamente, Sofyann ha pubblicato l’EP Super Stambeli (2023), rilettura contemporanea della tradizione afro-tunisina, con al suo fianco Belhassen Mijoub – voce, guembri e qraqeb – e i producer di elettronica Deena Abdelwahed e 3Phaz. Pochi mesi fa è uscito “Live at Another Sky Festival” (2025), che fissa la performance live al Café OTO di Londra. È la volta ora di “Club Tounsi”, lavoro che rivolge l’attenzione al mezoued, genere emerso negli anni ’50 del Novecento, in un contesto di intensa urbanizzazione, quando i flussi migratori dalle aree rurali alle città tunisine diedero origine a nuove espressioni musicali popolari. Lo stile, che è stato definito “rurbano”, ha origine da uno strumento musicale – il mezoued – che designa anche la cornamusa che lo caratterizza, composta da un otre in pelle di capra, con doppio chanter unificato e due campane terminali in corno bovino. 
“È la musica degli emarginati e dei diseredati, a lungo disprezzata dalla società tunisina benpensante. È nata con gli immigrati e la classe operaia"
, afferma Ammar 808. Una musica che ha resistito allo stigma sociale e si è trasformata in patrimonio condiviso: "È cresciuta da quella stigmatizzazione ed è diventata qualcosa che oggi parla a tutti i tunisini, perché affonda le sue radici in tutta la musica disponibile in Tunisia. Nello stile mezoued si trovano canti devozionali sufi, melodie malouf, scale arabe e antichi canti popolari, tutti parte dello stesso repertorio. Sebbene i testi parlino spesso di difficoltà e del dolore dell’amore, la musica mezoued vuole far festa. E il ritmo è la chiave. Nell’album c’è un ritmo che ritorna spesso. Si chiama fezzani ed è senza dubbio il ritmo tunisino per eccellenza. Appena iniziamo il medley fezzani alle feste di matrimonio, tutte le mani si alzano in aria. È il momento della pista da ballo. È per la parte finale della notte, quando tutti sono accaldati e sudati!”. L’obiettivo di “Club Tounsi” è quello di rinnovare il linguaggio espressivo del mezoued, proiettando questa forma musicale festiva nel XXI secolo attraverso l’uso di bassi saturi, loop reiterativi, distorsioni, sintetizzatori stratificati e pattern ritmici programmati su drum machine. Ma la componente acustica rimane centrale: ci sono la cornamusa
tradizionale (mezoued, suonata da Montassar Jebali), il flauto ney (interpretato da Naoufel Manaa e Mohammed Ben Salba), le percussioni tradizionali (Imed Rezgui), e le voci di alcuni tra i cantanti più rappresentativi della scena tunisina: Brahim Riahi, Mariem Bettouhami e Mahmoud Lahbib. Il risultato non è un semplice remix della tradizione, ma una sovrapposizione organica di strati acustici ed elettronici, dove il materiale sonoro originario non viene diluito, bensì valorizzato in tutta la sua profondità. Ad aprire l’album è “Douri Douri”, che introduce l’ascoltatore in un paesaggio sonoro ibrido in cui ritmi digitali ed elementi percussivi tradizionali (darabuka) si fondono con bassi pulsanti, inserti di synth e il respiro lontano della cornamusa. Su tutto svetta la voce cantillata di Brahim Riahi, in una tessitura devozionale. Segue “Ah Yallila”, dove il vigore elettronico si intreccia alla coralità del mezoued. Le voci di Bettouhami e Lahbib — quest’ultimo tra i massimi esponenti viventi della vocalità mezoued — si alternano in un dialogo incalzante. “Brobba” è un crescendo energetico guidato dalla voce roca e appassionata di Mahmoud Lahbib, sostenuta da un contrappunto di synth, percussioni, fiati tradizionali e cornamusa. La canzone
celebra l’amore popolare, la bellezza femminile e il desiderio, con Fattouma — la musa del brano — descritta come “una candela nella notte", simbolo di sensualità ed eleganza. “Questa traccia è molto più di una semplice canzone d’amore: è una celebrazione dell’ammirazione e della comunità, mentre l’amore si diffonde come un incendio nel quartiere. Ascolta e lasciati travolgere dalla bellezza!” La poetica amorosa prosegue con “Lelliri Yamma”, che si muove su un registro lirico-intimistico, catturando l’intensità emotiva dell’amore autentico. Con “Aman Aman” si entra in un territorio più rarefatto: il brano si apre con ambientazioni sintetiche, a cui segue la voce di Bettouhami filtrata da autotune e vocoder. Il canto, sospeso tra malinconia e tensione, racconta il dolore della separazione: quando l’amato parte per l’estero, “lasciando dietro di sé il profumo del gelsomino". Climax spirituale dell’album è “Rakeb aalHamra” (A cavallo del Cavallo Rosso), afferente alla tradizione sufi. Si tratta di una composizione visionaria, che invoca la figura di Hedhili come guida spirituale. Il canto estatico di Riahi si intreccia con il fraseggio del ney, dal timbro ruvido e ondulato, e con le incursioni del mezoued, su un fondale di bassi profondi e percussioni rituali. Segue “Eddeym Allah”, un brano ipnotico e penetrante, che mette in tensione lirismo poetico e devozione
mistica. La riflessione sull’impermanenza dell’esistenza si contrappone alla presenza eterna di Allah. La struttura musicale si costruisce attorno a un ostinato ritmico e alle improvvisazioni della cornamusa, con un’intensità emotiva che resta impressa. In chiusura, la leggerezza contagiosa di “Tichtiri Cherbak”, sostenuta da un groove trascinante che fonde drum programming e strumenti acustici. È il ritratto affettuoso di una studentessa che trova gioia nei piaceri semplici: feste, amiche e gomme da masticare. Un piccolo inno pop che racchiude lo spirito ribelle e spensierato della giovinezza, in contrasto con le aspettative sociali. “Club Tounsi è un ponte tra luoghi e tempi”, afferma Sofyann Ben Youssef. Un clamoroso atto radicale, che ripensa una tradizione sonora amplificandone la portata culturale e rilanciandola nei processi musicale transnazionali contemporanei. 


Ciro De Rosa

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