Questo scritto nasce come piccolo approfondimento di una testimonianza di Roberto De Simone ascoltata per caso su YouTube e vuole essere anche un omaggio per il compimento dei suoi novant’anni. Il Maestro napoletano poneva l'attenzione sugli storici rapporti tra oralità e scrittura e tra musica 'colta' e popolare, ma anche su come vi sia oggi la necessità di ulteriori riflessioni. La cosiddetta “Tarantella del Gargano” è l’esempio che egli indica ed è anche quello da cui partirò in quest’articolo Una delle prime tarantelle scritte su pentagramma è quella di Athanasius Kircher che fa parte della sua Musurgia Universalis del 1650 ed è inserita nel contesto del fenomeno del ‘tarantismo’. Il brano rappresenta l‘"Antidotum tarantulae", ovvero la cura dal morso della tarantola che, grazie alla ostinata ripetizione della stessa formula ritmica e accordale, conduce ad una sorta di stato catartico di ‘trance’.
Non ci è dato sapere fino a che punto questa struttura sia stata elaborata da Kircher in base a un precedente testo scritto oppure se la abbia ascoltata in Italia e l'abbia trascritta a posteriori. Proseguendo il nostro ideale viaggio arriviamo ai primi del Settecento quando Gaetano Greco era insegnante presso l’allora Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo di Napoli ed aveva come allievi personalità musicali come Leonardo Vinci e Giovanbattista Pergolesi. Il Maestro napoletano è noto soprattutto come autore di ‘partimenti’, ovvero la tecnica didattica allora utilizzata al fine di trasmettere una modalità improvvisativa e compositiva pratica.
La sua tarantella fu probabilmente composta con questo scopo e il basso ostinato veniva utilizzato probabilmente come partimento per le esercitazioni degli studenti nel conservatorio napoletano; di Greco ci rimangono anche molte danze dal sapore popolare, come la sua versione della famosa canzone “Il ballo di Mantova”. D’altra parte questo suo stilema al confine tra ‘colto’ e popolare si ritrova anche in opere dei suoi allievi, si pensi al carattere popolareggiante di molte ‘arie’ de "Li zite ‘ngalera" di Leonardo Vinci. Ritornando a Gaetano Greco, proponiamo l’ascolto della sua Tarantella indicandone sotto l’andamento del basso ostinato.
Si notino le similitudini con la Tarantella di Kircher ma soprattutto con quella ormai nota come “Tarantella del Gargano” che in realtà proviene in modo specifico da Carpino, vero centro nevralgico di questo delicato stile di canto d’amore delle montagne del Gargano e qui interpretata da uno dei più importanti Cantori di Carpino (come viene indicato in un CD a cura di Eugenio Bennato) 1. La voce solista è quella di Andrea Sacco.
'Sta donnìI comme dee fariPi amà sta donnì?Di rose dee fareDi rose dee fareDi rose dee fareNu bellu ciardiniNu bellu ciardiniDi rose dee fareNu bellu ciardini'Ntorni, d'intorni lei'Ntorni, d'intorni lei'Ntorni, d'intorni leiAnnammurariLei annamurati'Ntorni, d'intorni leiAnnammurariDi prete preziosi e ori finiMezzo ce la cava 'naMezzo ce la cava 'naMezzo ce la cava 'naBrava funtani'Na brava funtaniMezzo ce la cava 'naBrava funtaniE ja ja ca corri l'acquaE ja ja ca corri l'acquaE ja ja ca corri l'acquaSurgentiviL'acqua surgentiviE ja ja ca corri l'acquaSurgentivi'Ncoppa ce lu mette 'na'Ncoppa ce lu mette 'na'Ncoppa ce lu mette 'naAuciello a ccantariN'auciello a ccantari'Ncoppa ce lu metteN'auciello a ccantariCantava e repusavaCantava e repusavaCantava e repusavaBella diceva
Rispetto alle altre forme similari, come la tammurriata napoletana, la pizzica salentina, la tarantella calabrese e siciliana, la “Tarantella del Gargano” ha un movimento complesso che sintetizza la tonalità maggiore e minore attraverso il movimento relativo di due cadenze perfette: V—I (in Do maggiore) V—I (in La minore), ciò farebbe pensare ad una suo origine ‘colta’ e quindi scritta.
Questo stile di canto si distingue anche per gli scivolamenti infratonali della voce, l'ambiguità maggiore / minore e il rapporto metrico ‘due contro tre’ che si verifica tra la voce solista e l'accompagnamento ritmico tradizionalmente dato da chitarra battente, chitarra a sei corde (detta ‘francese’), tamburello e nacchere.
A questo punto ci si pone una domanda: la Tarantella del Gargano deriva da una struttura scritta preesistente, come il già visto partimento di Gaetano Greco, o è il contrario? La risposta è difficile quanto dire se sia nato l’uovo o la gallina. Certo è che ancora oggi esiste nella tradizione orale del Sud Italia.
De Simone parla di un nutrito gruppo di napoletani, tra cui sicuramente dei musicisti, che nel Seicento si sarebbero rifugiati in un'isola del Gargano a causa della peste e lì sarebbe potuta avvenire la contaminazione.
Proseguendo il cammino storico di questo canto, il topos della "Tarantella del Gargano" arriva fino all’Ottocento quando il compositore francese Camille Saint-Saens ne fa una versione per flauto, clarinetto e pianoforte, ancora una volta ritroviamo il basso ostinato.
Ritroviamo ancora lo stesso basso ma quello che più è sorprendente che il compositore del ‘Carnevale degli animali’, il quale in fatto di parodie musicali se ne intendeva molto, ha preso probabilmente come spunto un tarantella specifica che è quella detta ‘dell’avena’, ovvero il canto “Lu Passariellu” che presenta molte similitudini con la Tarantella di Sannicandro. Questo canto lo ritroviamo oggi in una versione borderline e molto barocca, rielaborato (quindi riscritto) dell’Arpeggiata di Christina Pluhar, interpretato da Lucilla Galeazzi e Marco Beasley nell'album dal titolo kircheriano "Antidotum Tarantulae", che ascoltiamo quindi in modalità di ‘oralità secondaria’.
O re, re, lu passariello ‘nta ll’avenaO re, re, lu passariello ‘nta ll’avenaE si nun lu va’ a paràE si nun lu va’ a paràE si nun lu va’ a paràTutta ll’ avena se magnarrà’O riavulo, o riavulo, stanotte’O riavulo, o riavulo, stanotteMugliereme è cadutaMugliereme è cadutaMugliereme è cadutaDa lu liette.’O riavulo, o riavulo, stanotte’O riavulo, o riavulo, stanotteLa jatta s’ è magnataLa jatta s’ è magnaLa jatta s’ è magnataLi cunfiettePigliatella la palella e ve' pe focoVa alla casa di lu 'nnamuratePìjate du' ore de passa jocoSi mama si n'addonde di chieste jocoDille ca so' state faielle de focoVule, die a lae, chelle che vo la femmena faLuce lu sole quanne è buone tiempoLuce lu pettu tuo donna galanteIn pettu li tieni dui pugnoli d'argentuChi li tocchi belli ci fa santuChi li le tocchi ije ca so' l'amanteIm' paradise ci ne iamme certamenteVule, die a lae, chelle che vo la femmena fa
Come ultima tappa del nostro viaggio tra ‘colto’ e popolare proponiamo una tarantella nata nella tradizione di Carpino interpretata ancora da Marco Beasley e presentata nel precedentemente citato CD dell’Arpeggiata proprio con il titolo “La Carpinese” in cui emerge un evidente arrangiamento tra oralità e scrittura:
Pigliatella la palella e ve' pe focoVa alla casa diVa alla casa dilu 'nnamurateVa alla casi di lu ‘nnamuratePìjate du' ore de passa joco.Si mama si n'addonde di chieste jocoDille ca so' stateDille ca so so stato.Dille ca so stamo faielle de focoVule, die a lae, chelle che vo la femmena fa.
Da questa versione sono partito per trascriverla in una versione facile per 3 chitarre, rifacendo il percorso dall’oralità alla scrittura:
Il problema del rapporto tra l’oralità e la scrittura, tra il ‘colto’ e il popolare è di per sé molto complesso. Tuttavia, può diventare un’opportunità di riflessione dalle molte sfaccettature su un argomento di cui studiosi di varie discipline stanno indagando da tempo. Pertanto, una conclusione, sia pure provvisoria, sarebbe un modo frettoloso per liquidarlo. In questa sede, basti dire che alcune forme cicliche e ripetitive nate nel XVI secolo dall’incrocio tra la strada e la corte, come la tarantella, la passacaglia, la ciaccona, la follia, si ritrovano sul terreno comune dell’improvvisazione dettate dalla contingenza collettiva e dalla sensibilità e creatività individuale, nel momento in cui vengono stilizzate e scritte diventano composizioni. Nota De Simone che non possiamo sapere con esattezza come storicamente siano state applicate queste prassi e per eseguirle non ci possiamo solo affidare alla vaghezza e imprecisione del segno scritto. Ci dobbiamo solo appellare, dunque, da una parte allo studio accurato delle prassi musicali antiche attingendo dai trattati (pensiamo solo all’aspetto ritmico nella musica barocca), dall’altra ad una catena di testimonianze orali che ci riportino al contesto originario. La tradizione musicale orale ha bisogno di essere in qualche modo di essere annotata, ma anche la musica scritta, come sostiene Roberto Leydi, ha una tradizione orale. Questo, se non una conclusione, può essere sicuramente un valido punto di ripartenza.
Francesco Stumpo
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1 Per uno studio sistematico sul repertorio carpinese, si rinvia al volume con 2 CD audio di Salvatore Villani, “I cantori e musici di Carpino. Le tarantelle del Gargano” (Nota, 2014), contenente una Premessa di Roberto De Simone e la Presentazione di Roberto Leydi. Qui, l’autore, che vanta una trentennale ricerca sul campo nell’area garganica, analizza il canto lirico monostrofico e varie forme di tarantella (Vistesanë, Rurëjanë Mundanarë). Le tarantelle, i Sunèttë e le ballate di Carpino costituiscono una base tradizionale a cui pochi esecutori hanno saputo sottrarsi, a partire dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare che, sotto la direzione artistica di De Simone, qui “scoprì” la “Tarantella del Gargano”.
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