Adriana Calcanhotto – Errante (BMG, 2023)

Già vincitrice di due Latin Grammy (nel 2006 e nel 2010) Adriana Calcanhotto torna con un album, il tredicesimo in studio, estroverso e coerente col suo titolo "Errante", a proprio agio fra stili diversi: dalla bossa nova, al samba-canção, allo xote, al maxixe, al samba-de-roda, al rock, al pop e al funk carioca. Al tempo stesso, le undici nuove composizioni viaggiano fra una serie di stati d’animo e cadenze della vita ispirate da momenti chiave: l’innamoramento, l'amore e quando termina, il senso di perdita, il lutto, l'auto-riflessione. Dopo le restrizioni dovute al Covid, il desiderio di Adriana Calcanhotto era quello di realizzare un “album di gruppo”. È tornata, quindi, al nucleo di musicisti con cui nel 2011 aveva inciso “O Micróbio Do Samba” (nomina ai Latin Grammy), un trio a suo agio con le diverse tradizioni della musica brasiliana, così come con sonorità e arrangiamenti contemporanei: Alberto Continentino (basso, pianoforte, lira a otto corde), Davi Moraes (chitarre elettriche e acustiche), Domenico Lancellotti (batteria e percussioni). Con loro suona un trio di fiati che comprende Diogo Gomes (tromba), Jorge Continentino (sax e flauti) e Marlon Sette (trombone). Li raggiunge il mandolino di Rodrigo Amarante in “Lovely”, l’unica canzone dell’album con un testo in inglese. Per un po’ di tempo lo studio è diventato la loro casa, uno spazio dove creare insieme i suoni e i dialoghi musicali che distinguono un brano dall’altro, pur lasciando intravedere una trama comune. “Esponevo una canzone e loro la suonavano senza che nessuno di noi dicesse una parola”, ricorda Adriana Calcanhotto “Non c’era bisogno di fare riunioni, di discutere su quante volte suonare un ritornello, o cose del genere. Tutti aspettavamo che Domenico desse il via, ognuno trovava il suo posto e si cominciava a suonare. È stato un sogno. Molto spontaneo". Le undici canzoni, ben cesellate, veicolano questa voglia di suonare ascoltandosi reciprocamente, senza mai strafare, trovando spazi per idee narrative timbriche, melodiche e ritmiche in grado di trasmettere l’anima di ogni brano, anche nei cambi di passo interni; come quello che apre “Prova dos Nove”, con un testo arguto nell’incorporare versi dal “Manifesto Antropófago” di Oswald de Andrade mentre espone le “radici” della cantante: corpo italiano, nascita brasiliana, anima lusitana, matria africana. Partenza lasciata esclusivamente alle percussioni, per poi asciugarle al minimo nella parte cantata e farle esplodere nuovamente negli inserti e nella chiusura strumentale in compagnia dei fiati. Quanto mai errante è il ritmo di xote (brasilianizzazione del binario ed europeo scottish) che incornicia “Pra lhe dizer”, inno al movimento: la canzone dichiara che un amore è finito (Eu vou trocar de sonho/ Eu vou mudar de você – Muterò di sogno / Cambierò di te) tessendo una sottile ode all'errare - nel doppio senso (di sbaglio e di movimento) del verbo. Il movimento qui non è guidato da certezze, anzi i versi dichiarano di non averne bisogno. Per lanciare l’album la scelta è caduta sulla più intima “Horário de Verão”, con i versi indagano le aspettative di fronte ai cambiamenti – di luogo, di luce – intersecati al senso di amicizia e di sincronia musicale veicolato dal trio che l’ha accompagnata nel precedente tour internazionale. Le citazioni sembrano mettere in gioco anche il poeta portoghese Luís de Camões (nel rock intriso di samba di “Era isso?”) e il Gilberto Gil di “Aquele abraço” (Meu caminho pelo mundo / Eu mesmo traço – La mia strada nel mondo / La traccio io stesso) nel brano che chiude l’album, "Nômade", ispirato da un’installazione artistica di Lygia Clark intitolata “A casa é o corpo”: Nomade vuol dire senza porto / Nomade è quando la casa è il corpo / Che è dove ti ricevo / È quello che ti consegno. 




Alessio Surian

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