Potevano non incrociare, prima o poi, i loro strumenti orchestra due estri visionari e innovatori come Paolo Angeli e Daniele Ledda? È avvenuto nella serata di venerdì 23 febbraio all’Auditorium del Conservatorio “G.P. Da Palestrina” di Cagliari, per un concerto organizzato dall’associazione Ticonzero, come sorta di anteprima del cartellone della diciottesima edizione del Festival Signal Reload, rassegna di musica elettronica, d’avanguardia e di sperimentazione dallo sguardo trasversale su ricerche in campo visivo, performativo e live media.
Paolo Angeli, il musicista di Palau residente a Valencia, ben noto inventore e sviluppatore della chitarra sarda preparata, in implementazione continua, ha intrecciato le sue corde con le note del Clavius, insieme di strumenti autocostruiti da Daniele Ledda, compositore, ricercatore e artista sonoro. Dell’Associazione Ticonzero e di Signal Reload, Ledda è direttore artistico. Parliamo di una sorta di laboratorio permanente, il cui fine è valorizzare artisti ed esperienze locali multidisciplinari e favorire connessioni e commistioni tra linguaggi artistici. Docente di Musica Elettronica proprio al Conservatorio di Cagliari, oltre a essere creatore di numerosi progetti musicali, Ledda ha collaborato, tra gli altri, con Marcus Stockhausen, David Shea, Otomo Yoshihide, Marco Cappelli, Marc Ribot ed Elliott Sharp.
Se l’assunto del pianoforte preparato cagiano può essere il punto di partenza concettuale per operare una modifica meccanica che innesti nuovi timbri, per Ledda si tratta però di un’espansione di un diverso
sviluppo, perché di fatto in scena il compositore non suona un pianoforte. Così Ledda mi racconta del suo Clavius: “È una famiglia di strumenti che ho cominciato a costruire intorno al 2016 e, provengono, sostanzialmente, dalle meccaniche di strumenti tradizionali a tastiera, in particolare pianoforte e clavicordo. Il nome deriva da due ragioni: Clavius è il nome di un cratere lunare, che è anche nominato in “2001 Odissea nello spazio”; da un lato c’è una suggestione cinematografica, dall’altro è anche, c'è il prefisso “clavi”, che sta per tasti. Di base c'è l'idea di creare un nuovo strumento: un’idea forte ed anche un po' politica di rifiuto dello strumento dato. C’è l'esigenza di personalizzare, di autodeterminarsi anche lo strumento, perché gli strumenti musicali vengono consegnati a noi dalla storia, dalla tradizione, ma anche dall'industria. In realtà, fin da ragazzino, ho avuto questa idea di modificare gli strumenti. Ho dovuto attendere una certa maturità, una certa autonomia, per poter dare luogo a questa cosa qua… Di fatto, l’idea era di creare uno ‘strumento aumentato’, cioè uno strumento che, in qualche modo, è legato alla tradizione, perché proviene da strumenti importanti, come il clavicordo e il pianoforte, ma, sostanzialmente, viene snaturato. La prima azione che ho fatto, è stata di prendere una meccanica del pianoforte e fare in modo che i martelletti colpissero non delle corde, ma degli strumenti a percussione. In sostanza di ottenere una sorta di pianoforte a percussione, il cui suono non ha nulla a che vedere con il
pianoforte stesso. Però, l’interfaccia è la stessa, pur se modificata. Stessa cosa con il secondo strumento costruito, una sorta di clavicordo che è come se fosse una chitarra, però pilotata da una tastiera. Mentre negli strumenti, nei classici strumenti, pianoforte, clavicembalo, clavicordo, c'è una corda per nota, in questo che ho realizzato ho tre ottave di estensione con solo quattro corde; è una sorta di clavicordo ma molto più agile, molto più piccolo. Questi strumenti hanno un suono acustico ma, in realtà, sono farciti di tecnologia, perché hanno dentro tutti i sensori sui tasti, tutti i sensori MIDI sono amplificati e interfacciati a un software, al computer. Lavoro su strumenti che sono di fatto ‘aumentati’: c’è una base acustica e vari strati elettronici, digitali. La tastiera rimane la mia interfaccia principale, ma ci sono anche delle corde libere che suonano con l’arco. Da lì ricavo una sonorità che si avvicina un po’ all'orchestra d'archi. In più, ho una pedaliera che non è meccanica ma è basata sul tocco (per questo suono scalzo), con cui, sostanzialmente, faccio suono le linee del basso. Le prime versioni del Clavius erano strumenti enormi, che non uscivano anche dallo studio. Negli anni li ho dovuti modellare, rimpicciolire, ottimizzare, anche e soprattutto per trasportarli”.
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