Daniele Ledda & Paolo Angeli, Teatro del Conservatorio “G.P. Da Palestrina”, Cagliari, 23 febbraio 2024

Clavius” è anche un vinile, esordio solista prodotto da Ticonzero, con Emanuele Baratto che ha curato il mastering al Morphine Records di Berlino. Pubblicato nel 2022, oltre ai brani originali (Studio# 1, Studio# 2 e Studio# 4), contiene due rivisitazioni “Teardrop” dei Massive Attack e “Music for Airports” di Brian Eno. Le composizioni di Ledda non sono rigidamente strutturate, “sono delle cellule, delle strutture ritmico-armonico-melodiche che variano di volta in volta nelle diverse esecuzioni. L’improvvisazione è una parte assolutamente essenziale. La base generativa viene continuamente ampliata o ridotta”. Dell’incontro con Ledda, il chitarrista gallurese dice: “Ho conosciuto direttamente Daniele come spettatore del bellissimo festival che organizza, in precedenza conoscevo la sua attività estremamente costruttiva e determinante per la scena cagliaritana legata alle ‘conduction’ e a diversi sistemi alternativi e innovativi di conduzione della musica improvvisata. Però a ottobre scorso ho avuto modo di vederlo per la prima volta in solo con il progetto Clavius e mi ha affascinato tantissimo perché quello che all'apparenza sembrerebbe uno strumento che produce dei suoni legati alla musica elettronica, in realtà è uno strumento meccanico che parte dal suono generato acusticamente e col quale mi sono trovato estremamente a mio agio a dialogare”. Introdotta dal giornalista Giacomo Serreli, storico della musica sarda (imprescindibili i suoi tre volumi di “Boghes e sonos”), la serata di venerdì 23 si è articolata in tre sequenze, dando al pubblico intervenuto (oltre 300 presenze) nell’ottima sala del Conservatorio l’occasione di vedere all’opera, quasi senza soluzione di continuità, i due strumenti, prima solisti poi in dialogo. Ha aperto Daniele Ledda
proponendo la sua performance “orchestrale” sviluppata estemporaneamente, suonando alcune strutture presenti anche nel suo LP d’esordio, che si configurano come “organismi in continua evoluzione che non hanno una struttura definita”, in cui la base generativa viene continuamente modificata. Sono composizioni stratificate, incastri di suono acustico ed elaborato elettronicamente, che disegnano magnetiche ambientazioni riempite di lampi e ombre, ariosità e tensione, impeti rumoristi e sequenze liquide, percussioni profonde e ricchezza di armonici. Non solo gesto sonoro ma costruzioni affascinanti, porte di accesso a codici musicali che attraversano tempo e spazio, collocandosi a cavallo tra ambient, drone music, percussionismo e classicismo. Nel suo set Paolo Angeli ha ripreso tracce dai suoi più recenti lavori (“Níjar”, “Rade” e “Jar’a”) suonando un modello di chitarra preparata dal suono caldo e ricco, efficace per esprimere la variegata palette sonora, adoperando differenti tecniche: arpeggi, corde sfregate da un archetto, passaggi percussivi, uso di ostinati e di tempi asimmetrici che animano l’arte del musicista gallurese, dai palos flamenco alle forme danzanti, dai richiami sonori rivolti alla sponda sud del Mediterraneo al rock e al noise fino all’approdo al canto della Sardegna settentrionale. Quella di Angeli è compenetrazione di memoria e immaginazione, di trasfigurazioni, di sovrapposizioni e giustapposizioni. Superata l’intimità dei due solo, si è aperto il momento più atteso della serata con
l’accostamento dei percorsi di Ledda e Angeli, il primo dalla espressione più introspettiva, il secondo dalla fisionomia più solare. L’uno accanto all’altro, i due compositori si immergono e ci immergono in una estemporaneità “sinfonica” che si manifesta come flusso compositivo non strutturato. Si apprezzano la qualità dei timbri, l’esposizione ideativa, la coesistenza feconda tra trame multiformi e cangianti, le suggestioni sprigionate da comunanze e diversità dei loro strumenti. Così la racconta Ledda: “La terza sequenza suonata in coppia con Paolo è stata una forma aperta, una composizione istantanea basata su un dialogo improvvisativo. Durante il dialogo tra i due strumenti, bisogna stare in costante ascolto-reazione. Questa pratica che non dà naturalmente nessuna garanzia, ma è un rischio ed una sfida, mi ha pienamente coinvolto anche per l’impasto timbrico dei due strumenti, che in particolare sulle corde percosse e pizzicate e sull'uso dell'arco ha trovato similitudini e complementarità”. Da parte sua Angeli rileva: “È stata essenzialmente una primissima, un incontro interamente improvvisato, se non con una piccola citazione nella parte finale, di “Ramas de Sueño”, che è un brano registrato all'interno di “Níjar”. Ma anche in quel caso è stato interessante che sia arrivato a quella tonalità, a quel mood, a quel tipo di sonorità, senza aver provato, nel senso che c'è stata una convergenza naturale per cui mi sono trovato a citare una mia composizione all'interno di un flusso di improvvisazione. Quello che posso dire è
che il tipo di interazione fra le sonorità della chitarra a salda preparata e quelle del Clavius ha una compatibilità talmente forte che mentre suoni ti chiedi se quello che sta venendo fuori arriva dal tuo strumento o da quello del tuo compagno. Quindi credo che sia stato un incontro riuscitissimo all'insegna dell'improvvisazione, della musica ambient, del drone e dei grandi riferimenti della musica più legata proprio a una sonorità sospesa fra l'acustico e l'elettronico. Sicuramente è un esperimento in termini di incontro, Mi ha lasciato profondamente contento”
. Pur se si è trattato di una prima, la serata (oltre due ore di concerto) ci ha consegnato non una rivelazione ma una conferma che proviene da chi, mosso da spirito d’avventura e con sguardo sempre aperto, si apre al confronto performativo e all’ascolto reciproco (dimensione non scontata quando si è alle prese con strumenti autocostruiti in cui l’elemento autoreferenziale e di autocompiacimento è in agguato). La speranza è che i due artisti si ritrovino per tessere i loro attraversamenti sonori e possano giungere a una produzione che ampli ed esalti ancor di più le loro intuizioni. 


Ciro De Rosa

Foto di Marco Floris

Video courtesy of Daniele Ledda

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