Dudu Tassa & Jonny Greenwood – Jarak Qaribak (World Circuit Records, 2023)

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Chiunque conosca e segua sia Tassa che Greenwood si è probabilmente trovato a fremere in trepidante attesa di “Jarak Qaribak” sin dall’annuncio di questa collaborazione. Il disco, pubblicato da World Circuit Records, è un canzoniere moderno che raccoglie canzoni d’amore dal Medioriente e dal Nord Africa, presentate con sonorità ibride, come dice Greenwood, “come i Kraftwerk avrebbero fatto se fossero stati al Cairo negli anni ‘70”. Ma il miscuglio non è solamente stilistico, gli stessi interpreti – che cambiano di canzone in canzone – cantano brani non del loro paese d’origine. Così “Djit Nishrab”, canzone degli anni ‘40 del cantante algerino Ahmed Wahby, è interpretata dall’egiziano Ahmed Doma, “Leylet Hub” del grande compositore egiziano Mohamed Abdel Wahab viene affidata al marocchino Mohssine Salaheddine. D’altra parte, il titolo del disco si traduce grosso modo in “il tuo vicino è tuo amico”, titolo che può sembrare politico anche se l’intenzione degli artisti non lo è. Entrambi hanno infatti dichiarato di aver attentamente esaminato i testi dei brani scelti per evitare ogni rimando politico, anche se le tensioni geopolitiche della zona avranno sicuramente reso l’organizzazione delle registrazioni un inferno burocratico. Oltre a possedere ottimi curriculum, entrambi gli artisti hanno già esperienza nella reinterpretazione di materiali tradizionali, di antico retaggio, e appartenenti a culture non necessariamente loro. Nel 2015 Greenwood rilascia, con Shye Ben Tzur e The Rajasthan Ensemble, l’album “Junun”, un disco di musica qawwali cantato in urdu, hindi, ed ebraico. Dudu Tassa ha invece realizzato due album con il progetto “Dudu Tassa and the Kuwaitis” in cui riarrangia e crea sample da brani tradizionali iracheni, molti dei quali scritti e interpretati da suo nonno e
dal suo prozio Daoud e Saleh Al-Kuwaiti. In entrambi casi il lavoro eccellente: Greenwood, conscio della sua posizione, si tiene ai bordi della scena, aggiungendo diversi elementi strumentali che però non sovrastano l’ensemble tradizionale; Tassa, invece, crea due capolavori musicali che ricontestualizzato temi, simboli, musiche e tradizioni giudeo-irachene nell’Israele odierna con le sue problematiche sociali. Questo album combina i due mondi e ruoli, con Greenwood che danza tra la chitarra e la drum machine, e Tassa che si muove tra bassi e chitarre per aggiungere sapori funk, rock e psych alle componenti più tradizionali delle composizioni. Il resto della formazione cambia di brano in brano, ma è sempre costituita da un nucleo di strumenti arabi (tra i vari brani si sentiranno oud, qanun, nay e altri ancora) affiancato talvolta da una sezione di archi e/o fiati. Alla voce, come detto, troviamo gli ospiti e svariate combinazioni di cantanti che li supportano con le seconde voci. Ad introdurre ogni brano è una voce filtrata, a ricordare i vecchi annunci radiofonici che portavano queste musiche nei salotti dei nonni dei musicisti coinvolti. Su questi elementi si costruisce un disco con una marcata identità mediorientale, ma che si dimostra comunque poliedrico nell’approccio dei singoli brani, mai noioso e in continua evoluzione. Tra i brani più interessanti troviamo “Ya Mughir Al-Ghazala”,
introdotta dalla voce e guidata poi dall’oud. L’intreccio ritmico tra la linea di basso funk, le riverberanti note eteree degli ottoni, e l’oud crea un perfetto sottofondo alla fantastica performance vocale di Karrar Alsaadi. Anche “Ashufak Shay” spicca per l’incredibile intreccio tra chitarra e basso che crea un’intrigante tessitura su cui si espongono poi gli altri elementi, presentati uno alla volta con dovuta calma. Eccellente anche la vorticante melodia strumentale di nay e oud, che contrasta perfettamente con l’andamento contorto dei cordofoni. Altri brani sono più lenti e trascinati come “Leylet Hub”, cantata da Mohssine Salaheddine dove la drum machine marca un ritmo lento e spezzato, quasi zoppicante, mentre il canto, che a tratti sembra quasi un lamento, è ulteriormente supportato dai suntuosi tappeti creati dagli archi e dagli ottoni. Ma su tutti si staglia “Ahinak”, brano notturno, dall’atmosfera suadente descritta dagli archi su cui prendono forma melodie strumentali e più tardi la fantastica voce di Safae Essafi. “Jarak Qaribak” è un disco completo, nato dall’idea di giocare con differenze e similitudini, di creare un canzoniere che si adatti a tante orecchie, raccogliendo e reinterpretando brani storici del Medioriente e del Nord Africa. Perfettamente progettato, il disco è di piacevolissimo ascolto. L’identità sonora ce l’ha eccome, ma i fantastici arrangiamenti degli artisti, la vastità degli strumenti utilizzati e delle atmosfere evocate, e la partecipazione di più cantanti lo rendono continuamente curioso e mai noioso. Con le grandi personalità di Greenwood e Tassa è sorprendente constatare che loro non siano assolutamente il centro del disco, ma che anzi approccino il loro ruolo con acuto raziocinio, preferendo la valorizzazione degli ospiti e dei materiali interpretati alla loro egotistica visibilità. Una grande collaborazione e un disco squisito, probabilmente uno dei migliori lavori di quest’anno nel panorama world. 


Edoardo Marcarini

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