#CONSIGLIATOBLOGFOOLK
Se cercate un album di musica tradizionale – o in cui quantomeno musiche tradizionali abbiano specifiche e riconoscibili influenze – siete nel posto sbagliato. Gli artisti suonano sì molti strumenti, ma non si rifanno necessariamente a molte musiche. Lo stile è loro e loro soltanto, e a dettare la scelta degli strumenti sono sound design e preferenza artistica, più che la connessione degli stessi con un linguaggio musicale. Ci tengo a specificare questo concetto perché io in primis ho frainteso il disco al primo ascolto, premendo play con delle aspettative che non ho visto soddisfatte, ma un secondo riascolto meno pregiudizioso mi ha invece fatto notare tutti i pregi elencati sopra.
Il trio è composto da Ana Kravanja (voce, viola, daf, ocarine, mizmar, balafon, ribab), Iztok Koren (guembri, banjo, balafon, tank drum e percussioni) e Samo Kutin (voce, ghironda, tamboura, brač, lira, balafon, ocarina e tamburo a cornice). Il pennello dietro all’artwork è invece Marko Jakše, i cui personaggi fantastici e vagamente inquietanti animano copertina e booklet ed enfatizzano la componente evocativa e cinematografica del disco. Personalmente, ho trovato che il brano che più rassomiglia il design atmosferico di queste figure è “A Bluish Flickering”, il terzo in scaletta. Il pezzo gioca su contrasti, aprendosi con un duetto vocale a tratti intenzionalmente dissonante che lascia spazio al daf e a paesaggi vuoti e desolati che presagiscono l’arrivo della ghironda. Sulle lunghe note dello strumento si intensificano le dinamiche e si complica il vortice strumentale, fino all’arrivo dell’agognata risoluzione, portata dalle note più speranzose, seppur malinconiche, del banjo e delle voci. La narrazione di “Grazes, Wrinkles, Drifts into Sleep” è più lineare ma non meno trascinante: un susseguirsi e ammassarsi di elementi che portano, nella seconda metà, al febbrile apice emotivo del pezzo.
In chiusura, “I Unveil a Peppercorn to See It Vanish” pulisce il palato dopo un lungo pasto. In poco meno di quattro minuti ci riporta alle atmosfere della chiusura di “A Bluish Flickering”, in un momento di simil-tranquillità riflessiva.
Sono gli strumenti a rendere possibile questo gioco di umori che vanno e vengono, legando il disco in un intreccio di sensazioni. L’associazione di certi strumenti con determinate sensazioni, dinamiche e intensità è forse solo nella mia testa, ma porta coerenza narrativa in un album che rischia di perdere la bussola per lunghezza dei pezzi e varietà interna.
“The Liquified Throne of Simplicity” è un disco ammaliante ed espressivo, astratto e sperimentale, piacevole nella sua totalità ma sufficientemente intenso nei singoli brani da funzionare anche decostruito. Non è un caso che a produrlo sia tak:til, la branca più avventurosa dell’etichetta Glitterbeat Records che spesso propone dischi strumentali ed eclettici. Non resta che aspettare l’occasione giusta per vedere questi tre musicisti e circa venti strumenti su un palco, trascinati dal fascino magnetico della loro musica. sirom.bandcamp.com
Edoardo Marcarini
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