Ad aprire il disco è il Prologo "Shir La-Ma'alot" (Canto delle Ascese) di Salomone Rossi, tratto dai Salmi. Si tratta di una preghiera luminosa e strumentale di protezione dai guai e dalle difficoltà, cantata tradizionalmente per ricevere forza nei momenti di prova. Segue "Adon Ha'Slichot" (Signore del Perdono) - Un Canto corale responsoriale eseguito dai Membri dell'ensemble che viene cantato nel periodo che precede le festività ebraiche, durante le preghiere "Slichot" (perdono), che si svolgono tradizionalmente in sinagoga durante le ore tranquille e spiritualmente intense tra mezzanotte e l'alba. Questa disposizione evoca la quiete del mondo esterno addormentato, prima dell'alba, durante le preghiere slichot, in contrasto con il tradizionale canto responsivo (volutamente non all'unisono) dei fedeli, che si intensifica a ogni strofa. Gli strumenti a fiato in eco probabilmente suggeriscono ai compositori uno stile che diventerà tipico di tutto il periodo barocco (basti pensare all’Orfeo di Monteverdi). “Achot Ketana” (Giovane Sorella) – veniva cantato nelle congregazioni sefardite, questo piyyut accompagna il tramonto finale dell'anno vecchio e i primissimi momenti dell'anno nuovo, che coincidono con il canto dei versi pieni di speranza e di sentimento "Possa l'anno nuovo e le sue benedizioni iniziare". A seguire arriva “Chi sapeva” ( Chi è colui che sa?), in questa versione cantato in italiano, è un piyyut ritmico e armonicamente ciclico della vigilia di Pesach, il cui testo di tipo enumerativo calzato su una melodia ascendente e discendente entrò in uso nel tardo Rinascimento/primo Barocco, la melodia supporta il giocoso conteggio del testo, che tratta di simboli tipicamente ebraici. Con il canto sefardita “Yehi Shalom Be-Chelenu” (Che la pace sia tra noi), si ritorna in un clima di grande spiritualità. Apparso per la prima volta a Venezia nel 1522, questo tenero piyyut è tradizionalmente cantato durante la cerimonia della Brit Milah (circoncisione rituale) dei neonati maschi, ed è una preghiera per la tranquillità e la speranza nella vita del bambino. “Maoz Tzur” (Fortezza di Roccia) è, invece, un brano strumentale il cui testo è stato scritto probabilmente durante le Crociate, come si evince dal carattere marziale, è stato poi trascritto ed elaborato da Benedetto Marcello nel rito ashkenazita di Venezia. Se “Hallel” (Lode) è tratta dal Salmo 114 e dopo un’introduzione quasi declamata si evolve in un gioioso canto di lode eseguito durante le feste, la successiva "Betzet Yisrael" (Quando Israele uscì) è tratta anch'essa dal Salmo 114 cantato alla vigilia di Pasqua e presenta una rivisitazione ritmica e coinvolgente dell'esodo degli Israeliti dall'Egitto. “Sha'ar Asher Nisgar” (La Porta Chiusa), trascritta ed elaborata da Benedetto Marcello come 'O Immacolata e Pura' dall'Estro Poetico-Armonico di Marcello, Salmo XVIIIS 11S, è una struggente melodia d'amore e desiderio sottolineata dal violoncello cantata nelle sinagoghe sefardite italiane durante la festa di Simchat Torah. “Kiddush” (Santificazione del Vino del Pasto dello Shabbat) è un Canto responsoriale congregazionale che si svolge tra solista e coro. “Had Gadya” (Una piccola capra), cantato per secoli alla vigilia di Pesach in diverse comunità ebraiche in tutto il mondo è qui eseguita in due diverse versioni: la prima versione proveniente dalla comunità di Firenze è solo strumentale, mentre la seconda è cantata in aramaico e combinata in mash-up con “Alla Fiera dell'Est” di Angelo Branduardi con cui presenta straordinarie affinità sia nel testo, sia nella musica. Chiude il disco, “Keter” (Corona) di Salomone Rossi in versione strumentale, una preghiera basata su versetti biblici, scritta per la sinagoga di Mantova.
Registrato tra novembre 2020 e agosto 2022 a Gerusalemme, “Illumination II: Italian-Jewish Music of Solace and Hope” è firmato dall’Ensemble Nuria con la direzione artistica di Ayela Seidelman (violoncello e violoncello barocco) e gli arrangiamenti di Bari Moscovitz vede protagonisti: David Lavi, Keren Kedem, Yair Harel e Padre Alberto Pari (voci), Refael Negri (violino barocco), Daniel Hoffman (violino ebraico), Ben Har-Ga’ash (calascione basso), Adi Silberberg (registrazione e viola da gamba), Mati Bobek (clarinetto basso), Richard Paley (fagotto barocco), Oded Geizhals (percussioni), Abe Doron (antiche percussioni italiane), Michele Piccione (antiche percussioni italiane e ghironda), Ensemble Nuria Community Choir, a cui si aggiungono gli ospiti: Yonatan Razel (voce), Shmuel Magen (viola da gamba), Merav Ben David e Adi Amit (voci). Ad aprire il disco è “Ki Lo Naeh”, un piyyut per la festa primaverile di Pesach (Pasqua ebraica) della comunità di Alessandria, qui proposto sotto forma di follia barocca ad evocare i suoni della celebrazione e del canto provenienti dalla sinagoga alessandrina rimasta vuota per anni, senza alcuna comunità ebraica che la frequentasse. A seguire “Lecha Dodi” (Vieni, mio diletto), un piyyut lirica e delicata per dare il benvenuto allo Shabbat, una melodia molto fedele all’originale, proveniente dalle comunità di Venezia e Ferrara, come parzialmente annotato da Benedetto Marcello ne “L'Estro Poetico-Armonico” (Venezia, 1723). La traccia successiva “Al Neharot Bavel” (Presso le acque di Babilonia) è un doloroso lamento nello stile rinascimentale con cadenza piccarda alla fine della frase. Fu scritto da Salomone Rossi (1570-1630) e pubblicato a Venezia nel 1623 come parte dei “Canti a Salomone”, la prima raccolta di canti ebraici databile. Racconta il digiuno nel giorno dedicato al lutto per la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la conseguente divisione e devastazione che si abbatté sui cittadini della Gerusalemme biblica. Segue “Betzet Yisrael Mi-Mizrayim” (Quando Israele uscì dall'Egitto), una ritmata melodia ashkenazita per celebrare la Pasqua ebraica nella quale viene raccontata la storia della fuga degli antichi Israeliti dalla schiavitù in Egitto, anche questa stata annotata Venezia nel 1723 da Benedetto Marcello ne “L'Estro Poetico-Armonico”. Ascoltiamo, poi, “Barechu’” (Lodiamoci) tratta dai “Canti di Salomone” di Salomone Rossi, mentre “Avadim Hayinu/Schiavi Fummo” è piyyut di Pesach della comunità bolognese cantato con tono recitativo e lirico, sia in ebraico e in italiano che racconta il miracolo della redenzione dalla schiavitù in Egitto. Il brano seguente è “Eshtecha Ke-Gefen Poriya” (Che la tua sposa sia come la vite feconda), è una tenera benedizione per gli sposi novelli che arriva dal ghetto ebraico di Roma, nella quale il violino ebraico introduce una suggestiva preghiera per la pace, con la ripetizione della parola ‘Shalom’. L’eterea “Kol Nidrei” ci introduce a “Im Afes” (Quando la speranza è perduta) un piyyut molto antico della comunità ebraica romana, impreziosito dalla ghironda, a cui è affidato il racconto dell'atto di fede di Abramo nel sacrificare il figlio Isacco il cui testo trasmette un profondo senso di speranza anche quando questa può sembrare offuscata. La viola da gamba è protagonista in “Odecha Ki Anitani” (Ti loderò perché mi hai risposto) un allegro piyyut di ringraziamento, annotato nel 1723 da Benedetto Marcello nella sinagoga sefardita del ghetto veneziano. Derivato da un canto ladino è stato tramandato oralmente di generazione in generazione nella comunità ebraica spagnola prima della sua dispersione dalla Spagna nel 1492. Completano il disco, “Birkat Ha-Kohanim”(la Benedizione Sacerdotale), una delle preghiere più significative della liturgia ebraica della comunità Bnei Romy, la più antica comunità ebraica d'Italia, e "Adon Olam" (Signore del mondo), un canto gioioso tratto dai "Canti a Salomone" di Rossi, cantato nelle sinagoghe moderne per concludere le preghiere del mattino dello Shabbat (sabato), in cui i bambini di tutte le età sono tradizionalmente invitati a guidare la congregazione canora. In conclusione, non possiamo che consigliarvi di prendervi tutto il tempo necessario per ascoltare questi due album che conducono certamente non solo all’elevazione spirituale, ma offrono momenti di puro godimento estetico, oltre che l’occasione di entrare in contatto con un patrimonio culturale e musicale ricchissimo.
Francesco Stumpo
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1. Gli Italyani e i Bnei Romy erano le comunità ebraiche italiane originarie e più antiche, discendenti in parte dagli esuli portati a Roma dalla terra di Israele dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Si pensa che, data l'antichità delle origini di questa comunità sia possibile che i riti contenuti nel loro libro di preghiere siano un residuo diretto della comunità ebraica della terra d'Israele, prima dell'esilio a Roma. I Sefardim discendevano, invece dalle comunità di ebrei spagnoli e portoghesi esiliati durante l'Inquisizione e comprendevano comunità - successivamente insediate in Grecia e nei Balcani - anch'esse originarie della Spagna e del Portogallo. Gli ashkenazim discendevano dalle comunità ebraiche tedesche, esiliate nel XV secolo, che si erano stabilite nel Nord Italia ed erano distinti in vari gruppi, ognuno dei quali manteneva riti, sinagoghe e identità proprie all'interno della comunità ebraica generale: gli Italyani e i Bnei Spagna e Portogallo. La quarta comunità, “APAM” (dalle lettere ebraiche che indicano Asti, Fossano e Moncalvo), si stabilì nell'Italia nord-occidentale dopo essere stata espulsa dalla Francia alla fine del XIV secolo. Salomone Rossi, il primo compositore a scrivere musica liturgica ebraica nello stile musicale prevalente del Rinascimento , visse a Mantova tra il 1570 e il 1630. In questo periodo gli ebrei mantovani, pur essendo costretti a vivere in un'area segregata, furono comunque esposti alla fioritura culturale del Rinascimento. Alla fine, nel 1612, furono barricati dietro il ghetto.