Paolo Angeli – RADE (ReR Megacorp, 2022)

#BF-CHOICE
 

Nella sua nuova città, Valencia, Paolo Angeli ha incontrato la metafora che dà forma al suo nuovo album: il giardino botanico. Così come quel luogo sa far convivere piante della macchia mediterranea e della foresta pluviale, “Rade” tiene insieme ciò che dall’infanzia l’ha sempre legato al mare e in particolare al Mediterraneo, inteso come spazio di pace e di incontri, e ai porti – culle  di generi popolari, dal Rebetiko al Flamenco al Fado, al Tango, al Jazz. Al centro rimane la Sardegna, luogo da cui creare musica contemporanea con un ascolto libero da categorie predeterminate, da idee di ciò che è colto e ciò che non lo è, dove sia possibile accostare il gusto per l’improvvisazione, così come quello per il canto e per melodie che sono anche un periplo che nasce e  ritorna alla sua isola, dall’ottava di Aggius alla vetta di Tejalone, la cima di Caprera, passando per le luci, le nebbie, i venti del Mediterraneo e le sue materie sincretiche, dal miele e pistacchio della baklawa, alla paranza fritta, alla pece che per secoli ha sigillato gli scafi, ai tanti voli cui danno vita tortore, canarini, cardellini, merli, gabbiani, piccioni, per non dire dei desideri umani. Ad un anno di distanza dall’incontro propiziato dallo splendido “Jar’a” torniamo a conversare con Paolo Angeli di composizioni e peripli mediterranei.

Cominciamo da te: ha cambiato casa, vivi una nuova città. Cosa ha motivato il cambiamento? Come ti trovi e cosa porti con te di Barcellona?
La mia vita può essere suddivisa in tre grandi blocchi: la Sardegna fino ai 18 anni, Bologna fino ai 36, Barcellona fino ai 49. Dopo la pausa legata al Covid, che mi ha visto vivere in alternanza tra La Maddalena e Gergei (ai piedi del Santuario nuragico di Santa Vittoria), ho sentito la necessità di ritornare sull’altra sponda: la Spagna. Allo stesso tempo percepivo, già da diverso tempo, che a Barcellona si era esaurito un ciclo. La città assumeva sempre di più le sembianze di un drago divoratore di poesia, disegnato, con evidenti ragioni capitaliste e commerciali, su misura per il turismo di massa. A questo va aggiunto il dilagante nazionalismo e l'ideologia separatista. Tutto questo ha “dinamitato” l’anima multiculturale della città e la sua natura cosmopolita, situazione aggravata dal caro affitti, veramente insostenibile, e comportato l’esodo di tanti musicisti protagonisti della vita artistica della città. Ora, compiuti i cinquantuno, vivo a Valencia. In questa alternanza tra la Sardegna e la penisola Iberica mi sento a casa. La scelta di Valencia è stata una pura casualità e devo dire che era da diverso tempo che non trovavo una realtà così effervescente, dinamica, aperta alle commistioni musicali. Considera che, probabilmente anche grazie ai numerosi conservatori e alla Berkley School, si sta creando una situazione simile a quella che ho vissuto a Bologna negli anni novanta, con una scena musicale internazionale veramente stimolante. Da Barcellona inizialmente ho portato la sensazione di essere stato tradito da lei, una città che ho amato tantissimo, un senso quasi di un lutto da elaborare. Ora, dopo aver fatto tabula rasa, ritrovo in una città a misura d'uomo come Valencia, una maggiore facilità di incontro tra ambienti culturali, musicali e scambi tra generazioni di musicisti mediorientali, brasiliani, greci, siciliani, e la scena locale: è quello che cercavo
ed è accaduto con casualità!

Come e quando hai cominciato a lavorare a "Rade"? In che modo la sua gestazione ha intersecato quella di “Jar'a”?
In un certo senso “Jar'a” e “Rade” sono due fasi consequenziali: il primo racconta il ritorno nel grembo materno, la fragilità del ritornare in superficie dopo una lunga apnea, il secondo è la gioia di esserci, di riprendere a viaggiare per il mondo, a suonare a tutte le latitudini.
La gestazione del nuovo album ha avuto inizio già nel marzo 2020. Risalgono a quel periodo le prime bozze del brano Azhar, una versione era stata registrata nella sezione di “Jar’a” ma la trovavo troppo distante dal pensiero minimale e quasi austero dell’album. Nell’anno successivo, ho continuato a lavorare sul brano, in forma di appunti, a La Maddalena. Al mio arrivo a Valencia ho sentito la necessità di voltare pagina, di trasmettere a chi segue il mio percorso musicale, una fase estremamente gioiosa della mia vita. Sentivo che la sospensione temporale ed emozionale che si respira in “Jar’a”, non rispondesse alla voglia di far straripare un turbine di emozioni positive. Mi sentivo come un marinaio che, per causa di forza maggiore, è dovuto rimanere in porto. Dovevo lasciare la terra ferma e riprendere la navigazione libera. “Rade” è la sintesi del passaggio tra le due sponde, con un continuo riferimento alla Sardegna, trasfigurata, quasi avvolta da un’aurea che sa di miraggio. C’è la freschezza degli incontri, l’apertura. L’album è sicuramente più frastagliato e maggiormente legato ai precedenti lavori. È stato molto difficile realizzarlo. Ho dovuto dedicarmi allo strumento con una ricerca maniacale dell'esecuzione. Forse è stato il passaggio più difficile del mio percorso di compositore: l'immaginazione si scontrava costantemente con la pratica esecutiva.
Volevo forzare il limite e mi accorgevo che per farlo dovevo lavorare sullo strumento per tantissime ore al giorno. Questa disciplina domestica, trovava un'apertura quotidiana verso l'esterno, con la possibilità di ascoltare straordinari musicisti che hanno scelto Valencia come luogo di approdo. Rientravo da un concerto e cercavo di inserire questa realtà esterna così stimolante nella suite. Da qui nasce “Rade”, la risposta a una profonda urgenza creativa: rinascita necessaria.

Vuoi raccontarci il tuo lavoro vocale e il tuo rapporto con i testi che canti nell'album, il loro messaggio? 
Per me c’è una profonda differenza tra sentirsi Cantante o, viceversa, Cantore. Nel primo caso io non mi sento a mio agio: non ho mai voluto essere un cantante, ne ho mai cercato di affinare con lo studio questa pratica. Viceversa, essere Cantore, o Cantadore, è una sintesi che presuppone degli aspetti sociali e culturali: il primo è la comunità di appartenenza e la ritualità che si ha nel celebrare una ritualità laica come officiante. In Sardegna questo lo respiri nella liturgia e paraliturgia della Settimana Santa, o nella laicità del Canto a Tenore. Quando mi cimento con le melodie – che in gran parte sono sintesi talvolta fedeli (per esempio “Ottava”) o trasfigurate dei repertori a Tasgia (la polivocalità gallurese, ndr), del Canto a Chitarra e a Cuncordu – affiorano  quasi trent’anni di giornate condivise con grandissimi esponenti della nostra tradizione canora. Ma in questo caso, soprattutto nel brano Mare Lungo, inizio a intersecare in modo istintivo questa prassi con quella del canto flamenco. Sono stato travolto dalla bellezza di questa arte
nel 2010 ed ho il cuore diviso tra la Sardegna e la memoria orale del canto andaluso. In tutto questo inserisci la bellissima ricerca contemporanea portata avanti da diversi esponenti della scena creativa spagnola e ottieni un nuovo approccio alla tradizione. In “Ottava” si sente il loop ritmico della voce e una cassa sintetica (realizzata con il tallone). È un chiaro riferimento al Martinete di Enrique Morente, ma anche alle coraggiose variazioni della polivocalità corsa. I testi sono versi dei grandi poeti del ‘700 (Don Baignu Pes) e di poeti anonimi dell’800. Sono quartine che, estrapolate dalla poesia originale, si fondono con il clima surreale che si respira nel disco: “O leggera visione, che passi veloce come il vento, però lasci nel cuore, ferite di sofferenza mortale”. Puoi trovare quello che cerchi in questa quartina: l'intensità di un innamoramento, il miraggio di una sirena e quindi l'assenza di una storia non vissuta. Mi piace che nella vocalità e nella scansione delle sillabe, i versi diventino pura sonorità e si perda il significato. Eppure, in diversi punti dell’album c'è una profonda aderenza con il racconto: “prima di andarmene, vi lascio in custodia il mio cuore, non essere triste, mia gioia, del fatto che io vada via”. Non suona come il commiato di un marinaio dalla sua amata, o dal suo amato, che rimane sulla banchina della rada? Oppure è semplicemente la terra che stai salutando prima di affrontare il Mare Lungo. In tal caso lo stesso testo diventa il rapporto tra me e le terre in cui vivo per poi abbandonarle, con un profondo senso di rinascita.

Sei alla seconda tappa della tua collaborazione con Marti Jane Robertson, vuoi raccontarcela?
Io ho avuto la fortuna di collaborare sempre con tecnici di grande professionalità e ho sempre concepito il rapporto come un dialogo. Se con “Jar’a” ho potuto constatare la grande professionalità di Marti nella realizzazione del mastering, con “Rade” ho cercato di vivere con lei tutte le fasi del lavoro: la registrazione, il mixing e il mastering. Devo dire che raramente puoi trovare un partner che abbia la complessità e sensibilità di Marti Jane. Ha una conoscenza del suono acustico incredibile e una capacità di relazionarsi con la microfonatura particolarissima: come se si avesse a che fare con un fotografo che cerca l’angolazione da cui scattare. Dopo questa fase ho editato il disco in solitario, impostando gli equilibri generali. Il mixing è il momento il cui un album viene definito per il suono che avrà: può essere muscolare, dinamico, delicato, aggressivo. Il tipo di approccio di Marti in questa fase del lavoro è incredibilmente creativo e immediato. È veramente uno spasso osservarla mentre fonde analogico e digitale, acustico ed elettrico, soglia del rumore e valorizzazione dei suoni più piccoli. Poi c'è un lavoro sulla voce che da un ulteriore contributo al disco. Infine, c’è il master, che, a fronte di un mixing eccellente, non fa altro che confermare e ottimizzare quello che è stato fatto fino a quel momento. Credo che questa collaborazione sia un importante valore aggiunto al mio percorso e la modalità serena con cui abbiamo lavorato in studio con Marti e i suoi collaboratori, rappresenti per me un momento di grande gioia. L’intera sessione è stata ripresa da Alberto Diana: sarebbe bello produrre un documentario sul come è stato realizzato “Rade”.

Anche questo nuovo lavoro vede una particolare cura per la parte grafica: con chi hai lavorato e quali scelte avete compiuto?
In questo lavoro, dopo diversi decenni, Ale Sordi non ha potuto partecipare alla realizzazione della veste grafica. Siamo partiti dalle foto di Nanni Angeli, con cui lavoriamo insieme fin dal mio primo album. Nanni ha uno sguardo che in qualche modo trasmette tridimensionalità al pensiero musicale e dal primo 
lavoro accompagna i miei dischi. Abbiamo lavorato insieme in uno schooting, basato su uno trekking fantastico sulla vetta di Caprera (Punta Tejalone). Tra i resti dei forti sardo-piemontesi, riutilizzati nei conflitti mondiali del ‘900, c'è una casa con le pareti incredibilmente azzurre, la cui porta è esposta a levante, nella direzione del mare aperto. Questo senso di spazio e apertura lo ritrovi nella copertina di “Rade” e nelle pareti segante dal passo del tempo. A chiudere il cerchio c'è la collaborazione artistica con Manuche. Emanuela Porceddu cura dal 2013 le copie in edizione limitata dei miei lavori, con la sua originale sensibilità estetica, riesce a fondere il pensiero contemporaneo con le tecniche di stampa analogiche (serigrafia, cianotipia). Il suo è un contributo poetico preziosissimo, che viaggia in simbiosi con quanto accade tra le note del mio strumento orchestra. L’edizione deluxe di Rade, un vero e proprio libro d'artista da lei ideato e realizzato a mano, trasmette un pensiero artigiano, che ribadisce il concetto dell'importanza dell'autoproduzione. Con questa modalità si può realizzare un prodotto curato, che rispecchia integralmente la mia poetica e che si integra con quella del team dei collaboratori. In qualche modo la realizzazione grafica è l'altra dimensione, quella che vivi attraverso il tatto, lo sguardo e che cerca di restituire le emozioni dell'ascolto. Sono felice di avere un team affiatato che fa detonare il pensiero musicale.

Un anno fa non era possibile programmare attività dal vivo? Cosa è successo nel frattempo e che occasioni ci saranno di ascoltare “Rade” in concerto?
Dopo le prime due date al Ground Music Festival e al Jaazal di Alessandria, Rade, già dalla prossima settimana, prende il largo con il Montreal Jazz Festival, in un double bill con il leggendario Marcus Miller (ricordi Tutu di Miles Davis?). In quel caso sarà proposto in un teatro da 1500 posti. Ma non sarà difficile trovarlo in quei meravigliosi festival militanti, come quelli che ho citato prima, in una dimensione intima e circondati dalla natura. Oggi mentre raggiungevo l’aeroporto in taxi, il conducente ha iniziato a farmi ascoltare delle interpretazioni meravigliose di musica araba. Era algerino e nella sua selezione musicale è
passato dai grandi esponenti della musica egiziana per poi virare sugli interpreti attuali delle musiche Rai. Poi il volo è stato dirottato da Milano a Verona. Mi sono ritrovato a rincorrere l’ultimo treno disponibile per arrivare nei tempi al concerto. Dall’audio della stazione è partito un annuncio surreale: “il treno farà tutte le fermate, ad esclusione di Campo Santo”. Un mio carissimo amico ‘down’, mi citava sempre questa espressione per esorcizzare la morte, o meglio, per ridere insieme e vivere con intensità la vita. Tutto questo non potrai mai viverlo in un concerto in streaming. Così come non potrai mai capitarti di condividere un taxi con persone mai viste prima. Per questa ragione sono molto felice di aver ripreso l’attività concertistica, in cui il momento dell'esibizione è l'apice di una modalità di vita fatta di viaggi, incontri, scoperte. Nel mese di ottobre “Rade” verrà proposto dei festival e sale da concerto di Canada e Stati Uniti, con un tour che, sono sicuro, regalerà sorprese inaspettate. E poi cercherò di ripercorrere la mia storia nei luoghi militanti in Italia, con i quali ho condiviso trent’anni di cultura non allineata. Sarà una festa! Vi aspetto!

Come sta il tuo progetto dedicato interamente alla musica sarda? Quale Sardegna si ascolta in “Rade”?
Non mi voglio sbilanciare perché ne parlo con te da diversi anni! (ride, ndr) Ma realizzare “Rade” era fondamentale per lasciare spazio ad un album visionario e realizzato con una modalità collettiva. Quale Sardegna respiri in “Rade”? Quella che si vede lontani dalla costa, o all'ingresso di un porto carico di nafta 
e residui dopo una mareggiata. Ecco che allora appare una Tasgia riproposta in modalità monodica e una Sardegna immaginata, evocata e non dichiarata esplicitamente, che ha a che fare con timbro, vibrati, intervalli musicali, intenzione melodica, ritmiche. È una sorta di modalità narrativa legata all' improvvisazione, che poi viene elaborata in studio con filtri e distorsioni, ed ha a che fare con la poesia delle trombe geloso, con un passato che ci riconduce alle nostre feste popolari e che, oggi, trova l'incontro con la sperimentazione dell'Avanguardia Mediterranea, movimento di cui mi sento orgoglioso di essere parte integrante.


Paolo Angeli – RADE (ReR Megacorp, 2022)
È il suono del respiro, la sua poliritmia, a fare da tappeto sonoro a “Ottava”, il primo dei dieci brani raccolti da Paolo Angeli nel nuovo album, registrato a Cagliari con Marti Jane Robertson ad inizio marzo. Come per il brano di chiusura, “Andira”, la voce ha un ruolo da protagonista e soffia nelle nostre orecchie, dal XVIII secolo, i versi con cui il poeta di Tempio Dion Baignu Pes dette forma a "Lu pintimentu": “Li dulci russignoli / li canàrii, e li suai filumeni / primma d'iscì lu soli / alleviu più no dani a li me’ peni”. L’album è stato fatto salpare l’8 giugno, in concomitanza con la Giornata mondiale degli oceani, con un occhio particolare all’area del Mediterraneo e all’acqua “come elemento che unisce le sponde e non come un muro che ci separa. Io credo ancora nell’incontro tra i popoli, e “Rade” racconta un po’ tutto questo”. E ad aprire il secondo brano “Azhar” sembra esserci proprio le sirene di navi in procinto di salpare, di solcare la luce marina che “entra nelle nostre case, con la forza dirompente di un’avanguardia mediterranea trasmessa oralmente da un Caronte gioioso che, immaginando un mare che non conosce frontiere, si esprime con mille lingue, le usa per un attimo e poi le getta via”, un po’ come per i cambi di passo imbrigliati in un inedito domino elettro-acustico che sa costruire un sontuoso crescendo; ma l’ultima parola spetta alla chitarra, ora quasi nuda, ad inseguire passi di ballo. Se i primi due brani già riservano un’affascinante collana di sorprese, “Baklawa” compie un passo ulteriore ed attraversa il Mediterraneo in direzione della sponda meridionale, inerpicandosi per modi maghrebini e riservando al canto e alla poesia sarda del XIX secolo la parte conclusiva che va ad evocare “Oi Iahanades” di Papazoglou. “Rade è il mosto del secolo scorso, dimenticato nella cambusa, invecchiato, che lascia nei bicchieri di vetro il tannino, per abbandonarsi al ricordo di visioni leggere imbalsamate dalla salsedine”. A metà album, “Mare Lungo” fa trapelare anche il gioco di sponde fra il lato sardo e quello iberico del Mediterraneo che comincia ad aggiungere striature nutrite dal flamenco al generoso amalgama musicale coltivato da Paolo Angeli lungo i suoi dodici lavori solisti. A seguire, “Secche” riprende il registro acustico della chitarra invitandoci a esplorare quella zona senza tempo e senza un nitido perimetro armonico che acuisce i sensi ed invita all’ascolto e alla scoperta, quasi un preludio alle magie offerte da “Tejalone” che si propone lirica ed in crescendo. Se il suono del respiro punteggiava “Ottava”, il brano che da il titolo all’album si fa incorniciare dal ritmo delle onde del mare che imprimono il loro flusso altalenante anche agli intrecci sonori che avviluppano chitarra, elettronica e voce, a tratti stretti in un unico nodo, in altri momenti a dovuta distanza, a sollecitare l’ascolto sincronico di più registri e voci, attraversate e cucite da una stessa tensione, capaci di canti divergenti, perennemente istigati dagli elementi della biosfera: “O lezera visione / Chi lestra che bentu passas / Però in coro istigas lassas / De mortale apprensione”. “Rade” va a raggiungere “Jar’a” affinando la sensibile e, a tratti, commovente esplorazione sonora che Paolo Angeli sa compiere mettendo in connessione territori del passato e del futuro. L’edizione deluxe di “Rade” - sia del CD che del vinile - è accompagnata da un libretto d'artista realizzato da Manuche con, all’interno, un racconto diviso in cartoline che veicola l'atmosfera che ha permeato la realizzazione dell'album.


Alessio Surian

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