Vincenzo Zitello – Mostri e Prodigi (Telenn Recording, 2021)

Negli ultimi anni, ci siamo occupati molte volte dei dischi di Vincenzo Zitello, apprezzandone non solo la ricerca musicale che, per altro, ha radici lontane nel tempo, ma anche il sostrato culturale nel quale hanno preso vita. L’arpista e polistrumentista lombardo, infatti, ha sempre coniugato questi due aspetti nel suo processo creativo, lasciandosi ispirare dai suoi studi e dalle sue letture. Laddove, “Anima Mundi” del 2019 aveva preso vita da una indagine a tutto campo sugli Arcani Maggiori dei Tarocchi, questo nuovo album affonda le sue radici nel significato simbolico delle creature che popolavano dai bestiaria medioevali, peculiari testi che raccoglievano ritratti di animali o bestie immaginarie, accompagnati da testi di morale o tratti dalla Bibbia. Rispetto al precedente, il lavoro a livello concettuale è il medesimo, la differenza sostanziale risiede nella ricerca musicale, sempre più vitale, dinamica e ad ampio raggio con i diversi ospiti ad arricchire il disco dal punto di vista della gamma sonora. Abbiamo intervistato Vincenzo Zitello per raccogliere dalla sua viva voce il racconto di questo nuovo lavoro.

Dopo “Anima Mundi” dedicato agli Arcani Maggiori dei Tarocchi, il tuo cammino nelle fascinazioni esoteriche prosegue con “Mostri e Prodigi”, album ispirato ai Bestiari Medioevali. Ci puoi raccontare la genesi di questo nuovo lavoro? 
“Mostri e Prodigi” è un album che ho iniziato nell’ottobre del 2019. L’idea mi è venuta dopo aver guardato un libro che racconta, anche attraverso un ricco apparato di immagini, il significato simbolico di alcuni esseri mitologici ricorrenti nei bestiari medioevali. In realtà sono sempre stato affascinato da queste creature che si collocano a metà tra l’umano e il divino, abitano territori di mezzo come il sogno e rappresentano sia il terrore che l’estasi, figure enigmatiche anche dal punto di vista iconografico. 
Mi sono domandato cosa rappresentassero nella realtà: è da questa semplice domanda che nasce la mia ricerca esoterica che non esclude mai la vita che vivo quotidianamente. I simboli ci parlano, dando talvolta risposte poetiche che fanno intuire cose inspiegabili e la musica incarna bene le percezioni immaginifiche. Così mi sono lasciato suggestionare, scegliendo otto figure (“Il drago”, “Il Grifone”, “La Chimera”, “Il Basilisco”, “La Sirena”, “Il Centauro”, “L’Unicorno”, “La Fenice”) che, non a caso, erano in questa sequenza sul libro e ho deciso di mantenere quell’ordine nella composizione. Mi sono concentrato solo su queste anche se ce ne sono molte altre poiché offrono spunti più condivisibili tra varie culture, anche extraeuropee. Dopo questa immersione “storico culturale” mi sono lasciato trascinare delle fantasie e dalle associazioni intuitive che la composizione musicale e il mondo sonoro offre.

Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di scrittura per questo disco?
La composizione della mia musica parte sempre dall’arpa: i temi, le melodie e la costruzione armonica vengono da essa. Nei primi quattro brani ho utilizzato l’arpa celtica con corde in nylon, per poi continuare negli altri quattro con l’arpa con corde in metallo. Ho creato due blocchi da quattro brani, con cui ho cercato le assonanze e gli strumenti che meglio rappresentano la mia visione delle otto figure. 

In che modo sei riuscito ad evocare in musica il mistero che avvolge le strane creature che popolano il disco?

Ho studiato in modo intuitivo le figure che, come i Tarocchi, sono piene di rimandi iconografici, culturali ed esoterici, ho anche giocato con le suggestioni, attribuendo vari territori ad ogni personaggio, passando da Oriente ad Occidente, dall’Africa ai Balcani o dal sud America a Napoli, dall’islam al Cristianesimo fino al Druidismo e il Buddismo. Gli ospiti e alcuni strumenti hanno dato “il colore” che assolvesse all’idea. Nella Sirena, per esempio, ho utilizzato la lama sonora imitando il canto delle sirene. Nessuno, a parte Ulisse, ha mai ascoltato che cosa rivelassero le sirene: io ho immaginato che il loro canto avrebbe potuto essere stato così, un mix tra una voce femminile e il soffio del vento.    

Dal punto di vista degli arrangiamenti quali accorgimenti hai usato per “Mostri e Prodigi”?
La struttura e l’orchestrazione è stata pensata da me con attenzione minuziosa, ho suonato 21 strumenti e li ho registrati nel mio studio. Tutti gli strumenti sono suonati, non c’è nessun campione elettronico, una bella esperienza che si rinnova ormai da molti miei Album. Fare la parte del fonico mi lascia libero e mi rende responsabile di tutte le scelte sia stilistiche che artistiche. Dopo aver registrato tutti i miei strumenti ho incominciato a pensare cosa servisse per definire meglio le suggestioni sonore create, così ho invitato i nove musicisti-ospiti ognuno con uno o più strumenti, per meglio caratterizzare il clima sonoro dell’album.

Alla realizzazione dell’album hanno collaborato alcuni strumentisti che hanno ampliato la gamma sonora dei brani. Quanto è stato importante il loro contributo?
Come dicevo sono nove e li posso citare tutti. Hanno caratterizzare ogni brano, ogni intervento e stato prezioso, la parte ritmica in tutti i brani è stata affidata a Federico Sanesi alle Tabla e percussioni, ne “La Fenice” l’organetto diatonico a Riccardo Tesi, a Claudio Rossi il guilele e il lap dobro e violino ne “Il Basilisco”, Arthuan Rebis ne “L’Unicorno” e nel “La Chimera”, con la nychelharp e ne “Il Drago” con l’esraj e in vari brani con delle percussioni, Giada Colagrande ne “Il Grifone” con il tamburo sciamanico, Luciano Monceri con il morin khuur ne “Il Centauro”, Maurizio Serafini con la piva emiliana 
ne “Il grifone”, Laura Garampazzi alla tromba ne “La Chimera” e ne “Il Basilisco”. Li ringrazio per l’amicizia e l’entusiasmo con cui hanno accettato di partecipare.

Quali sono le differenze e le identità con i tuoi precedenti album?
Direi che alla base vi è sempre la stessa ricerca di temi antropologici, esoterici e identità che la musica si porta dietro nei secoli, che abita le differenze tra i popoli, ma che è comune agli abitanti dello stesso pianeta. Il mio desiderio è spingere chi mi ascolta, attraverso la musica, a non erigere barriere, ma a comprendere che il viaggio umano su questa terra serve ad evolversi e solo attraverso le conoscenze si può essere disponibili a comprenderci. Occorre cambiare i nostri comportamenti distruttivi nei riguardi della natura, poiché noi ne siamo parte e questi miti e filosofie millenarie ci posso aiutare a comprendere meglio chi siamo, nelle differenze identitarie. Nel suono e nel modo di scrivere musica il mio contributo va verso questo pensiero; quello che fa scattare la scintilla è la sensibilità che corrisponde alle mie domande più intime sulla vita. Realizzare nuovi album mi fa addentrare ancora di più nelle mie ricerche esoteriche, umanistiche ed antropologiche, che portano ad osservare sotto una certa luce tutti gli avvenimenti e a trovare sinergie evolutive che esistono da millenni. Sono strade che vengono percorse dalla filosofia e letteratura da sempre, una condizione sovra culturale che esiste e che è resiliente al tempo e alle mode, un punto fermo fatto di coscienza, che lascia liberi di reinterpretare e comprendere alcuni segreti della natura umana. In fondo non solo la musica ma tutte le arti percorrono questa via. 

Venendo ai brani mi ha colpito molto l’originale costruzione sonora de “Il Basilisco”. Ci puoi raccontare di più su questo brano?
Nel Basilisco o il re dei serpenti ho pensato ad una ambientazione Azteca del serpente piumato e del sud America in generale, con l’intervento di Claudio Rossi al guilele, mandolino e violino e la tromba di Laura Garampazzi, i violoncelli un po’ brasileiri, fino al nordico Jormungand, serpente del mondo, ben descritto dagli antichi miti nordici nella lotta con il dio Thor, così l’arpa con corde in metallo racconta di un modo perduto e mitologico legando mondi lontanissimi.    

Altro brano dalla struttura musicale piena di sorprese è “La Chimera” in cui la linea melodica sembra rinnovarsi continuamente…
La figura della Chimera, come noto, ispeziona l’aspetto dell’illusione, in un certo senso può attivare dei talenti, spinge gli ideali, fa comprendere che siamo esseri emozionali e idealisti, attraverso i nostri desideri e spesso illusori. Nel brano ho voluto creare l’impressione di arrivare a qualcosa di grande, ma che poi svanisce, come se si ripartisse ogni volta con un nuovo entusiasmo e si rientrasse in un altro sogno, perché abbiamo bisogno sempre di ripartire. Il procedere del brano, attraverso gli episodi musicali, compone il divenire del brano, come nelle azioni, “causa effetto”. Si tratta di un dialogo che poteva continuare all’infinito e, per terminarlo, ho utilizzato uno strumento che genera un suono quasi impercettibile che viene usato nelle cerimonie indiane il “Gun Guru” (letteralmente la pistola del Guru), 

un suono magico ed inebriante e molto poetico un fruscio magico ed evanescente come il desiderio. 

Il vertice del disco arriva nel finale con “Il Drago” con il suo incedere epico. Quali sono stati i riferimenti ispirativi di questo brano?
Nel Drago la caratteristica sonora è un dialogo tra Oriente ed Occidente: inizia con la fujara (flauto armonico slovacco) che dialoga con l’arpa e l’esraj la viola Indiana suonato da Arthuan Rebis.  Per passare all’Europa con i suoi draghi satanici arrivando fino ai meravigliosi draghi cinesi, pieni di energia positiva, tutto viene caratterizzato da un duetto tra lo e il tipico dell’estremo oriente il dizi, il flauto in bambù dal caratteristico timbro nasale e vibrante, che dialoga con l’arpa con corde in metallo dal suono celtico per eccellenza.

So che sei già al lavoro su un nuovo progetto. Ci puoi rivelare qualcosa in anteprima?
Il prossimo album è caratterizzato dal solo suono dell’arpa antica irlandese il clarsach e si intitolerà “Le voci della rosa”. Si tratta di dieci composizioni originali dedicate alla rosa, un progetto che nasce e si accompagna a nove poeti, tra Italia e Svizzera, che hanno scritto le loro composizione su questo fiore, la cui poetica in relazione alla rosa viene analizzata dalla saggista Elisabetta Motta in un volume che verrà pubblicato in autunno. I miei brani (nove più un congedo finale) sono stati ispirati dalla lettura dei loro testi poetici, pur vivendo in autonomia rispetto ad essi. All’interno del libro troveranno posto assieme alle mie musiche anche le riproduzioni degli acquarelli originali di Luciano Ragozzino, che fanno rivivere artisticamente la rosa in tutte le sue declinazioni poetiche. Ne riparleremo presto. 



Vincenzo Zitello – Mostri e Prodigi (Telenn Recording, 2021)
Quando intervistammo Vincenzo Zitello in occasione della pubblicazione di “Anima Mundi” ci rivelò di essere al già al lavoro per un nuovo album, ispirato dal simbolismo e dalle fascinazioni dei bestiari medioevali. Ben conoscendo la sua vitalità creativa, tutto ciò non ci sorprese più di tanto, ed allo stesso modo non ci sorprese il tema scelto che, in qualche modo, si inseriva in un percorso filologicamente coerente nel sentiero dell’antica sapienzialità, già indagata in varie circostanze.  Nei mesi seguenti, complice anche il lockdown dello scorso anno, hanno man mano preso vita i brani con l’arpista lombardo a destreggiarsi tra vari strumenti (arpa celtica, arpa bardica, lama sonora, violino, viola, violoncello, contrabbasso, theremin, tin whistle, clarinetti, bawu, ocarina, dizi, ulusi, fujara, handpand, autoharp, salteri ad arco, santoor) nella creazione delle architetture sonore su cui si è inserito un ampio cast di ospiti: Federico Sanesi (tabla, sonagli, bodhràn, zarb, gunguru, rider e ghatam), Riccardo Tesi (organetto diatonico), Claudio Rossi (violino, guilele, mandolino americano, lap dobro), Arthuan Rebis (nyckelharpa, esraj, tar drum, riq), Laura Garampazzi (tromba), Giada Colagrande (tar drum), Luciano Monceri (morin khuur), Maurizio Serafini (piva emiliana) e Alfio Costa (Hammond B3). Sin da subiot a colpire è l’inconfondibile cifra stilistica di Zitello che con la sua eleganza e raffinatezza compositiva ha messo insieme otto brani di grande spessore nelle cui trame si scoprono addentellati con il prog, il rock e la world music, senza dimenticare la stretta connessione con la tradizione bretone ed irlandese. L’ascolto è, così, l’occasione di immergersi in un viaggio di esplorazione animica, attraverso un universo fantastico, sospeso tra reale e fantastico, tangibile ed intangibile, alto e basso. Ogni brano rimanda a creature mitologiche, già note nella mitologia antica, e che rimandano ad un patrimonio archetipico in cui è facile potersi riconoscere. Si tratta di immagini che ancora oggi richiedono di essere indagate nella loro complessa carica simbolica e che non smettono di parlarci, rivelandoci ora le nostre angosce e le nostre paure, ora le nostre speranze e i prodigi del mondo che ci circonda. La scrittura di Zitello traduce tutto ciò in musica con grande efficacia non solo attraverso l’evocazione di atmosfere che idealmente rimandano alle singole bestie fantastiche, ma soprattutto con la potenza delle onde di forma sprigionata dalla sua arpa che riesce anche nell’impresa di ricrearne i tratti. E’ il caso ad esempio della fascinosa melodia de “La Sirena”, o delle misteriose atmosfere latin de “Il Basilisco”, o ancora delle oniriche illusioni de “La chimera”, composizioni dalla straordinaria portata emotiva che culminano nel vertice del disco “Il Drago” nella quale Vincenzo Zitello sperimenta il sincretismo sonoro tra Oriente ed Occidente. Insomma “Mostri e Prodigi” è un altro magnifico esempio della curiosità non solo musicale di Vincenzo Zitello, un disco da ascoltare con la predisposizione interiore giusta per comprendere a fondo ogni sfumatura.


Salvatore Esposito

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