Goitse – Rosc (Autoprodotto, 2022)

In irlandese “Rosc” è un grido di incoraggiamento, una parola che connota un inno, un canto o, ancora, una musica ebbra di emozione ed entusiasmo. È questo il titolo del sesto album in studio, con cui i Goitse celebrano dieci anni di vita on the road, registrato nella contea nord-irlandese di Antrim nei Bann View Studios da Sean Óg Graham, che del disco è anche il co-produttore. La line-up dei Goitse comprende Áine McGeeney (violino e voce), Alan Reid (banjo, bouzouki, mandolino, oud, chitarra tenore elettrica), Conal O’Kane (chitarre), Tadhg Ó Meachair (fisarmonica, piano, tastiere e Moog) e Colm Phelan (bodhrán e percussioni). Al quintetto base si aggrega Martin Brunsden (contrabbasso), il quale suona in tutte le tracce, mentre sparutamente partecipano Pádraig Rynne (concertina), Aoife Scott (voce), Danny Collins (piano, fisarmonica, coro), Seán Óg Graham (organetto, kalimba, tastiere), Colm McClean (chitarra lap steel). Negli anni il gruppo dei Goitse si è visto attribuire numerosi riconoscimenti, tra cui quello di migliore gruppo live irlandese; la violinista e cantante McGeeney è stata premiata come “cantante dell’anno” e “compositrice dell’anno”. Apprezzatissimo dalla critica il loro precedente album, “Úr”. Insomma, siamo di fronte a uno dei gruppi più in vista nella scena tradizionale irlandese, che ha raccontato in tre video le fasi di costruzione del nuovo disco (Parte 1Parte 2Parte 3). Il programma offerto da “Rosc” è ben organizzato: ai set strumentali (in totale sono otto) si interpongono canzoni (quattro tradizionali, di cui tre cantate in inglese e una in irlandese), interpretate con timbro limpido ed autorevole da McGeeney, sostenuta in un paio di occasioni dalle voci degli ospiti, come accade nella splendidamente arrangiata “Come You Not from Newcastle”, in cui troviamo Aoife Scott. Nel novero delle songs, ci sono poi “Write Me Down”, pezzo con un lieve sentore reggae e un’impronta americana data dalla lap steel, la vivace, splendida “Margadh an Iúir” e la più accorata “Green Fields of Canada”, anch’essa elegantemente costruita intorno al canto di Áine. Analizzando gli strumentali, va detto che sono messi gli uni accanto agli altri temi tradizionali e originali, questi ultimi, in maggioranza, firmati da membri della band (con Reid a fare la parte del leone, ma tra gli autori ci sono anche McGeeney e Ó Meachair). Nella cifra estetica dei Goitse si riconosce la volontà di ammantare con sensibilità contemporanea le strutture da danza tradizionali. Inoltre, al classico organico strumentale dell’Irish music, il quintetto aggiunge tocchi di oud, sintetizzatori e lap steel. Il biglietto da visita è niente male, un delizioso set chiamato “The Biggest Little Journey”. Il violino guida il primo tema, una marcia suonata in misura rallentata a creare un’atmosfera sospesa sostenuta dal timbro grave del bodhrán, dal contrabbasso e dalla chitarra, il banjo entra raddoppiando la melodia; l’archetto prende decisamente la leadership nell’hop jig e nella polka che seguono, accompagnato da piano, fisarmonica, concertina, banjo e kalimba. Ha un gran tiro il trittico di jig dal titolo complessivo di “Morning, Noon, at Night”, che si dipana in due motivi di due stimati autori delle passate generazioni: Josephine Keegan (“St.Patrick’s Eve”) e Charlie Lennon (“Morning Sunday”). In “Cave of the Wild Horses” si offrono uno slip jig e due reel: mantici (fisarmonica e concertina) e violino conducono le danze nel primo motivo, il banjo si impone spavaldo nel secondo reel e la band suona a pieno regime nel finale. Il suono d’insieme trionfa anche nella successiva “Rockin’ in the Weary Land”, dove tutto parte da una tune old-time appalachiana, siglata da ben due fisarmoniche, che sfocia in un’altra coppia ben assestata di jigs. Invece, un assolo di banjo apre “Trusty Messenger”, un set di reel che muove dall’Irlanda a Cape Breton (“Wesley Gillis”) e ritorno con l’eponima melodia e in cui il produttore Sean Óg Graham si unisce alla band stando all’organetto e alle tastiere. Anche “Trip to Mauna Kea” conferma l’attitudine compositiva della band, mentre “The Peackocks” è un felice incontro tra jigs e slides. Il piano elettrico introduce “The House on the Hill”, quindi è il violino ad assumere il ruolo melodico centrale sostenuto dal contrabbasso; l’ingresso del banjo conferisce ulteriore brio ai due reel, che portano l’album in dirittura d’arrivo. I Goitse sanno il fatto loro: sono una band dotata di buon gusto, solida e creativa sia in termini di individualità che di collettivo “Rosc” è un lavoro ben costruito che dispensa musica squisita. www.goitse.ie


Ciro De Rosa

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