Vincenzo Zitello – Le voci della rosa (Telenn, 2023)

Il percorso artistico compiuto da Vincenzo Zitello negli ultimi quindici anni è stato improntato non solo nel ricercare nuove possibili vie espressive per l’arpa celtica nel dialogo con strumenti legati alle più disparate tradizioni musicali, ma anche ad esplorare nuovi confini narrativi e concettuali, muovendosi in territori e sentieri poco battuti. In questo senso significativi ci sembrano album come “Atlas” del 2007 e “Talismano” del 2011, ma anche i successivi “Infinito” del 2014 e “Metamorphose XII” del 2017 che hanno rappresentato il preludio a quella che, a buon diritto, può essere definita come una vera e propria trilogia legata all’Antica Sapienza, aperta nel 2019 da “Anima Mundi”, concept album dedicato agli Arcani Maggiori dei Tarocchi e proseguita nel 2021 da “Mostri e Prodigi” che affondava le sue radici nel significato simbolico dei bestiaria medioevali. A distanza di due anni da quest’ultimo arriva “Le Voci della Rosa” album che ruota intorno ai molteplici significati simbolici della rosa, uno dei tre fiori trinosofici, ed ispirato dall’antologia poetica omonima curata da Elisabetta Motta. Abbiamo intervistato Vincenzo Zitello per farci raccontare la genesi di questo nuovo lavoro, non senza volgere uno sguardo al futuro e ai progetti già in cantiere.

"Anima Mundi" nel 2019 e "Mostri e Prodigi" nel 2021 hanno rappresentato uno dei punti più alti del tuo percorso artistico. Com'è nato il progetto "Le Voci della Rosa"?
Da parte mia sono sempre alla ricerca di nuove fonti di ispirazione per meglio vivere il mio essere musicista e artista ed è accaduto che una cara amica, Elisabetta Motta autrice e saggista, mi ha coinvolto in un progetto legato alla rosa e a nove poeti contemporanei che hanno scritto intorno a questo tema,
dandone una chiave di  lettura diversa: chi più legata a ricordi personali, chi più all’aspetto naturalistico, chi all’aspetto etico o culturale, chi a quello alchemico e misterico. I poeti coinvolti sono: Mariangela Gualtieri, Davide Ferrari, Fabio Pusterla, Alberto Nessi, Fabio Franzin, Donatella Bisutti, Tiziano Fratus, Corrado Bagnoli, Franco Loi. Da questo progetto è nato il libro di cui Elisabetta Motta è autrice, intitolato  “Le voci della rosa” edito da Pendragon, disponibile dal mese di febbraio nelle librerie e in tutte le piattaforme, e sono nate le mie musiche. 

Quanto è stata importante, dunque, a livello ispirativo la lettura della raccolta poetica omonima di Elisabetta Motta a cui il disco è strettamente collegato?
Moltissimo, i capitoli del libro hanno gli stessi titoli dei brani e sono nello stesso ordine, questo proprio per far capire il legame fra la poesia e le musiche. All’inizio di ogni capitolo c’ è un acquerello di Luciano Ragozzino  e in conclusione un QRCODE  che permette di ascoltare  la musica mentre leggi il libro.  Si comincia con "“Nel mistero della rosa” brano ritmico legato alla poesia  di Mariangela Gualtieri, per passare alla “Rosa della vigna” di Davide Ferrari, brano di ispirazione folk bretone  legato alla terra e ad una dimensione più popolare. Di seguito troviamo le "Rose senza pace" di Fabio Pusterla, con un brano quasi primi ’900,  impressionista, che esprime tutto il tormento e l’inquietudine di questo poeta per passare poi a “Fragile sorella dei poeti” un brano corale  positivo, dove gli ottoni si intrecciano con gli strumenti ad arco. In  “Rosario d’amor” ho cercata una levità ritmica fra gli archi e la batteria che evocasse la stessa levità delle rose di Fabio Franzin, che sono come grani del rosario in un tempo difficile, sordo all’amore.  In “Rosa alchemica”, ispirata ai versi di Donatella Bisutti, la musica ha cercato di evocare i misteri degli antichi alchimisti, offrendo vari paesaggi sonori. In “una rosa la posto del cuore”, brano legato ai versi di Tiziano Fratus, ho cercato di simulare il respiro e il battito cardiaco della rosa attraverso il movimento ritmico degli archi, mentre “La rosa che non sa”,  legata a Corrado Bagnoli, si ispira alla musica latino Americana, al tango e alla habanera , in quanto il testo è una sorte di tenzone moderna in cui la rosa simboleggia la donna con il suo
mistero, mentre le spine sono le diverse prove che l’uomo deve affrontare per raggiungere l’oggetto del suo amore.  Ne “La rosa” di Loi ho fatto dialogare occidente e oriente rappresentati dal violino cinese l’heru e il flauto dizi ve dalla tromba in quanto nel testo il poeta elenca vari tipi di rosa: “la doppia,  la marina, fresca bianca, / o l’altra della Cina rossa al mare, / o quella tea, l’espansa sempre fiorente, / o la selvatica che nel cuore si riposa…” . “L’ultima rosa” che  non corrisponde a nessun capitolo del libro ed è ispirata invece a “La rosa bianca” di Bertolucci  è una piccola pavana, un commiato di saluto per l’ascoltatore. 

Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di scrittura di questi nuovi brani?
Ho iniziato lavorando sull’arpa irlandese antica, con tutte le corde in metallo, detta anche Clasach. Gli  antichi dicevano che incarnava la poesia e che rappresentava l’anima dei poeti. Ho registrato  solo con l’arpa i dieci  brani che compongono l’album, poi ho scritto le parti degli archi: violino, viola , violoncello contrabbasso, che sono state doppiate da Fulvio Renzi al violino e alla viola, alla tromba ed euphonium e ottoni vari da Laura Garampazzi, Carlo  Bava alla ciaramella, Rinaldo Doro all’organetto e ghironda, Daniele di Bonaventura al Bandoneon, Claudio Rossi al mandolino, lap dobro, violino, erhu, Alfio Costa all’Hammond B3, Mario Arcari all’ oboe d’amore, Glen Velz a percussioni e metalli, Roberto Gualdi Batteria. Io, come al solito, mi sono sbizzarrito a suonare molti strumenti  oltre agli archi, vari flauti traversi, ocarina wistle, clarinetti , lama sonora, dizi, glokenspiel.

Ne "Le Voci della Rosa" ritrovi gli stessi compagni di viaggio musicale del precedente. Quanto sono stati determinati nella definizione degli arrangiamenti?
Si tratta di ottimi musicisti di grande sensibilità,  spesso sono i soliti di altri album, ma questo migliora la confidenza sia umana che artistica. Io so bene cosa voglio ottenere dalla mia musica e chi coinvolgere nei miei album. Non vi è improvvisazione, spesso sono tutte parti scritte ed essendo musica strumentale ci deve esser grande armonia compositiva senza che uno strumento predomini sull’altro. È importante per
me esprimersi con chiarezza, ma senza mai scadere nell’ovvio. 

Quali sono le sostanziali differenze concettuali e compositive rispetto ai due dischi precedenti?
Faccio sempre delle ricerche sul tema che devo riportare alla luce: in tutti i  cd i testi letterari sono stati motivo di grande ispirazione. Invece di forgiare testi io forgio suoni che pescano dalla memoria collettiva, attraverso la creatività sonora delle varie strumentazioni. In alcuni album di questi anni c’è più in evidenza il mondo folk, in altri quello  classico, in altri quello orientale; in un ogni album cerco la chiarezza di ciò che voglio esprimere. In "Anima mundi" mentre componevo ho affrontato la lettura di  "La via dei Tarocchi" di Jodorowsky, mentre in "Mostri e Prodigi" ho preso ispirazione dal mondo dei bestiari medievali. Anche  questo lavoro, come quello delle rose, è infatti legato ad un progetto nato con Elisabetta Motta che ha portato alla realizzazione anche di un libro intitolato “Mostri e prodigi” (Pendragon, 2021) in cui alcune figure mitologiche, la sirena, il drago, il basilisco, la fenice, l’unicorno, il grifone, il centauro, la chimera vengono rivisitati anche in relazione alla modernità. 

Sempre in relazione a Anima Mundi" e "Mostri e Prodigi" si può dunque   parlare del completamento di una ideale trilogia con la pubblicazione de "Le Voci della Rosa"?
Può essere, c’è sempre continuità  nei miei album, anche se cerco comunque  di non ripetermi.  So di avere un mio stile inconfondibile, rispettando  ciò che sento e cerco nel momento in cui li realizzo. Segnano un preciso momento della mia vita, riescono a darmi la forza e il coraggio di essere me stesso nel bene e nel male.

Spesso nel tracciare un tuo profilo artistico ci si limita a definirti come un maestro dell'arpa celtica,
trascurando il fatto che ti destreggi con altrettanta abilità anche con altri strumenti. Anche in questo disco non ti sei fatto mancare nulla...
È vero che suono tanti altri strumenti, ma io mi sento profondamente un arpista anche se amo gli archi e i flauti, strumenti dei miei inizi che però utilizzo solo nelle registrazioni dei miei lavori per esprimere le miei intenzioni musicali, non suono questi strumenti dal vivo ormai da molti anni. I miei concerti sono solo con le arpe. 

L'intersezione tra musica e poesia si concretizzerà anche dal vivo con spettacoli che prevedano dei reading?
Si,  con “Mostri e prodigi” è nata una presentazione-spettacolo che abbiamo già portato in giro in diversi contesti con la presenza di Elisabetta Motta come voce narrante, i poeti e attori Davide Ferrari e Paola Turroni e io stesso che ho eseguito alcuni pezzi all’arpa celtica. E anche con “Le voci della rosa” abbiamo già ideato  una sorta di reading-concerto che il pubblico ha molto  gradito. Grazie alla presenza degli acquerelli di Luciano Ragozzino è anche  possibile allestire anche una piccola mostra itinerante. Nel mese di maggio lo porteremo anche nei vari roseti d’Italia a partire dal Roseto della Reggia di Monza, luogo da cui abbiamo tratto l’ispirazione per il nostro lavoro e in cui Carlo Bava ha girato il booktrailer del libro.   

So che stai già lavorando ad un nuovo disco. Cosa bolle in pentola?
Sto quasi terminando un nuovo lavoro collegato alla danza contemporanea e ad un film, un album legato alla continuità del mito nella contemporaneità. Sono  già a buon punto, sto quasi ultimando le musiche che
sono molto evocative….

Volgiamo lo sguardo verso il futuro. Quali sono le frontiere ancora da esplorare nelle dinamiche espressive dell'arpa celtica?
 L’arpa Celtica ha ancora  molto da dire: è infatti  uno strumento sempre più lontano dal senso tradizionale e folk. Gli arpisti contemporanei cercano nuove strade  attraverso la tecnica ma ciò talvolta li rende freddi, ciò che conta è aprirsi alle idee del cuore,  non  ridurre lo strumento ad una specie di chitarra o di pianoforte, occorre invece cercare tutte le sue potenzialità nella sua estrema semplicità  e nela sua complessità non dimentichiamoci  che a le corde tirate e sospese nell’eternità della creazione.


Vincenzo Zitello – Le voci della rosa (Telenn, 2023)
Nell’opera “Très Sainte Trinosophie” nella quale il Conte di Saint-Germain teorizzava l’avvento di una nuova dottrina sapienziale che integrava Cabala, Magia e Alchimia, compenetrate dall’imitazione del Cristo dei Rosa+Croce, la rosa rappresenta uno dei fiori simbolici legati a Iside e al segreto iniziatico e non a caso la si rinviene spesso nell’iconografia cattolica e in particolare in quella mariana. A questo fiore misterico e ai suoi molteplici significati è dedicato “Le voci della rosa”, nuovo album di Vincenzo Zitello e ispirato all’omonimo volume antologico curato da Elisabetta Motta, edito dai tipi di Pendragon, nel quale sono raccolte nove poesie firmate da Mariangela Gualtieri, Davide Ferrari, Fabio Pusterla, Alberto Nessi, Fabio Franzin, Donatella Bisutti, Tiziano Fratus, Corrado Bagnoli e Franco Loi, intercalate dagli acquerelli di Luciano Ragozzino. A riguardo nelle note di copertina, Zitello scrive: “Benché questo fiore fosse già presente nel mio immaginario e nei miei ricordi, sono state le suggestioni della poesia a guidarmi nelle composizioni, condizionando le scelte strumentali e tematiche. La decisione di utilizzare lo stesso titolo sia per i brani musicali che per i capitoli del libro è dovuta al fatto che mi interessava far cogliere l’origine dell’ispirazione. La rosa è piena di impressioni sonore legate al tempo: il suo fiorire e appassire scandisce il divenire del nostro esistere, proprio come la musica che si ascolta e termina nel silenzio”. L’album mette in fila dieci composizioni strumentali, concepite inizialmente per sola arpa Clasach, e successivamente impreziosite negli arrangiamenti e nell’orchestrazione con la complicità di alcuni ospiti d’eccezione: Laura Garampazzi (tromba, cornetta, euphonium, flicorno tenore, trombone), Fulvio Renzi (violino, viola), Claudio Rossi (violino, erhu, lap dobro, irish bouzouki, mandolino), Daniele Di Bonaventura (bandoneon), Mario Arcari (oboe d’amore), Rinaldo Doro (organetto diatonico, ghironda), Alfio Costa (hammond), Carlo Bava (ciaramella), Glen Velez (bodhran) e Roberto Gualdi (batteria). L’ascolto ci consegna poco più di quaranta minuti di musica intensa ed evocativa nel corso della quale si
attraversano suggestioni e atmosfere differenti legate ai componimenti poetici raccolti nel volume che accompagna il disco. Si parte con le liriche di Mariangela Gualtieri da leggere ascoltando l’iniziale “Nel mistero della rosa” con l’elegante dialogo tra arpa celtica ed archi a guidare la linea melodica. Si prosegue con la raffinata “La rosa della vigna” che accompagna i versi di Davide Ferrari e in cui spiccano l’organetto di Rinaldo Doro e la ciaramella di Carlo Bava e che fa da preludio al solo di arpa de “Le rose senza pace” in cui si riflettono le liriche di Fabio Pusterla. Il vertice del disco arriva con la ricercata struttura cameristica di “Fragile sorella dei poeti” che spicca per l’arrangiamento dal taglio cinematografico nel quale giganteggiano l’arpa, gli archi e i fiati. Se il crescendo di “Rosario d’amor” rimanda alla composizione poetica di Fabio Franzin, nella successiva “Rosa alchemica” si percepisce il riverbero delle onde di forma dei versi di Donatella Bisutti, evocati magistralmente dall’arpa di Zitello. Il romanticismo de “Una rosa al posto del cuore”, che si intreccia alle liriche di Tiziano Fratus, ci conduce verso il finale con le splendide “La rosa che non sa” e “La rösa” nelle cui trame sonore si percepiscono le suggestioni poetiche di Corrado Bagnoli e Franco Loi. Il congedo con “L’ultima rosa” è denso di quella passione e quella nostalgia che pervade la poesia di Attilio Bertolucci e suggella un altro caposaldo della produzione artistica di Vincenzo Zitello che si conferma non solo straordinario compositore, ma anche illuminato alchimista sonoro. 


Salvatore Esposito

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