Ora e sempre: evviva Gaston Coutè

Non si sa mai bene se una “e” non sia pronunciata come una “a”, se una  “o” non sia invece “ou” oppure “u” e questo parlare mal codificato si nutre principalmente delle sfumature della sensibilità, per cui anche quando un accento viene compreso,   può risultare complicato percepirne le intenzioni di fondo. Tanti anni fa in un bistrot la prima volta che ho sentito intonare i suoi testi senza saperne niente non mi capacitavo di come quello sconosciuto e farfugliante cantante sbagliasse sovente pronuncia, eppure, nonostante ciò tutti lo applaudivano convinti....beata ignoranza! (la mia, naturalmente!). Chissà quanto aveva studiato per imparare! A Gaston, poeta-rurale ulcerato dall’ipocrisia generale, dai discorsi moralisti, dall’aspetto perverso e falso della città rispetto alla campagna, solo il socialismo libertario e l’anarcosindacalismo sembrarono offrire una reale via di cambiamento. Perfino l’amore quando appare nelle canzoni prende le sembianze di una forza esteriore agli esseri stessi, brutale quanto naturale, che si beffa degli umani come delle convenzioni, un enorme fattore di disordine, un imbroglia-carte insomma. Numerosi sono i punti di contatto con l’opera di Cesare Pavese, come lui poeta di terra contadina e, come lui legato alla vigna. Gaston era contadino quanto vignaiolo: la vigna e il vino l'hanno accompagnato ben più che la terra e il grano. Il grano per lui rimaneva sinonimo di cupidigia, avarizia, possesso mentre il vino lo lusingava di una qualche forma di condivisione, seppur in quella durissima epoca storica. Lo illudeva che se le sue idee rosse e nere gli facevano vedere tutto storto era solamente perché non era ancora ubriaco a sufficienza. Un po’ come il “nostro” Piero Ciampi. L’anno che nacque Couté, nella sua zona in gennaio per tre mesi nevicò come non mai, c'erano 30 gradi sottozero, tutto gelò, vigne comprese, ad agosto, al contrario, siccità totale, poi a settembre ecco un’altra inaspettata gelata assalire l’uva. Risultato: il vino era un succo senza alcool. 
Ma Gaston l’alcool nelle vene ce l’aveva eccome, peccato che all’epoca delle sue canzoni purtroppo non ci fossero ancora i dischi fonografici ma se volessimo fare un elenco delle idee già presenti in Couté e attribuite ad autori colti o considerati “capiscuola” di epoche posteriori alla sua, servirebbe una pagina intera. Forse anche perché il gioco del potere è lo stesso da sempre, cambiano solo le tecnologie di distruzione e il nuovo diluvio di notizie che ora le accompagnano. Questo poeta indignato e fangoso è tuttora assente da tutte le antologie e dai panthéon accademici ma cresce incessantemente assieme a François Villon 3 come un’erba infestante. “Maledetto” più dei “maledetti” si insinua malgrado gli ostracismi in ogni spiraglio ben ordinato della poesia francese. Al contrario da molti decenni il mondo della canzone l’ha salvato dall’oblìo e riabilitato come “chansonnier engagé” ante litteram. Impegno reale, non da salotto com’è piuttosto ai giorni nostri. Perfino Edith Piaf lo interpretò. Se si vuol essere all'altezza di tradurlo tocca procurarsi il glossario delle parole e delle espressioni del Pays de Beauce, di Sologne o della Valle della Loira Orléanais. Molti testi riportano in basso con asterischi le traduzioni in francese delle parole in beauceron. Se le sceglieva era perché amava la forza di quelle parole, basti pensare, ad esempio, all'espressione "Champ d'naviots" che risulta essere la ripresa dell'invenzione popolare di chiamare il cimitero "campo di rape". Per affermare che uno è debole si dice che ha nelle vene "il sangue di rapa" cioè il succo rosso del tubero al posto del sangue. 
E' ovvio che una scelta di stile di questo tipo porti a generare prevalentemente una poesia di tipo orale più che destinata alla scrittura. Una poesia di versificazione. Diventa più comprensibile leggere Couté ad alta voce che con gli occhi. Oppure cantarlo, essendone capaci! Utilizza il gergo per fedeltà assoluta ai motivi dei personaggi e alle scene di vita che lo ispirano ed emozionano, per rifiuto di integrazione, sconfessando in questo modo perfino la scuola che gli  fornì istruzione in una lingua ufficiale differente da quella parlata in famiglia 4. In questo condivideva la scelta estrema del poeta Frédéric Mistral 5 che scriveva in occitano come forma di resistenza nei confronti di una Francia centralizzatrice. Couté era ancora poco più che bambino  quando riempiva quaderni su quaderni, aveva diciotto anni quando prese il treno per Parigi con una valigia di lino e cento franchi facendo credere ai suoi genitori di aver trovato lavoro come funzionario nell’Amministrazione delle Finanze. Invece si esibiva a L’Ane Rouge o Al Tartaine di Montmartre a due passi dal celebre Chat Noir dove debuttava Aristide Bruant e il suo salario consisteva in un cappuccino o una birra, talvolta un croissant. Poi si sposterà ai Funambules ma dieci anni di stenti, genio e miseria, vino rosso e assenzio, senza un letto né un domani, lo fiaccheranno irrimediabilmente. Sempre più magro e con gli occhi fiammeggianti, morirà tubercolotico, con gran sollievo di polizia e benpensanti parigini. Una settimana prima scriveva nella sua ultima canzone “Sento i violini, non ho più bisogno di niente”. Non aveva neanche compiuto trent’anni Gaston Couté quel fine giugno del 1911 quando il corteo funebre lasciò l'ospedale parigino Lariboisière verso la stazione di Austerlitz per la sepoltura a Meung-surLoire, nel Loiret. La triste processione transitò davanti al cantiere della metropolitana, durante quel periodo in fase di costruzione, gli scavatori al suo passaggio smisero di lavorare e si offrirono di portare la bara. Quando il treno giunse a destinazione, il sindaco del paese non partecipò neppure al funerale perché era occupato ad assistere alle prove della fanfara municipale (...) eppure si trattava  addirittura di suo cognato! 
La vita e l'opera di Gaston si riassumono portentosamente in occasione del suo interramento: l'omaggio degli operai, il disprezzo dei potenti. Proprio in quei giorni veniva anche condannato in contumacia per “oltraggio alla Magistratura” a causa della sua recente canzone che ironizzava sulla repressione poliziesca della manifestazione indetta in occasione della Festa del 1° Maggio: “Hélas! quelle douleur!” (...Ahimè! Ho perso, e il mio caso non è raro, il fazzoletto nei tafferugli. Niente fazzoletto per piangere questa sera le “vittime del dovere...”) Ma Gaston era già lontano, non era rimasto ad ascoltare miserabili sentenze umane: “Sono partito senza sapere per dove come un granello che un vento folle solleva e trasporta, nella città dove sono andato ho languito come un filo di grano nella sodaglia morta. Nostra Signora dei Solchi! Mia buona Santa Vergine, aiutami! Tu, che i tuoi angeli sono i grilli, tu, Terra, ritorno da te!…”. Quando il Presidente della Corte si rivolse  all’Avvocato Difensore d’ufficio chiedendogli se avesse qualcosa da obbiettare al verdetto, questi gli rispose secco: “Vorrei informarvi che avete condannato un morto!”. Le parole di Couté contengono tutta l’urgenza di chi par conoscere la fine in anticipo. Così come quelle di altri disgraziati poeti di quei tempi, stroncati in gioventù: il bretone Tristan Corbière (29 anni), Jules Laforgue (27 anni) o il geniale Charles Emile Hortensius Cros che a 14 anni già aveva conseguito  il diploma di maturità, a 16 insegnava ebraico e sanscrito e a 18 era professore di chimica in un istituto di sordomuti 6.


Testo e note a cura di  Flavio Poltronieri

______________________________________

1 In realtà Couté precisava di non essere “beauceron” ma “solognot”. Il suo luogo natale è situato proprio al limite estremo de La Beauce e lui appartiene a questa civiltà di confine della Valle della Loira. Ciò non cambia nulla dal punto di vista del linguaggio utilizzato se non che determinati termini del patois legato alla sua infanzia, presumibilmente appartenuti ad una Francia arcaica, sono limitati ai vignaioli del luogo e inutilizzati se non addirittura sconosciuti agli altri contadini della pianura adiacente. Ad esempio: souér/soir (sera), pouél/poil (capelli), chouse/ chose (cosa). Non sono parole che si scrivevano ma solamente appartenenti al linguaggio orale quotidiano che il piccolo Gaston imparava ascoltandole dalla bocca degli adulti.
2 Se qualcuno desiderasse approfondire l’aspetto antimilitarista rimando al mio intervento: “La canzone pacifista di uno a cui è andato tutto storto. Gaston Couté, chansonnier dimenticato”  (Azione Nonviolenta n. 636 - giugno/2019)
3 Curiosamente il poeta Villon fu rinchiuso nella prigione del castello di Meung-sur-Loire, luogo natale di Couté, nel 1461 su ordine del Vescovo di Orléans.
4 La scuola divenne obbligatoria in Francia proprio nel 1880, anno della nascita di Couté.
5 Frédéric Joseph Étienne Mistral (Maillane, 8/9/1830 – 25/3/1914) fu molto attivo nel favorire larinascita della lingua provenzale, propugnando l'indipendenza culturale, e inizialmente anche politica, della Provenza. Si impegnò nel redarre anche un dizionario della lingua provenzale (Lou tresor dóu Félibrige) e fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1904. La somma vinta fu devoluta dallo scrittore all'ampliamento della raccolta etnografica del Museo di Arles che lui stesso aveva fondato nel 1896. 
6 Al poeta Charles Cros, amico di Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, i francesi attribuiscono anche l’invenzione del fonografo, avendo comunicato per lettera già nell’ottobre del 1876 all’Accademia delle Scienze la propria invenzione di un ‘paleofono’, apparecchio che poteva riprodurre i suoni e che lui aveva battezzato come “La Voce del Passato”. La sua lettera però verrà misteriosamente aperta solo un paio di mesi dopo, l’8 dicembre, giusto due giorni dopo la prima registrazione di Thomas Edison di una voce umana. Il 17 dicembre di quell’anno l’inventore americano depositerà la domanda del brevetto e Charles Cros resterà beffato. Morirà in miseria nel 1888. All’indomani della fine della seconda guerra mondiale in Francia fu creata una famosa Accademia che porta il suo nome, a difesa della diversità musicale, della memoria sonora e a sostegno della creazione compositiva. Ogni anno, dal 1948 l’Académie Charles Cros assegna il “Grand Prix du Disque”. 

Posta un commento

Nuova Vecchia