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Foto di Giacomo Brini |
Alfio Antico, il cantore-tamburo di Lentini, torna con un nuovo album ricco di suggestioni, incentrato sulla sua canzone, sulla sua visione musicale e, di riflesso, sulla narrativa popolare. “Trema la terra” si configura, così, come un racconto che si svolge nella nostra contemporaneità, nella quale la tradizione musicale c’è, ma vive nelle nostre interpretazioni. A voler essere più precisi, vive nelle interpretazioni di chi ne assorbe spirito e contraddittorietà, componendo un racconto nuovo e vecchio. Che, inserito in un circuito di narrazioni speculari, agisce nella prospettiva del rinnovo e della rivitalizzazione della cultura espressiva popolare. In questo quadro i brani del nuovo album di Alfio Antico sviluppano una nuova estetica popolare. Innanzitutto perché utilizzano il dialetto, che compenetra tutti gli strumenti, ancorandoli a un racconto inevitabilmente locale e che, per questo, si imprime in una cornice poetica irriducibilmente popolare. In secondo luogo perché - nella dimensione dell’evocazione, a sua volta vincolata allo studio, alla comprensione, alla condivisione di un codice “mobile” - la musica richiama quell’estetica, attraverso l’utilizzo di tamburi a cornice e altri strumenti antichi e tradizionali (che dialogano con “voci” di diversa natura, come, ad esempio, l’elettronica o i suoni ambientali).
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Foto di Julia Martins |
Questo, a sua volta, ci suggerisce che si tratta di un’estetica rimodulata dentro una scelta di rappresentazione - insomma elaborata dentro una dimensione artistica - che connette l’album, e il processo attraverso il quale si è compiuto, a ciò che noi chiamiamo world music: termine che ancora oggi dice ben poco se non constestualizzato in una dimensione storica, sociale e, appunto, artistica. In ogni caso, il risultato del lavoro di Alfio Antico è piacevole e interessante. Non solo perché sottende una ricerca - che l’autore, come è noto, ha intrapreso da molti anni - ma anche per la capacità di comunicare in modo chiaro le istanze di una musica che aderisce alle esigenze di chi la produce. In questo senso, le esigenze che si esplicitano nei nove brani dell’album rientrano pienamente dentro quell’approccio critico alle musiche popolari. O, per essere più precisi, dentro quell’approccio alle musiche che si ispirano a un patrimonio di suoni e immagini legate alle narrative di tradizione orale (sempre selezionate, scartate, smistate, smembrate dagli autori, attraverso un processo dal quale riemergono solo scampoli). “Trema la terra”, per questi motivi, ci lascia intendere - e ce lo dimostra concretamente con suoni e parole - che il concetto stesso di musica popolare è più complesso di quanto molti siano portati a pensare, e certamente travalica quelle interpretazioni che ne riducono gli effetti al richiamo nostalgico, al mero ricorso a qualcosa di stabilito e certo (certificato?),
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Foto di Julia Martins |
e quindi, pietrificato nella non-storia delle culture popolari.
Il titolo dell'album "Trema la terra" sembra riassumere il suono che producono innanzitutto le percussioni. Possiamo fare questo parallelismo, oppure il titolo ha un significato più complesso?
"Trema la Terra" è un canzone che racconta una cosa che mi capitò tempo fa: ho in testa il ricordo di una montagna e di un trattore che la stava "sballando" (smuovendo). Pensai "che strano!"; tanti anni dopo tornai in quel posto e mezza montagna praticamente non c'era più, ecco, forse quel lavoro era stato fatto male. Ho cercato di descrivere poeticamente la sofferenza di una montagna e i monti sono stati la mia famiglia per molto tempo, anzi lo sono ancora, perchè Alfio continua ad essere un pastore.
Scorrendo le informazioni presenti nell'album ci si rende conto che le percussioni, come è naturale, abbiano un ruolo fondamentale. Può parlarci di quali tamburi ha utilizzato e come si inseriscono, a seconda del tipo e del timbro, nei brani?
Ho utilizzato Tamburi nuovi, devo essere sincero. Inoltre ho suonato un catino di metallo come fosse un Tamburo. Ci sono Tamburi muti e con i sonagli e campane, è difficile dire come si inseriscono, per me sono una voce, cantano in un certo senso i brani, sono vivi.
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Foto di Julia Martins |
Si inseriscono con animo gentile.
Oltre alle percussioni la presenza delle corde è importante. Si potrebbe dire che l'album è stato costruito soprattutto sul dialogo tra queste due dimensioni?
Ridurlo a queste due dimensioni forse non è correttissimo, però tutto è partito da me che faccio conoscere i brani, voce e Tamburo oppure voce e chitarra. Da qui siamo partiti e abbiamo aggiunto molte corde, ma ci sono anche altre dimensioni: i sintetizzatori, ulteriori Tamburi che, come dicevo prima, cantano. Poi, se dobbiamo andare nel dettaglio, il disco è partito con Mattia Antico e Cesare Basile, di base sono due chitarristi, suonano un po' di tutto, ma sulla lavorazione di partenza iniziano dalle corde, poi anche grazie a Gino Robair sono arrivate ulteriori dimensioni.
Il rumore e gli effetti digitali partecipano spesso alla narrazione dei brani. Mi riferisco in particolare a un brano come "Nun N'aiu sunnu", in cui anche le voci determinano ciò che sembra l'incedere di una cantilena e, allo tesso tempo, di una denuncia, di una critica cantata.
Attenzione, io non sono un gran intenditore di questi elementi, il mio strumento è il Tamburo, ma gli effetti usati e specialmente l'incisione di "Nun N'aiu sonnu" è tutta analogica.
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Foto di Julia Martins |
I rumori e gli effetti che sentite sono saturazioni di strumenti a corda costruiti da Cesare, sono organi effettati, voci e cori, archetti, Tamburi e delle molle usate con archetto oppure percosse. "Nun N'aiu sonnu" è un testo di una notte passata a guardare le stelle, lì ho pensato al mondo che mi circonda e a quello che vedevo quando ero pastore, sono due parallelismi.
"Rijanedda" ha una grande forza descrittiva, sia nel testo che nella musica. Può descriversi l'idea del brano e il lavoro di arrangiamento? Anche qui corde e voci si compenetrano per sorreggere la lirica e l'andamento melodico della canzone.
Esatto, questa è una canzone molto intimista, è la descrizione di una rondine che in qualche modo rappresenta il sentimento amoroso. In questo brano, al quale sono molto legato, non c'è Tamburo, per me è molto strano, ma è riuscito.
"Pane e cipudda" sembra richiamare un talkin'blues molto waitsiano. La musica è acida e allo stesso tempo molto melodica, soprattutto nella ripetizione dell'arpeggio delle corde. Si sente ispirato dalla tradizione americana del racconto cantato, oppure ritiene che la forza descrittiva sia più vicina alla tradizione popolare siciliana?

Ritornano spesso i suoni dei campanacci. Sembrano scandire un cammino musicale che altrimenti non renderebbe con lo stesso effetto. Ricordano il paesaggio sonoro tradizionale, ma in un contesto come quello del disco sembrano assumere anche un timbro profondo, quasi di monito. Può darci la sua opinione in proposito?
Mi piace l'idea del "cammino", le mie campane sono quelle delle mucche e delle pecore, quei suoni avvengono con i loro movimenti, con i loro cammini.
Si riconosce un lavoro molto attento sul timbro dell'album. Si direbbe che, nonostante il dialetto
e i tamburi, l'album ha un suono etnico e non semplicemente tradizionale, né tantomeno siciliano. Si riconosce in questa descrizione?
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Foto di Julia Martins |
Si, come ho detto sopra, mi piace miscelarmi. Io ho una mia strada, tutto parte da lì, poi c'è tutto il resto. L'incontro è importante.
"Vendemmia" è forse il brano con i riferimenti più forti alle strutture musicali tradizionali. Anche qui però, al di là della struttura, ogni elemento sembra trascendere dai riferimenti più riconoscibili. Può essere considerato un esempio di come la tradizione musicale locale può essere oggi riproposta e presentata anche a un pubblico internazionale, magari già preparato a raccogliere nuove forme di musiche di ispirazione popolare?
Esatto, è un modo per dare a quella tradizione una vita nuova.
Alfio Antico – Trema la terra (Ala Bianca Group, 2020)

Daniele Cestellini