Rozenn Talec & Yannig Noguet – Melezour (Arfolk, 2024)

Dopo quasi quindici anni di collaborazione il duo bretone confeziona “Melezour” (Specchio), titolo che evoca l’immagine dell’oggetto quotidiano per antonomasia che osserva e riflette il passaggio di tempo, genti e generazioni. Dietro una brutta copertina si cela un’eleganza di raso, una lucentezza di velluto e una naturalezza di lino. Yannig Noguet, si occupa della composizione delle musiche, esplorazione di stili diversi: gavotta, plinn, an-dro, kost ar c’hoard, tamm kreiz, laridé. È abile suonatore di organetto diatonico Castagnari, compositore e arrangiatore, ha accompagnato in passato anche cantautori di due diverse generazioni quali Gilles Servat e Denez Prigent. Ma, negli anni, variegate sono state le sue collaborazioni: Gérard Delahaye, Dan Ar Braz, Elisa Vellia, Henry Texier, Angel Parra, Idir, Carlos Nunez. La cantante Rozenn Talec compone parole, spesso autobiografiche, che riproducono natura, pluralismo e universalismo in questa lingua dalle viscere di granito e dall’epidermide dunale. Visti dagli occhi di una odierna rappresentante della sua creativa e orgogliosa regione peninsulare d’estrema Europa rivolta al mare. Testi che parlano di storie della società odierna, con rabbia per la situazione ambientale del Pianeta ed evocano solidarietà e sorellanza senza mai dimenticare…il ballo. Per la prima volta canta anche in francese, trattando sovente temi legati a tensioni e pulsioni amorose rivolte al femminile, storie di menzogne e verità che confondono le radici. Questa recente pubblicazione offre occasione di ripercorrere a grandi linee, le tappe discografiche della talentosa cantante armoricana Rozenn Talec originaria di Carhaix-Plouguer. Fortunatamente nell’ambito della musica bretone troviamo continuamente giovani ispirati che, in barba alle crisi economico-discografiche, sono totalmente coinvolti e con profonde motivazioni, nella creazione, diffusione e innovazione della tradizione regionale. La storia di Rozenn Talec indica come abbia seguito gli insegnamenti del padre-cantante Jean Claude, fin dall’infanzia, coltivando il proprio talento naturale. Col tempo ha raffinato lo stile sotto la direzione di Marthe Vassallo e Erik Marchand, facendo parte della Kreiz Breizh Akademi. La si può ascoltare, allora venticinquenne, nella sua terza incarnazione all’interno del cd “Elektridal” (2011): la timbrica tra sospirato e sincopato ricorda in certi passaggi, cantanti della generazione precedente divenuti oramai istituzioni della storia musicale in Bretagna quali Louise Ebrel o i Fratelli Morvan (contadini di Saint-Nicodème che si ritrovarono, anche se un po’ controvoglia, al centro del rinnovamento culturale degli anni ‘70). Da quell’anno Rozenn ha iniziato a incontrare nuovi mondi musicali girando India, Grecia, Turchia, Ungheria, è inoltre sofrologa e direttrice del coro dell'Orchestra Démos KB (Philharmonie de Paris), avendo nel 2022 conseguito diploma di Stato in canto tradizionale. Provenendo geneticamente dalla tradizione dei cantanti kan-ha-diskan (alternanza di canto e danza in lingua bretone) troviamo la sua voce inizialmente nel doppio disco del genitore (basato sul repertorio raccolto nella Bretagna centrale) “Marvailhù” (2011). Assieme a lei, quelle di Jean-Daniel Bourdonnay, Etienne Cabaret, Antoine Lahay, Yann Le Corre, Louis-Jacques Suignard, Mari Stervinou e Julien Stévenin. Rozenn formerà in seguito un formidabile duo con Lina Bellard, giovane arpista in continua evoluzione che talvolta sembra scambiare il proprio strumento per liuto, kora dell’Africa occidentale o kanun (appassionato cugino orientale dell’arpa). Innamorate entrambe dei gwerziou, i grandi lamenti della tradizione popolare di Bassa Bretagna, hanno dato vita nel novembre 2013 alla registrazione di “Leiz An Dorn” (La Mano Piena). Voce e arpa, quasi fossero un duo d’archi, filtravano di respiri ed emozioni multicolori, le svariate influenze orientali, indiane, africane assorbite nel tempo. Durante la stagione 2015-2016 nacque uno scambio con i musicisti danesi Jullie Hjetland e Jens Ulvsand per rappresentazioni in Bretagna, Svezia e Danimarca. Seguirà la collaborazione della Talec, per vari dischi, con il Bodenes/Hamon Quintet (Daou Don Dañs - 2016) e Le Bour/Bodros Duo “Chadenn” (2016) e “Daou Ribl” (2024). Rozenn e Yannig fanno coppia fissa oramai da anni, armonie e affiatamento sono palpabili sia nelle composizioni originali che in mazurke, gavotte o canzoni da ballo tipiche delle festoù-noz. Spesso voce e strumento paiono sfidarsi in una sorta di kan-ha-diskan. Sono giunti oggi al quarto disco dopo “Mouezh an Diaoul” (2013), “Gali Galant” (2015) e “Dindan Dilhad Dindan” (2019). Nel primo (La Voce Del Diavolo) interpretavano brani originali e tradizionali estratti dal “Carnet de route” del compianto Yann-Fañch Kemener. Hanno musicato inoltre un testo della poetessa Alice Lavanant (del Tregor) dal titolo “Kaeran Rozenn” e un valzer proveniente dal mitico gruppo breton-rock Storlok (“Keleier”) a penna di Denez Abernot (scritto in segno di protesta contro la centrale nucleare che la Francia voleva installare nel 1980 sulla Pointe du Raz, Plogoff, Finistère). Questo testo verrà riadattato in opposizione al contemporaneo progetto di costruzione dell’aeroporto di Notre Dames des Landes, nel territorio di Nantes. La terza canzone di “Gali Galant” era invece un suo testo “Kreion Ha Paper”a ricordo del tragico attentato del 7 gennaio di quell’anno quando a Parigi un commando yemenita di Al-Qāʿida aveva fatto irruzione nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo “...il cuore sia consolato da un bouquet di saggezza, consideriamo i fatti, scriviamo un grande pardon* e disegniamo il nostro avvenire”. La chiusura veniva riservata al tradizionale “Ar Plac’h Iferniet” su un’aria sovente interpretata dalle bagad, in questo caso rielaborata da Melaine Favennec, altro grande protagonista della rinascita musicale bretone degli anni ‘70. Da questo album nascerà uno spettacolo di cabaret messo in scena da Nery Catineau, presentato a “Bretagne en scene” e quindi al “Chainon Manquant” di Laval. In occasione del loro terzo disco “Dindan Dilhad Dindan” il duo si trasformerà temporaneamente in quartetto per un suono d’insieme che rinforza la trance ipnotica dell’accordéon con raggi luminosi e bassi profondi di sassofono baritono (Yannig Noguet) a cui si aggiungono sonorità vintage di piano Fender Rhodes, organo Hammond, Farfisa e Moog (Julien Padovani), inedite per la musica da danza di questi luoghi. “An Amerik” è una gavotta di una trentina di strofe con tema l’immigrazione bretone nel Nuovo Mondo, dove continuarono peraltro a vivere nella completa miseria. Il disco (quasi esclusivamente composto di originali) si concludeva con “E Sant – Lazar” lettera di commiato scritta da Aristide Bruant (1851 – 1925), una delle primissime figure mondiali di cantautore, assieme all’immenso e sfortunato Gaston Couté. In Bretagna, Rozenn Talec impersonifica artisticamente alla perfezione, il filo della trasmissione trans-generazionale, il “flusso e riflusso” attraverso legami anche lontani nel tempo. Filo invisibile che possiede la caratteristica semplice ma ricca, di unire e toccare le altre persone nel racconto, in musica, di storie che riflettono sfide e speranze dell’odierna società, tra giustizia sociale, uguaglianza e rispetto per l’ambiente. Venendo a quest’ultima produzione, va detto che “Melezour” è pieno di speranza per migliori giorni a venire, ben due composizioni recano un medesimo titolo programmatico “Ni Gano Bepred” (Noi Canteremo Sempre): “...se sei d’accordo Yannig fermiamoci un momento perché se continuiamo a cantare avremo la fronte rugosa, siamo invecchiati ogni giorno un poco senza mai pensare a come fanno gli altri...quando la bambina farà la comunione andremo a messa intonando i cantici e il giorno che si mariterà e tu avrai la barba bianca, canteremo alla sposa anche se avremo i piedi pesanti…” Il disco inizia con “Decid-toi” (Deciditi), solenne kas a-barh in cui l’intraprendente Rozenn sollecita il proprio innamorato a evitare di portarle doni in oro e argento o di far suonare le campane, quanto piuttosto a raggiungerla lesto...a letto. In “La Risée” (Lo Scherno) diventa donna sdegnosa che nonostante il desiderio, trova il modo di rifiutare una lunga schiera di amanti e di ruoli sociali già codificati. “Au Mois De Mai” (il cui primaverile titolo richiama alla mente l’almanacco malicorniano sull’onda del dispiacere per la recentissima scomparsa del caro Gabriel Yacoub) è il fiabesco cammino nel quale l’autrice si rivolge a un usignolo per avere spiegazione del perché ci si ritrovi sempre ad amare malamente, a essere senz’acqua, ad avere troppo caldo e a stare, in definitiva, sempre peggio. Il saggio pennuto, che alla fine volerà via, rivela la verità che tutti conoscono già, ovvero che è la gelosia a portare la pioggia e l’allontanarsi dalla natura a creare tutti i disagi umani. L’appello sociale sottoscritto da moltissimi artisti bretoni a cui accennavo precedentemente in trova ulteriore appendice sonora nella composizione del tamm kreiz “Talbenn Ar Bobl” (Il Fronte Del Popolo): “Nel mese di aprile 2024 le voci si levano in Centro Bretagna...un fischio contro l’estrema destra arrivata alla porta, le piccole feste, i grandi festival e i balli rèstino vivi nel nostro piccolo mondo”. La cantautorale gavotta che dona titolo all’intero progetto recita: “oggetto meraviglioso, specchio umano, specchio di giovinezza e vecchiaia, del presente, dei miei sogni e della mia realtà, dei miei segreti...sono come devo essere? ho paura di dimenticare! ho fatto buone scelte?”. Il disco si conclude con la scanzonata ma fiera laridé “An Holl Merc’hed A Gano” (Tutte Le Donne Canteranno): “Sono figlia di una donna del Mulino di Koad Kevern...non ho bisogno di padrone, non sarò inviata da nessuna parte...troppi anni a battersi e troppe donne a piangere, a partire da oggi tutte le donne canteranno.” Tre brani risultano non originali: “Ma C’Hamarad Avel” (Compagno Vento) gavotta musicata da Yannig Noguet su un testo del 1987 di Jan Mai Skragn di Huelgoat (Finistère) e “Ar Mevel” (Il Commesso) tradizionale proveniente da Mêl-Karaez, Aodoù-an-Arvor (Maël-Carhaix, Côtes-d'Armor) tratta dal repertorio di Elisa Botrel. Il terzo titolo è “Les Filles De Rostrenen” altro tradizionale bretone (integrato da una parte in francese della Talec) che narra di un borgo dalle orgogliose ragazze in cerca di marito, che disperate si rivolgono perfino al curato ma tutti gli uomini del circondario preferiscono le donne straniere. Finiranno perciò a bere birra insieme, brindando comunque alla gioia. 

Flavio Poltronieri

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* il “pardon” bretone rappresenta una rituale processione rurale medievale, originata probabilmente nel XV secolo, inizialmente devota all’indulgenza dal peccato concessa dal Papa. Oggi  viene rivolta oltre che ai santi patroni delle singole parrocchie, al mare, al raccolto, ecc...al termine di queste cerimonie religiose non è inusuale che la serata si trasformi in fest-noz, festeggiamento laico-musicale di danza

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