#BF-CHOICE
Come nasce Toranj Quartet?
Paolo Modugno - Nasce come formazione agile e parallela in seno all’omonima orchestra, fondata nel 2016 da un gruppo di giovani musiciste dilettanti iraniane residenti a Roma, in maggioranza donne appunto, dirette da Vahid. Il lavoro dell’orchestra si basa su brani per lo più tradizionali arrangiati per l’occasione da Vahid. L’orchestra Toranj si è esibita in Italia in varie occasioni nel corso del tempo. Nel 2020 Hosna si è aggiunta all’orchestra col suo meraviglioso strumento, poi Giovanni, che aveva cominciato a studiare il tombak con Pedram Khavarzamini. Negli ultimi tempi si sono aggiunti, per una data, anche Cristina Majnero al clarinetto basso e Giordano Antonelli alla viella. Prima in tre, poi in quattro con l’aggiunta di Giovanni, abbiamo continuato a vederci fuori dal contesto dell’orchestra, lavorando per lo più sul repertorio originale scritto da Vahid e Hosna. Così nasce il Toranj Quartet.
Quali i retroterra musicali di voi due artisti iraniani?
Vahid Haji Hosseini - Ho iniziato a suonare il santur all’età di undici anni. Nel 1995 ho partecipato come solista al concorso nazionale iraniano di giovani virtuosi, ottenendo il primo premio. Due anni dopo ho raggiunto lo stesso risultato al Festival Nazionale degli Studenti Universitari. Questi riconoscimenti mi hanno aperto la strada per collaborare con il Maestro F. Payvar, uno dei maggiori esponenti della musica persiana a livello internazionale, con il quale ho perfezionato la mia tecnica e il mio stile. Negli anni
successivi, ho iniziato a studiare anche il târ, il setâr e il tombak. La conoscenza di questi strumenti mi ha permesso di lavorare per la radio e la televisione nazionale iraniana, oltre che con diversi ensemble e come compositore di colonne sonore per spettacoli teatrali. In Italia, ho collaborato con l'Orchestra del Conservatorio Martini di Bologna, l’Orchestra Filarmonica Toscana, l’Accademia Filarmonica Romana, e vari ensemble come Mishmash, Sarawan e Lulian. Ho partecipato a numerose tournée in Europa, in Italia, Germania, Svizzera, Danimarca e Austria.
Hosna Parsa - Mi sono diplomata al conservatorio in kamânchéh e conseguito la laurea magistrale di musica classica persiana. A Roma, seconda laurea all’università “Sapienza” in etnomusicologia. Ho collaborato con diversi ensemble musicali come compositrice e suonatrice di kamânchéh, tra i quali il gruppo Rastak. Ho fondato una scuola di musica a Teheran e insegnato in conservatorio e all’università.
Voi due italiani siete musicisti ben conosciuti, direi però di presentarvi in rapporto alle musiche mediorientali ma non solo…
Paolo Modugno - Quando mi chiedono come sono approdato alla musica orientale rispondo sempre che la colpa è stata di George Harrison e Ravi Shankar! Un vero innamoramento che mi ha portato a studiare
Etnomusicologia alla “Sapienza” con Diego Carpitella. Sono passato dalla musica indiana a quella maghrebina; amo la musica turca, balcanica e quella araba; ho suonato pure musica greca. Con Mohssen Kasirossafar ho lavorato al progetto Sarawan-Tamburi d’Iran, un gruppo di sole percussioni. Insieme a Siamak Khalili Guran, cantante e suonatore del liuto tambur curdo-iraniano abbiamo inciso “Canti del Kurdistan” (Finisterre). A tutti loro devo molto per la pratica e i ritmi degli strumenti a percussione dell’area iranica e mediorientale. Nei primi anni 2000, con Pejman Tadajon e i fratelli Reza e Hamid Mohssenipoor (târ e tombak), nasce Navâ ensemble, che incide “Hilat” (Finisterre). Nel 2015 conosco Vahid, che molto generosamente mi accoglie nell’orchestra. Grazie a Carlo Hinterman e al suo simpatico gruppo d’innamorati delle musiche modali (Errichetta Underground) vengo a scoprire l’esistenza del progetto Labyrinth, guidato da Ross Daly a Creta, che è diventato un punto di riferimento molto importante per me.
Giovanni Lo Cascio - Ho studiato batteria jazz al Berklee College of Music a metà degli anni ‘80. Negli anni ‘90 suono e registro con molte formazioni, tra le altre quella di Abraham Afewerki, artista eritreo scoperto e prodotto da Paolo. L’esperienza più longeva è stata quella dei Novalia con i quali ho realizzato diversi album. Nel 1999 costituisco un duo con Arnaldo Vacca, con cui registro l’album “Boom Boom Language”. Dal 2005 al 2015 fondo e dirigo i Juakali Drummers, in Kenya, all’interno di un progetto di AMREF: un’orchestra di ragazzi di strada per la quale compongo un musical dal titolo “Ngoma Mtaani”, il ritmo della baraccopoli. Negli ultimi anni, mi dedico sempre di più alle percussioni mediorientali e a progetti nell’ambito della musica modale contemporanea. Per citarne alcuni, Nubras Ensemble, Banda Ikona, Karkum Project, Mad Med, Hypertext O’rchestra, Musica Antiqua Latina di Giordano Antonelli. Mi sono sempre considerato un apolide musicale e così, come ho studiato il linguaggio jazzistico per poi “tradirlo” con innesti di altre tradizioni, anche per la musica modale ne studio le radici per poi poterle “tradire” mescolando strumenti e accenti di culture diverse. Dei molti maestri che mi hanno formato mi piace ricordare, in ambito jazzistico Alan Dawson e Gary Chaffee ed in ambito
Cosa rappresentano gli strumenti che suonate nelle culture musicali dell’Iran?
Vahid Haji Hosseini - Come strumento principale suono il santur, strumento musicale tradizionale persiano, appartenente alla famiglia delle cetre percosse (salterio). La sua origine probabilmente risale a più di 2000 anni fa, con tracce che lo collegano a strumenti simili dell’antica Mesopotamia e dell’India. In Iran il santur ha assunto la sua forma moderna nel periodo medievale, diventando uno degli strumenti più rappresentativi della musica persiana. Nel repertorio musicale iraniano, il santur occupa un ruolo centrale, in particolare negli ensemble di musica “d’arte”, come nel sistema del Radif, che è un corpus che raccoglie la somma delle melodie tradizionali dell’area persiana. È utilizzato tanto in esecuzioni solistiche che nell’accompagnamento di altri strumenti, come il târ, il setâr, il kamânchéh, il nay e il tombak. Grazie alla sua capacità di adattarsi a diversi stili e tradizioni, il santur continua a essere uno strumento fondamentale nella musica persiana, mantenendo viva la sua presenza in concerti, registrazioni e nei festival musicali internazionali.
Hosna Parsa - Il kamânchéh è una viella di cui esistono diversi tipi in molte zone dell’area musicale balcanico-turco, persiana e araba, come la gadulka, la lira cretese e del Ponto, il gheichak persiano, il kemençe turco-azero, il sato nell’area centroasiatica, il rebab arabo, fino al saranji e alla sarinda indiani.
Giovanni Lo Cascio - Gli strumenti che suono nel gruppo Toranj rispecchiano la filosofia della “tradizione e contaminazione” sulla quale ho costruito la mia identità musicale. Dunque da un lato utilizzo il principale tamburo della tradizione classica persiana, il tombak, dall’altro introduco la kanjeera, strumento della tradizione carnatica dell’India o una versione locale dell’udu drum, chiamato koozeh in persiano.
Paolo Modugno - Amo e pratico i tamburi a cornice per le loro ricche possibilità armoniche. In particolare, suono un grosso bendir della Cooperman, regalatomi da Giovanni, che riempie lo spettro sonoro con le frequenze basse a bordone intonato mancanti negli strumenti di Vahid e Hosna. Nei ritmi veloci, soprattutto nei “6/8” suono un tar arabo o un dâyeréh azero, che, essendo più piccoli di diametro, non producono risonanze eccessive. Nei brani più lenti uso anche il daf, strumento originariamente diffuso nell’area curda, ora entrato a pieno titolo negli ensemble persiani.
Cosa significa ‘Kowli var’? Perché questo titolo?
Hosna Parsa - “Kowli var” in lingua persiana significa vivere “al modo zingaro”.
Vahid Haji Hosseini - Forse è la storia della vita di molte persone che hanno lasciato l’abbraccio della propria terra e, come dei vagabondi, intraprendono un lungo esodo. In tutte le fasi della creazione dell’ultimo brano di quest’album, che porta lo stesso nome, l’immagine di un gruppo di nomadi che, tra la polvere, appaiono da lontano, si accampano e ballano intorno al fuoco fino all’alba, per poi proseguire il loro cammino, è stata sempre presente nella mia mente. In collaborazione con Hosna, abbiamo scelto il nome dell’album proprio da quell’immagine, che racconta la vita di tanti di noi.
Volete condurci brevemente nella sintassi della musica classica iraniana?
Hosna Parsa - La nostra è musica modale e si basa su una teoria musicale chiamata “Radif”. Consta di sette modi principali (Dastgâh), più altri derivati. Spesso gli intervalli tra le note non sono temperati come nella musica occidentale ma possono essere crescenti o calanti in base alla scala usata. Nella musica
“d’arte” si alternano momenti di meditazione lirica a parossismi ritmici dove la tecnica strumentale e vocale si fa assai virtuosa. Tra momenti corali e improvvisazioni strumentali e vocali una composizione può arrivare a essere piuttosto lunga, come nella sinfonia occidentale con i suoi movimenti. Questa è la base su cui componiamo. Nel nostro album abbiamo diviso i vari movimenti con il cambio di track, ma senza soluzione di continuità nell’ascolto.
Come avete lavorato a costruire il repertorio di questo album, che comporta solo due brani tradizionali e in larga parte contiene vostre composizioni?
Vahid Haji Hosseini - Come primo album del Toranj Quartet, l’obiettivo nel comporre dei brani era quello di rappresentare vari aspetti della musica iraniana, sia dal punto di vista geografico che stilistico. Dal folk al “Radif”, fino alla musica popolare diffusa prima della rivoluzione, conosciuta come musica di Lalezar. La sfida principale è stata quella di comporre i brani in modo che fossero in armonia logica con il “Radif” e, allo stesso tempo, riflettessero il linguaggio musicale del quartetto Toranj. Penso che il risultato sia soddisfacente.
Hosna Parsa - I nostri brani, scaturiti dalle improvvisazioni, dalle frasi e dai ritmi, dopo attente limature vengono fissati a memoria.
Potete parlarci della lavorazione dei materiali tradizionali? Quali sono le difficoltà tecniche e socioculturali che affrontate lavorando con questo repertorio?
Vahid Haji Hosseini - Questa domanda può essere letta da diverse prospettive. Nella fase di composizione, per creare brani nello stile presentato in quest’album, è necessaria una conoscenza approfondita della tradizione e della musica classica persiana, insieme alla padronanza delle tecniche moderne. In questo modo, il brano composto può riflettere non solo il linguaggio contemporaneo del compositore, ma anche soddisfare le aspettative di critici ed esperti legati alla tradizione. Ad esempio, l’uso dell’armonia in una musica basata sul monofonismo rappresenta una sfida significativa. Nell’orchestrazione, ci sono limitazioni come l'assenza di strumenti e colori timbrici diversi e, a volte, persino la difficoltà di trovare esecutori specializzati in questo repertorio. Nelle esibizioni dal vivo, la mancanza di strumenti adatti a questo genere e i problemi legati alle attrezzature tecniche e alla registrazione del suono per questi strumenti rappresentano altre difficoltà.
Paolo Modugno - Ho un po’ penato a far digerire a Vahid e Hosna il risalto che ho voluto dare alle percussioni nei mix, ma poi hanno accettato il risultato, frutto come sempre di compromessi. Le differenze culturali quando si cerca il dialogo hanno un impatto minimo e si trasformano in ricchezza per tutti.
Nell’album ci sono alcuni ospiti internazionali: perché proprio loro?
Hosna Parsa - Homayoon Nasiri, oltre che un caro amico, è un bravissimo percussionista che ha formato il suo gruppo di successo “Darkoob”. Homayoon ha collaborato con i più importanti musicisti iraniani.
Giovanni Lo Cascio - Ho avuto l’occasione di suonare in duo con Petra Natchmanova e vista l’immediata connessione umana e musicale che abbiamo reciprocamente riscontrato, abbiamo voluto invitarla a partecipare al nostro primo album. Stessa cosa con Peppe Frana, cui mi lega oltre che una profonda condivisione di scelte musicali, anche una sincera amicizia. Li ritengo due artisti meravigliosi, che hanno dato un significativo contributo alla riuscita dell’album.
Paolo Modugno - Ho lavorato con Petra in un concerto eseguito con Giovanni in occasione di una festa del Newroz curdo a Roma. La seguivo da tempo nel suo lavoro con “Telli Turnalar”, quartetto formato da quattro musiciste, due turche e due europee, il cui lavoro mi ha affascinato. Sono strafelice di averla avuta con noi. Le abbiamo mandato la base di una nuova versione del famoso brano khorasanì, Navâì, partorito dalla fantasia di Hosna e Vahid che l’hanno riadattato su più modi e ritmi. L’abbiamo invitata a realizzare anche un’introduzione (uzun avà) in stile curdo/turco per aprire il brano. Per l’occasione è stata accompagnata dal baĝlama di Ufuk Elik. Ha registrato a Berlino e mi ha mandato le tracce. L’idea era appunto quella di far dialogare le due tradizioni. Peppe Frana è un punto di riferimento fondamentale per la pratica della musica modale in Italia e all’estero. Avevamo bisogno di un suono caldo in “Fattaneh” e che aprisse il brano con un taksim in stile ottomano. Chi meglio di Peppe col suo fantastico ʿūd?
Volendo dare una definizione della vostra musica in tempi in cui molti sono propensi ad abbandonare l’uso di una categoria aperta come “world music/musiche del mondo”: che musica è quella del Toranj Quartet?
Paolo Modugno - È il risultato di anni di apprendimento di culture musicali affini, ma al tempo stesso differenti, che dialogano bene tra loro, senza snaturarsi, ma integrandosi.
Tra i tanti palcoscenici prestigiosi in cui avete suonato, c’è la Cappella Paolina nell’ambito dei Concerti del Quirinale: che esperienza è stata?
Giovanni Lo Cascio - Per me l’esperienza dal vivo è quella più importante da un punto di vista emotivo. È il momento in cui la musica “avviene” fondendo i suoni e i ritmi in tempo reale con gli altri membri del quartetto, in uno stato di profondo ascolto e pronta reattività. Poter suonare in un ambito così importante, con un pubblico presente attentissimo e partecipativo e per di più in diretta radiofonica, è sempre un’esperienza preziosa che resta nel tempo. Tra l’altro si può riascoltare il concerto sul Raiplay Sound, in qualunque momento.
Paolo Modugno - Emozioni forti! Peccato che il Presidente non sia venuto… Dobbiamo ringraziare Stefano Catucci di RadioTre, che ci ha invitato al Quirinale. Grazie anche a Stefano Roffi per averci fatto suonare dal vivo nella “Stanza della musica” a Radiotre Rai nel 2022 quando ancora eravamo un trio. Sempre in trio ricordo con emozione il nostro primo concerto nei giardini dell’Accademia Filarmonica
Romana nel 2021, e voglio approfittarne per ringraziare Giovanni De Zorzi, che ci ha fatto suonare nel bellissimo cortile del museo di Palazzo Grimani a Venezia. Non voglio dimenticare però il concerto all’Errichetta Festival, nell’edizione del 2023, a Roma, eseguito come progetto speciale insieme a quattro ospiti venuti apposta dall’Iran. L’Errichetta Festival ha sempre un’atmosfera speciale! Poi, in quartetto a “Paesaggi dell’Arte” a Tarquinia, grazie a Emiliano Licastro.
Quale la dimensione di ascolto ottimale per ascoltare dal vivo la vostra musica?
Paolo Modugno - La fruizione in teatro forse è quella che ci si addice meglio.
Giovanni Lo Cascio - Certo, nel contesto di “musica da camera” è possibile la condivisione della nostra musica con un pubblico attento ed immerso nell’ascolto. Del resto la nostra è una musica ricca di dinamiche e sfumature, che credo meritino un ascolto concentrato.
Quanto è difficile portare a un pubblico più ampio questa musica? Cosa occorrerebbe fare?
Giovanni Lo Cascio - Occorrerebbe considerarla secondo me al pari della musica classica, potendo beneficiare di finanziamenti pubblici o privati che supportano la cultura e gli scambi culturali.
Che 2025 auspicate per Toranj Quartet?
Giovanni Lo Cascio - Mi auguro che sia un anno nel quale ci sia posto anche per proposte musicali e culturali come la nostra, non pensate per far ballare, per intrattenere o per spargere generici profumi esotici, ma per immergersi in un’esperienza di ascolto di musica “acustica” ricca di bellissime melodie, ritmi sofisticati, improvvisazione ed interplay.
Ciro De Rosa con la collaborazione di Edoardo Marcarini
Toranj Quartet – Kowli Var (Liburia Records, 2024)
Pubblicato nella significativa data del 21 Dicembre – il solstizio d’inverno, ma soprattutto “shab-e Yalda” nella persosfera – “Kowli Var” chiude il 2024 e intona la colonna sonora del 2025. Il disco è un eccellente debutto per Toranj Quartet, un ensemble a quattro che nasce dall’incontro tra due musicisti iraniani e due italiani. Ispirato dai materiali del repertorio classico iraniano e da altre correnti musicali del Caucaso, dell’Asia Centrale, del Medioriente e dell’Anatolia, il quartetto crea una rete di composizioni efficacemente orchestrate, e piacevolmente varie, dove le tradizioni incontrano la creatività e gli interessi dei singoli. Un piacevole bilanciamento tra composizione e improvvisazione, ritmo e sviluppo melodico non metrico, affiancati a una sperimentazione geografica che parte in Iran, spostandosi in Anatolia e nel mondo arabo, “Kowli Var” è un debutto di qualità rara. Perlopiù strumentale, il disco presenta una varietà di brani sorretti da diversi cicli ritmici architettati da Giovanni Lo Cascio (tombak, kanjeera, koozeh) e Paolo Modugno (bendir, dayereh) che sostengono i cordofoni di Hosna Parsa (kamânchéh) e Vahid Haji Hosseini (santur). Alla formazione principale si affiancano ospiti che arricchiscono ulteriormente il palinsesto sonoro con liuti (ʿūd e saz), voce, ed ulteriori percussioni. Supportati da un ospite d’onore, Homayoun Nasiri al tombak, “Shahr-e Avar Shodeh” e “Herman” introducono il disco e catturano lo spirito più movimentato delle musiche iraniane. Con giochi dinamici, spesso demarcati dall’intervento di nuovi strumenti a percussione o l’utilizzo di diversi cicli ritmici, i due brani catturano immediatamente l’ascoltatore. I punti di forza sono probabilmente l’introduzione contemplativa nel primo, seguita da un lento sbocciare in una sezione danzante, e l’incalzante ritmo in sette su cui è strutturata la melodia di “Herman”. La coppia di pezzi successiva – “Bad-I Saba Dost Eline Varirsan” e “Navaì” – accoglie la voce di Petra Nachtmanova. Il primo è più distintamente anatolico, sia per la qualità vocale che per la presenza del saz di Ufuk Elik. Il brano funge quasi da introduzione non metrica per il secondo, dove al saz si sostituisce il setar persiano. Il brano è di nuovo in sette e presenta forse il dinamismo più impressionante del disco, declinato dalla struttura ritmica, dalla progressione melodica che sale progressivamente, e dalle tessiture degli strumenti stessi. “Fattaneh” e la sua taksim sfoggiano invece le capacità di Peppe Frana all’ʿūd. Il preludio in particolare bilancia virtuosismo melodico improvvisativo ed espressione. Il brano in sé è un ottimo strumentale di stile iraniano dove l’eterofonia dei tre cordofoni costruisce un incastro dettagliato. “Goftegu I” e “Goftegu II” sono però i gioielli del disco. Esempi eccellenti di avaz, l’esplorazione melodica non metrica che caratterizza sopra tutte le strutture musicali la musica tradizionale iraniana, le due parti racchiudono la bellezza contemplativa della musica classica iraniana. Nel brano spiccano le abilità di Hosna Parsa e Vahid Haji Hosseini che un gusto melodico e dinamico quasi poetico sfoggiano le uniche capacità timbriche del kamânchéh e del santur. I due strumenti si prestano particolarmente a dialoghi strumentali per le loro complementari qualità timbriche. Da un lato la percussività brillante del santur è supportata dai lunghi tappeti del kamânchéh, che con la tensione variabile dell’archetto crea diverse colorazioni tonali nel sottofondo. Allo stesso modo, il santur con le sue dinamiche e strutture quasi arpeggiate riesce a slanciare i toni vellutati dello strumento ad arco, estendendo ulteriormente le sue capacità dinamiche ed espressive. Come chiama la tradizione, il disco non poteva però concludersi che con un brano metrico. “Kowli Var” accoglie nuovamente le percussioni che sviluppano il brano in un eclettico crescendo, orchestrato con l’accostamento di diversi strumenti. È sorprendente pensare che “Kowli Var” sia un lavoro di debutto, non solo per l’accuratezza delle composizioni, ma anche e soprattutto per la scioltezza dell’interplay tra musicisti, che grazie al reciproco ascolto creano brani basati sulla comunicazione e sul dialogo. Lo stesso vale per gli ospiti, la cui presenza non è puramente goliardica, ma ben curata nella scelta dei brani e nella strutturazione generale del disco. Toranj Quartet propone un lavoro immerso nella tradizione persiana ma che non si lascia limitare dalla rigidità dei suoi confini e delle sue forme, che spesso gravano sulla creatività anche dei più esperti tra i maestri della tradizione. Il dialogo con musiche adiacenti è anch’esso proposto in maniera naturale e in nessun modo forzata, mantenendo il centro della sensibilità musicale in Iran. È un privilegio avere un ensemble di rilievo sul nostro territorio, e ci auguriamo di gustare i frutti del loro lavoro sia sul palco che in nuovi dischi.
Edoardo Marcarini