I melismi sono molto delicati: in modo molto preciso nel flamenco spagnolo e in modo altrettanto preciso nel persiano. So come fare quelli persiani, ma se li canto troppo, influenzano i miei melismi flamenco. Quindi devo stare attenta! Riguardo al persiano, è già dentro di me, non devo lavorarci troppo. Però è continuo il confronto soprattutto con Amir Amiri, (il suonatore di santour, ndr) che è una grande fonte d’informazione. Lui conosce bene il radif, io il flamenco. E funziona bene perché ciascuno ha l’orecchio allenato nella propria cultura. È il bello della collaborazione. Abbiamo anche un progetto in cui proveremo a fare il contrario: partire dalla musica persiana, dal dastgah, e portarla nel flamenco, invece del solito percorso inverso”. Stabilitasi ormai a Siviglia per alimentarsi pienamente dello spirito musicale andaluso, Farnaz Ohadi ha realizzato “Breath/Ah/Aliento”, che esce in vinile e in doppio CD, oltre che essere presente sulle piattaforme digitali, pubblicandolo per Air Music Group, label diretta dal chitarrista Alberto López. Un lavoro imponente, magnifico sotto il profilo grafico, presenta diciassette brani di “flamenco persiano”. Farnaz è accompagnata da una eterogenea formazione di strumentisti: Gaspar Rodríguez (chitarra flamenca, direttore musicale e produttore esecutivo), Alberto López (effetti e produzione), Amir Amiri (santour), Amir Eslami (ney), El Amir (bazuki/banjo), Alexis Lefevre (violino), Alba Haro, Ángel Morilla e Laura Coll (violoncello), Irina Yonkova (viola), Javier Prieto (handpan), José Manuel Posada “Popo” e Josue Ronkio (basso), Ramiro Obedman (bansuri), Fernando Rodríguez (pianoforte), Pedro Medina (mandola), David Galiano, Carlos Merino e Isidro Suárez (percussioni) e Dani Bonilla (palmas). Perché il titolo “Breath”? Farnaz spiega: “Il respiro è vita. Per me, sopravvivere fino ad ora, nonostante tutto,
anche le volte in cui ho pensato di mollare… e con un governo come quello iraniano che cerca di togliere la voce alle donne, di toglierci il respiro, l’espressione, il canto… Il respiro è la madre del canto. Senza respiro, non si può cantare. In sostanza, è la vita. Questo album parla proprio di quel momento in cui si reclama il respiro, la vita. È il primo atto, il primo seme della vita. Quando nasci, prendi un respiro. E da lì comincia tutto. Poi spendi la vita cercando il tuo scopo. Questo album racchiude proprio quel momento: “Sto respirando. Scelgo di vivere. Ho qualcosa da dire”. Nel suo recital, Farnaz non fa mancare la dimensione teatrale: nella sua prima canadese a Toronto diversi mesi orsono, l’artista riprendeva elementi simbolici sia nelle movenze sia negli oggetti di scena. “Credo di essere attratta dalla comunicazione totale. I gesti, certo, ma arrivano solo fino a un certo punto. Le traduzioni aiutano, ma anche quelle hanno i loro limiti. E quando hai un messaggio da trasmettere, a volte è semplice, quindi la gente si connette con la musica o il ritmo – e va bene così. Ma ho così tanto da dire. E il teatro è perfetto per questo. A Toronto, ad esempio, tutto era centrato sulla donna e sulle fasi della vita. Abbiamo usato la danza, il cambio dei costumi. Se non capisci le parole, segui la storia che parla di ogni donna, ogni persona che vuole riprendersi la propria presenza, che viene da un passato e sceglie di continuare. Ho fame di essere ascoltata. Capita a molti, ma per me è una spinta forte”. In questo spazio condiviso tra la profondità contemplativa della poetica persiana e la carnalità del cante jondo e del flamenco, entra in gioco l’allegoria delle lotte sociali e individuali. “Breath” è un album fortemente influenzato dalla storia dell’Iran, in particolare dagli eventi successivi alla Rivoluzione del 1979. Sotto il
tema dell’amore, ogni canzone racconta di resistenza, cura di sé e dello spirito che non si arrende, nonostante le avversità. Ad aprire l’album è “Anda Jaleo”, un classico del flamenco, che si sviluppa informa di bulerías riprendendo liriche di Baba Taher Oriyan, poeta e mistico dell’XI secolo: “Tra il dolore e la sofferenza, c’è sempre spazio per celebrare e mantenere viva la speranza. Anche quando tutto è contro l’amante, anche quando l’amore non è ricambiato, sopravvivere per un altro giorno è la chiave. Un giorno arriverà la libertà, e noi saremo pronti a danzare, perché abbiamo lottato duramente per mantenere vivi i nostri spiriti. I nostri spiriti non saranno mai spezzati”. Un altro classico, questa volta arabo-andaluso, “Lama Bada”, si sposa a una poesia del celebre poeta lirico Hafez. Si tratta di un omaggio a un’altra radice profonda del flamenco. La canzone parla di spazi sacri e privati creati dagli amanti, dove il mondo appartiene solo a loro due e nessun altro; dove si può essere soli anche tra la folla. L’amore trova sempre il suo spazio, in qualsiasi circostanza. “To Nisti”, composta su una poesia di Fereydoon Moshiri (1926-2000), si muove a ritmo di tanguillo e zapateado ed è incentrata sull’assenza della persona amata. La metafora diventa modalità per rivolgere il pensiero ai prigionieri politici in Iran e nel mondo: “a coloro che sono usciti al mattino e non sono più tornati dopo aver partecipato a una manifestazione contro il governo, quelli che sono periti in guerra, e le ondate di umanità costrette a sradicarsi e lasciare indietro i propri cari. Col tempo, il dolore può attenuarsi, ma il loro posto rimarrà sempre vuoto”. In “Oriyan” (una soleá por bulerías) si incontra la poetica di Sohrab Sepehri (1928–1980), figura di spicco dell’Iran contemporaneo: pittore, poeta e scrittore. È la scelta della vita dopo aver contemplato il suicidio: “Nel
momento più buio della vita, quando il tuo tipo di amore si rivela un’illusione, quando il cuore è spezzato e tutto sembra perduto, cosa farai? Troverai un motivo per continuare a vivere? Ti rialzerai e farai un passo dopo l’altro, anche se la strada sembra distrutta?” Sempre ispirata alla poetica di Sepehri, “Garden of Love” fonde in maniera insolita garrotín e tango de Málaga. L’amore va diffuso anche quando non viene accolto. Il senso della vita è piantare alberi sotto la cui ombra non ci sederemo mai. Non può mancare il messaggio universale di Rumi in “Bi Gharar”, canzone dalla cornice musicale più immediata, in cui l’immagine della lanterna accesa, della candela alla finestra, simboleggia l’attesa per un ritorno della persona amata: un omaggio all’attesa eterna di coloro che aspettano i propri cari, in particolare i genitori dei giovani manifestanti e dei prigionieri politici. “Erev” è una folk song ebraica, qui combinata con una poesia di Dr. Hooman: “Il mondo brucia attorno a noi e noi non possiamo che esserne testimoni. Cosa possiamo fare se non sperare che l’amore ritrovi la strada verso i cuori di chi commette atrocità oltre ogni immaginazione? Possiamo sentirci impotenti, ma possiamo almeno portare amore e gentilezza al nostro mondo vicino, affinché l’amore possa resistere e guarire”. “Worship” si ispira al martinete (spesso tradizionalmente eseguito senza accompagnamento musicale, solo con suoni di incudini o attrezzi da lavoro) sul cui ritmo sono riprese liriche di Khayyam: “Vieni nella mia chiesa dell’amore, lasciami mostrarti come anche il più umile vaso d’argilla sia stato un tempo il corpo degli amanti e come, anche ora che sono scomparsi, l’amore sia ovunque se sai guardare”. Ancora nel segno della tradizione più intensa del cante jondo, “Resurrection” è cadenzata sul palo delle seguirillas di cui riprende il tono scuro e
tragico, riprendendo ancora un testo di Khayyam che rinforza il concetto introdotto nel brano precedente, mentre “Yar” è una rivisitazione di un hit iraniano del 1980 di Fereydoon Foroughi, dove si sottolinea la necessità di restare uniti contro la strategia di divisione perpetrate dalla tirannia. “C’è un anche un riferimento ai posti vuoti nei banchi delle scuole ogni volta che uno studente viene arrestato o ucciso in Iran. Un richiamo diretto al movimento “Donna, Vita, Libertà”. Spiega ancora Farnaz: “A volte è il ritmo del flamenco che detta la metrica del testo poetico. Ad esempio, ci sono brani dove non puoi usare qualsiasi poesia. Potresti forzarla, ma poi gli iraniani direbbero: ‘Non stai rispettando la poesia’. Ogni forma del flamenco ha un carattere. Ci sono quelle gioiose, altre più malinconiche. Quindi devo trovare poesie che rispecchino quel carattere. Per esempio, ho usato Forough Farrokhzad (1934-1967) per una canzone triste, una sevillanas malinconica. Lei parlava di amore non corrisposto, e questa forma flamenca era perfetta”. Così avviene in “Longings”, ammantata da una fisionomia contemplativa, in cui si parla di perdita e desiderio, ma anche della speranza di una donna ferita e abbandonata che, pur sapendo che l’amato non tornerà, continua ad aspettarlo. Una riflessione sul peso psicologico delle relazioni tossiche, in cui la vittima, nonostante tutto, continua a desiderare l’affetto del suo carnefice. Infine, “Requiem 752” è una milonga su liriche di Davood Mohammadnia, che rievoca il disastro aereo del volo ucraino PS752, abbattuto dall’Iran nel 2020, uccidendo tutte le 176 persone a bordo. Un evento sconvolgente, soprattutto per il Canada, dove risiedevano ben 85 tra i passeggeri deceduti. Questa canzone onora le vittime. Le tracce del secondo CD riprendono otto brani dell’album – “Yar”, “Longings”, “Requiem”, “Oriyan”, “Lama Bada”, “Erev”, “To Nisti” e “Bi Gharar” – tre dei quali cantati, mentre gli altri cinque sono strumentali, arricchiti dai raffinati pastelli musicali intessuti da Gaspar Rodríguez e Alberto López. Nel “respiro” che dà il titolo all’album si condensa un atto di resistenza e rinascita: un gesto di vita, di lotta e di bellezza. La voce diasporica di Farnaz Ohadi attraversa confini e memorie, reclamando spazio e ascolto. “Breath” è una tessitura di lingue, metriche e ritmi che convergono in una sublime fusione.
Ciro De Rosa
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