New Asia – Chorchok (CPL-Music, 2022)

Lo scenario della musica di ispirazione tradizionale del profondo nord siberiano è oggi lontano dall’estetica “autentica” folkloristica di epoca sovietica Difatti, negli ultimi decenni, sono andati sviluppandosi progetti di musica popolare emersi dalle “rovine” della tradizione ufficiale che mostrano forme di patrimonializzazione di forme rituali e di musiche (molto spesso fuse con linguaggi popular o di sperimentazione). Di questo vivace scenario dà conto uno splendido doppio album intitolato “Folk and Great Tunes from Siberia and the Far East” (CLP-Music), che vi invitiamo a cercare ed ascoltare, nel quale è rappresentata anche la musica dell’Altaj, da cui provengono i New Asia, un quintetto formato da Dobrynya Satin (canto, topshuur, ikili, shoor, tyadagan, khomus e amyrgy), Alexander Trifonov (composizione e tastiere), Roman Fionov (basso e sound engineer), Dmitry Krestovozdvizhensky (chitarra) e Kostantin Balakhnin (batteria). Diamo subito le coordinate dell’Altaj, Repubblica russa della Siberia meridionale confinante con Altai Krai, Tuva, Chakassia, Oblast di Kemerovo, Kazakistan, Cina e Mongolia. Per inquadrarla musicalmente, diciamo che l’Altaj si caratterizza per la presenza di forme di canto armonico, di strumenti tradizionali (liuti, vielle ad arco, flauti e percussioni), per repertori epici e forme di ritualità riconducibili a pratiche sciamaniche bianche. “Chorchok”, il titolo dell’album di debutto del quintetto, che si può rendere con “favole” o “leggende dei tempi antichi”. Quello dei New Asia è un folk a venature rock che li avvicina ad analoghe esperienze elettriche tuvane (Yat-kha) e mongole (Hangaai), solo per fare un paio di esempi di punta nella scena orientale dei suoni globali. Il programma di “Chorchok”, composto da sette brani – sei canzoni e uno strumentale – è aperto da un tema che omaggia il liuto a manico lungo a due corde “Topshuur”, strumento che accompagnava i racconti dei cantastorie e che, tradizionalmente, era anche la chiave di ingresso al mondo spirituale. Su liriche della folklorista Mira Demchinova, il cantato oscilla tra canto di gola e moduli folk/pop; l’impianto è quello di una classica ballad, con il topshuur in primo piano e inserti di synth fino al crescendo finale con la chitarra elettrica distorta. Inizia di gran carriera il successivo “Shunu Warrior”, che narra la storia di un eroico guerriero del XVII secolo. Qui, la musica di Altaj incontra hard rock e progressive. Segue “Konokrad” (musica di Trifonov su liriche di Sergey Tadykin), una canzone umoristica su un ladro di cavalli: procede a ritmo baldanzoso con tanto di effetti percussivi e vocali che imitano il passo e il nitrito equino. Insomma, spira un’aria western in cui d’improvviso si inserisce il canto armonico e, subito dopo, un’inusitata sequenza reggae nella sezione centrale del pezzo. “Strannik” (Il girovago) è un lungo motivo interamente strumentale (le voci effettuano solo vocalizzi) che, dopo l’intro di canto di gola, si sviluppa su una ritmica portata da basso e batteria su un tappeto di tastiere su cui si innestano i riff di chitarra elettrica che incrociano i liuti tyadagan e topshuur e, soprattutto, la viella ad arco ikili, il cui suono ricorda il fischio del vento secondo antiche credenze locali aveva il potere di calmare gli spiriti della taiga. In “El Oyin” ritorna il piglio folk-rock con spruzzate di ska che ben si addicono alla descrizione di giochi e sport popolari che animano la festa nazionale chiamata per l’appunto El Oyin. Il flauto pastorale diritto shoor crea l’atmosfera per “Kai Chorchoktiy Altaida”, testo di Nikolay Bagyrov, una slow ballad che celebra l’Altaj nei suoi paesaggi, nella sua storia e nei riti. In chiusura c’è “Derevenskie Tancy” (Danze del villaggio), un altro motivo molto vivace, una sorta di cavalcata a metà strada tra taiga e nelle praterie del Midwest. 


Ciro De Rosa

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