Alfio Antico – Ricotta Salata (Onyx Dischi, 2023)

È frutto di una serie di fortunate coincidenze, questo ritorno di Alfio Antico, a tre anni di distanza da quel “Trema la terra” che gli valse la cinquina alle Targhe Tenco. Tutto nasce da un live che l’Alfio Antico Quartetto (per l'appunto, Antico a voce e percussioni, Raffaele Brancati a sax tenore, clarinetto e flauto, Paolo Sorfe alla chitarra e Amedeo Ronga al contrabbasso) hanno tenuto all'abbazia di Montescaglioso, in Basilicata, per celebrare i vent'anni di “Anima 'ngigniusa”, primo disco del nostro. Da quel concerto, nasce, appunto, “Ricotta salata”, impreziosito da cinque inediti che il quartetto registrò in quei giorni. Undici tracce in totale: oltre ai cinque inediti, quattro (“Lettera d’amuri”, “Frasturnatu”, “Intro pensa e ripensa” e “Desiderio e serenata”) sono tratti proprio da “Anima 'ngigniusa” e poi ci sono “Lu munnu” e “La foglia”, a disegnare una delicata e toccante cartografia mediterranea. Album aperto da “Fauno” e dal colloso pattern ritmico disegnato dal tamburo a cornice, su cui poggia il recitato di Antico, scortato dagli arpeggi della chitarra classica e dalle incursioni del clarinetto e, in maniera tanto estemporanea quanto centrata, delle campane dell'abbazia di Montescaglioso. A seguire, l’intensa “Lettera d'amuri”, con uno svolazzante ed argentino clarinetto a scorrere lungo le note callose del contrabbasso e le svisate cucite dalla chitarra classica, appena screziate dai tamburi a cornice. La title track si snoda lungo le trame ossee del tamburo a cornice, ben scortato dalle linee frenetiche del contrabbasso, su cui poggiano i ricami della chitarra classica e le visioni ancestrali del sax. “Ricciulinedda” è scandita dall'arpeggiare umido della chitarra, col clarinetto a scavare abissi che introducono a “Desiderio e serenata”, in cui una delicata linea di contrabbasso incornicia perfettamente gli arpeggi della chitarra e gli schizzi variopinti del flauto. “Treno a carbone”, probabilmente uno dei momenti più interessanti dell'intero concerto, è un delirante strumentale, in cui il tamburo a cornice si trascina su rotaie di roccia, dispiegando la sua anima migrante. Anche “Frasturnatu” si lascia guidare dall’incedere inesorabile del tamburo, accompagnato dalla voce nuda di Antico. “Intro pensa e ripensa” si arrampica sulle architetture ritmiche costruite dal tamburo e squarciate dall’archetto del contrabbasso, ispessite dalle frasi e ostinate della chitarra e dilatate dai contrappunti del clarinetto. “Lu munnu”, estasiata dai fumi ellenici del ritornello (compariva, difatti, su un album di Sofia Mavrogenidou), gioca sull’incontro fra gli arpeggi ritmici della chitarra e le incursioni ventose del clarinetto, con il contrabbasso a disegnare una linea legnosa ed evocativa. “Tilochi tilochi” s’infiamma della ritmica forsennata che tamburo, contrabbasso e chitarra gli animano intorno, col flauto che sfida le fiamme inserendosi con le sue volteggianti intuizioni. A chiudere disco e concerto è la delicata “La foglia”, scandita dalle eleganti note distillate dalla chitarra, ben scortate da una languida linea di basso e dal tappeto vellutato del sax, con un tamburo a sferragliare in punta di piedi. In conclusione, e correndo coscientemente il rischio di essere banali, ci troviamo all’ascolto di un album enorme: è impossibile non sottolineare come ogni emanazione artistica di Alfio Antico finisca per diventare tassello fondamentale di una grammatica collettiva di tutti i Sud del mondo. C’è di tutto, in questo “Ricotta salata”: ricerca, tecnica, radici, ironia, terra, mare, sabbia, pietre. Insomma, un vero gioiello. 


Giuseppe Provenzano

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