Grecia Albán è una giovane artista – cantante, strumentista e compositrice – dell’Ecuador, nata a Latacunga, all’ombra del vulcano Cotopaxi, cresciuta nell’Oriente amazzonico del Paese, e infine attiva come musicista, gestora culturale e docente, prima a Quito e oggi a Guayaquil. Giovane, ma non alle prime armi. Grecia ha infatti al suo attivo un precedente album personale (“Mamahuaco”, del 2018) e svariate partecipazioni a progetti collettivi, tra cui Afroponcho (incontro di musicisti dell’Ecuador, del Brasile e di Capoverde) e Malamaña, oltre a composizioni di musica per film.
“Nubes Selva” è il suo secondo album personale come autrice e interprete vocale, pubblicato dalla newyorchese Folkalist records, etichetta specializzata in musica folk “ibrida”, di fusione, dal Sud globale. Si presenta come un lavoro intenzionalmente identitario, nel quale Grecia prova a sincretizzare le sue molteplici anime musicali, i paesaggi naturali e sonori connessi al suo vissuto, le sue diverse radici culturali.
“Nubes selva” fonde assieme tutti questi elementi, seguendo una logica “glocal”: da un lato, prende ispirazione dalla ricchezza sonora del paesaggio umano e naturale dell’Ecuador, evocandone ritmi tradizionali, ritualità ancestrali, suoni silvestri e l’uso, in alcune canzoni, della lingua amerindia Kichwa, accanto allo spagnolo; dall’altro, ne propone una sintesi dal linguaggio decisamente moderno e “globale”, che include il pop, il jazz, l’elettronica. Ma è un linguaggio di fusione che – va detto – è ormai comune a tanta musica d’autore del subcontinennte latinoamericano.
In effetti, Grecia Albán appartiene a una generazione di musicisti latinoamericani ben radicati nel folk locale, e che però possiedono spesso anche una formazione accademica (Grecia ha studiato violoncello, musica contemporanea e gestione culturale) e frequentano generi globali mainstream. Senza trascurare un’identità folk regionale più ampia rispetto a quella locale o nazionale, cioè quella latinoamericana, ben presente in questo album, in cui si alternano ritmi caratteristici dell’Ecuador ed altri latinoamericani. Il tutto, trattato con estrema libertà, in una produzione di studio molto ricca, in cui spiccano la varietà delle percussioni (il set dei tamburi del candombe – “chico”, “repique” e “piano” - guasá, cununo, cajón, congas, bongó, ecc.), la voce energizzante dei fiati (clarinetti, trombone, tromba), che rimandano al jazz ma anche alle bande di ottoni che spopolano nello spazio musicale andino contemporaneo, e un variegato parco di tastiere, sintetizzatore e cordofoni vari (chitarra, cavaquinho, ronroco). Al basso (ma anche ad altri strumenti e negli arrangiamenti) troviamo Alex Alvear, un musicista ecuadoriano con una solida esperienza internazionale, specialmente negli States.
Grecia Albán, oltre ad essere la voce solista nell’intero album, è autrice dei testi e delle musiche, queste ultime assieme a Miguel Sevilla, che è anche il produttore del disco. I crediti del disco lasciano comunque intravedere un lavoro anche collettivo, con puntuali collaborazioni creative di altre figure.
Una parte importante delle tracce - “Virgen Volcán”, “Huaco del volcán”, “Maru”, “Uku Ñan”
, “Anita”, “Tu jardín”- evoca nei testi e nella musica l’atmosfera della provincia andina, india e meticcia, con la sua religiosità popolare e i suoi culti sincretici, o quella della lussureggiante selva amazzonica. Domina il tema del rapporto ancestrale tra l’uomo e la natura, la cui potenza è incarnata in più occasioni dall’immagine del vulcano. Il richiamo alle culture locali si esprime nella citazione più o meno estesa o puntuale di ritmi tradizionali ecuadoriani (sanjuanito, yumbo) o comunque dell’area andina (huayno), così come nell’uso della lingua amerindia kichwua, accanto allo spagnolo.
La fusion su ritmi afro-latini caratterizza invece le tracce “Rio mar” (candombe uruguaiano), “Con mi tambor” (mapalé afro-colombiano) e “Todo pasa” (festejo afro-peruviano). Quest’ultimo, su un testo scherzoso di sapore infantile, è uno dei momenti migliori del disco, anche per l’ottima interpretazione vocale di Albán a duo con Ricardo Pita. Infine altri temi, come “Manuela” e “Yo por ti” appaiono molto meno connotati dal punto di vista “etnico”.
Nel complesso, un disco di buona fattura, specialmente sul piano degli arrangiamenti e dell’esecuzione strumentale. La voce di Grecia Albán è sempre piacevole, educata e contenuta. Si dimostra finemente espressiva in momenti come il già menzionato “Todo pasa”, o anche energica (“Con mi tambor”), mentre in altri, come ad es. “Virgen volcán”, sceglie uno stile vocale più convenzionale. Accanto alla musicalità matura e anch’essa lussureggiante, l’aspetto lirico passa un po’ in secondo piano: i testi – almeno per la parte in spagnolo (non disponiamo di una traduzione delle parti in kichwa) - sono chiaramente funzionali all’evocazione di ambienti e di situazioni emotive, ma non sembrano ambire a profondità o solidità letteraria.
Un’ultima osservazione: Grecia Albán si inserisce esplicitamente in quel potente filone di canto femminile che abbraccia tante voci latinoamericane di oggi, dalla messicana Lila Down alla cilena Pascuala Ilabaca, per citarne solo due tra le tante. Un legame che si percepisce nettamente, più ancora che nell’estetica musicale, in quella visiva delle clip, il cui immaginario allo stesso tempo silvestre, etnico e barocco, rinnova, almeno agli occhi di un pubblico urbano occidentale, l’immagine dell’America Latina come di un “altrove” mitico.
Stefano Gavagnin
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Sud America e Caraibi