Small Island Big Song, “Echi delle Distanze”, Procida (NA), 3-7 maggio 2022

Unione oceanica nel segno di comunanze e diversità culturali, dell’urgenza dell’azione politica di fronte al cambiamento climatico che nella aree insulari del Pacifico e dell’Oceano Indiano si traduce in innalzamento del livello del mare e inquinamento da plastica e deve fare i conti con l’azione predatoria delle potenze economiche (neocolonialismo, sfruttamento non sostenibile di risorse, ecc.). È “Small Island Big Song”, piattaforma di resistenza culturale ed ecologica, nonché performance del collettivo di musicisti nativi provenienti proprio dai Paesi insulari dei due Oceani. Un progetto artistico di sensibilizzazione intrapreso dal filmmaker e produttore musicale australiano Tim Cole e dalla produttrice musicale taiwanese BaoBao Chen, che ha realizzato un album nel 2018, cui è seguito un secondo capitolo discografico nel 2022. “Small Island Big Song” è sbarcato nell’isola di Procida, dove ha aperto la rassegna “Echi delle distanze”, manifestazione musicale ideata da Wakeupandream per le manifestazioni di Procida Capitale della Cultura 2022 – “La cultura non isola”. Nel corso di una residenza di una settimana, culminata in un concerto finale, gli artisti hanno realizzato raccolte performance in luoghi d’incanto dell’isola campana. C’è stato il set acustico all’alba sulla spiaggia di Lingua, dove si sono intrecciate le voci e gli strumenti della cantante e autrice delle Mauritius Emlyn (voce, ravann, kayamba) e della cantante e bassista Putad del popolo Amis di Taiwan. 
La piazzetta del Casale Vascello, l’antico borgo ubicato ai piedi di Terra Murata, ha accolto i canti creoli della stessa Emlyn. La marina della Chiaiolella ha accolto lo spoken word dell’attivista delle Isole Marshall Selina Leem (la più giovane oratrice al COP21 di Parigi) e il concerto della stessa Putad. Una cornice di intimità in cui “si è creata una bella energia con crescita di presenze soprattutto negli eventi-concerti, che sono stati un crescendo fino alla serata finale”, spiega il curatore Marco Stangherlin. Il programma di “Echi delle distanze”, che iniziato a maggio si protrarrà fino a metà settembre, è “un modo di ascoltare la diversità, mettendo in relazione distanze geografiche e senso di prossimità, ricchezza di differenze e comunanza di destino. Vanta precise scelte artistiche legate all’esplorazione di differenze linguistiche e culturali, che interagiscono in maniera diffusa con i luoghi dell’isola e con la comunità locale”, spiega ancora Stangherlin. “Un’esplorazione della condizione di insularità, che per alcuni artisti – isolani loro stessi – è la quotidianità, vissuta, immaginata ed esibita in maniera più immediata, per altri – gli artisti continentali – diventa un confronto con la complessità delle tensioni che l’insularità contiene: apertura e chiusura, contatto con l’esterno ma anche periodi di isolamento, abbandono e ritorno…”. Il cartellone si configura come opportunità di “riflessione” e di produzione di “esperienze emotive più profonde e durature” – rileva ancora il direttore artistico – privilegiando il dialogo tra artisti e pubblico. Si tratta di performance che nella varietà di musiche, che scavalcano i generi e le etichette, “sfuggono alla logica effimera e verticale dei grandi eventi. Una orizzontalità che significa soprattutto sostenibilità e intenzione di non dissipare energie e decibel, di non azzardarsi con cose più impattanti su un’isola come Procida”. Ritornando alla settimana che ha ospitato “Small Island”, i workshop di danza tradizionale e i laboratori per la costruzione di strumenti musicali utilizzando materiali di riciclo sono stati altri significativi momenti di incontro e condivisione con la comunità locale e i turisti di questo primo scorcio di maggio hanno raggiunto l’isola flegrea. 
Come pure gli incontri in cui gli artisti sono intervenuti per discutere della questione climatica e del ruolo delle donne come custodi delle tradizioni locali. Va detto che musicalmente il collettivo ha dovuto fare a meno di due degli artisti che sono parte della carovana oceanica: il malgascio Sammy ‘Tarika’ Andriamalalaharijaona, maestro dell’arpa tubolare di bambù valiha, e Sauljaljui, cantante compositrice dei Paiwan di Taiwan, che hanno dovuto rinunciare al tour italiano a causa del contagio Covid-19. Per la serata conclusiva di sabato 7 maggio il maltempo ha costretto gli organizzatori ha ricollocare il concerto dell’orchestra transoceanica nell’Istituto comprensivo Capraro. Senz’altro una location meno suggestiva rispetto al palco allestito sul porto di Marina Grande, ma non meno accogliente e straordinaria per partecipazione e per la forte motivazione degli otto cantanti e polistrumentisti e del team di “Small Island Big Song”, che si è prodigato per risolvere tutte le problematiche tecniche determinate dall’esibizione nel complesso scolastico. Oltre alle già citate Putad, Emlyn e Selina Leem, in scena sono andate la cantautrice Vaiteani (Tahiti), Tiana Liufau (Samoa), Kan Chan Kin e Kokol (Mauritius), Charles Maimarosia (degli A’re’A’re, Isole Salomon). Sullo schermo, durante la performance, i visual mostrano i dati del rischio per gli ecosistemi, i luoghi di provenienza e gli stessi artisti che si esibiscono negli ambienti naturali delle proprie isole (si tratta di un docufilm vero e proprio, disponibile anche in supporto fisico). 
“Small Island Big Song” riallaccia le connessioni culturali tra i discendenti di quei navigatori degli Oceani Pacifico e Indiano protagonisti della migrazione austronesiana. Voci contemporanee di artisti che cantano nelle loro lingue native, suonano strumenti tradizionali (tamburi, tamburi a cornice, idiofoni, flauto di pan, flauto nasale, cordofoni tradizionali) affiancati a chitarra e basso elettrico, in una fusione di diversi stili (folk, reggae, grunge, R’n’B e spoken-word). “Che l’energia delle nostre isole ci circondi”, cantano in “Marasudj”, con le voci che si chiamano sul ritmo profondo del tamburo: intreccio di vie d’acqua e di vie dei canti. Sul potere della natura è incentrata “Pinagsanga”, cantata da Putad, una vocalist dall’ampia estensione timbrica e bassista dal piglio punk-sciamanico. Sostenuta da una poliritmia che rimanda alle espressioni tradizionali di Mauritius, “Sarbon” (che significa carbone in creolo mauriziano), è la canzone che Emlyn interpreta raccontando dell’incidente del 2020, quando una nave giapponese da carico si è incagliata sulla barriera corallina riversando tonnellate di carburante. Soprattutto, la canzone è un tributo a coloro i quali per diverse settimane sono intervenuti per salvare il parco marino e la costa orientale dell’isola. In “Respect” lo spoken-word di Selina ricorda gli infami test nucleari americani degli anni ’50. La coralità di “Gasikara” è il segno della forza di questo ensemble, mentre un arpeggio cristallino accompagna l’intima “Hiro’a” (Radice), song che esprime il legame tra il mare e gli affetti familiari. Dalla penna di Charles Maimarosa arriva una nuova canzone, “Rokahanua”, che il pubblico – sempre caloroso – accompagna con il battito delle mani, così come interagisce con la lezione linguistico-ritmica samoana di Tiana, la quale dà un saggio dei suoni prodotti dal tamburo e dal flauto nasale. Il magnetismo di Emlyn e di Putad si impone particolarmente in “Dudu Ami” e nella danza tradizionale per il raccolto del popolo Amis. Raggiungiamo la vetta della serata con “Listwae Zanset” (La storia dei nostri antenati), elogio del “seme della vita”, dice Emlyn. Le loro voci, le loro lingue sono state represse e bandite dai colonizzatori. 
Da qui, l’impegno affinché la memoria dei loro insegnamenti sia trasmessa alle future generazioni. Queste ultime sono al centro anche di “Ta’u Tama” (Nostro Figlio), in cui la tahitiana Vateani esprime l’apprensione per lo sbiancamento dei coralli e l’eredità da lasciare alla progenie. Ancora un tributo agli antenati e al mondo naturale arriva con “Naka wara wara to'o”, che riporta al centro della scena Miamarosa, polistrumentista delle Isole Salomone. Segue “Lament for a Dying Ocean”, il toccante grido di passione, l’invocazione a intervenire prima che gli ecosistemi siano compromessi del tutto: “Senza oceano non avremo vita”, è l’appello di Selina. Tra poetica e ritmiche antiche e contemporanee c’è spazio anche per “Merci, Merci Me (The Ecology)” di Marvin Gaye, tradotta in parte in creolo, dialetto Amis e Paiwan tahitiano: diventa un canto corale contro le devastazioni ambientali. Però, a chiudere il concerto è la speranza di “Living Ocean”, con il suo groove percussivo che fonde i tamburi dei due Oceani, celebrandone la bellezza. Il cartellone è proseguito l’8 maggio con le suggestioni portate dal violoncello della canadese Julia Kent in un concerto speciale al Casale Vascello, ispirato alla sua colonna sonora per il film diretto da Jola Wieczorek “Stories from the sea”, che è stato proiettato in anteprima. Ma non finisce qui, perché il 4 giugno Marina Grande ospiterà il ribollente magma sonoro dei franco-svizzeri dell’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp. 
Tra fine agosto e inizio settembre avrà luogo il workshop dell’olandese Yuri Landman, musicologo e liutaio sperimentale, inventore di strumenti auto-costruiti. Con i partecipanti al laboratorio Landman costruirà strumenti, utilizzando le tavole di legno o l’intero telaio dei gozzi procidani dismessi. Successivamente, il recupero di strumenti sarà restituito l’1 settembre in un concerto collettivo finale. Il 2 settembre toccherà alla Sardegna mediterranea della chitarra sarda preparata di Paolo Angeli, che è in procinto di pubblicare il suo nuovo album “Rade”; il 3 settembre Teho Teardo presenterà “Arturo è una stella”, in cui il compositore e sound design friulano interagirà con immagini e dialoghi del film “L’isola di Arturo” (di Damiano Damiani, co-sceneggiatura di Cesare Zavattini). Successivamente, salirà sul palco un altro isolano, il maestro assoluto dei tamburi a cornice Alfio Antico (18 settembre). Ci si sposterà, quindi, nel Mediterraneo orientale con i repertori cretesi proposti dalla dinastia Xylouris, guidata dal decano Psarantonis (17 settembre), suonatore di lira cretese con sua figlia Niki (voce, percussioni) e i figli Labis (oud, voce) e George (laouto, voce). Quest’ultimo sarà protagonista in precedenza (16 settembre) anche con il formidabile progetto Xylouris-White, insieme al batterista australiano Jim White. Per saperne di più https://procida2022.com/echi-delle-distanze


Ciro De Rosa
Foto di Francesco Domenico D'Auria

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