Riley Family Band – La Vie de Riley (Valcour Records, 2022)

La famiglia musicale di Scott, contea di Lafayette nella Louisiana occidentale, si fa portatrice di un suono cajun tanto schietto quanto personale. I Riley sono papà Steve (violino, fisarmonica, chitarra, voce e composizione), mamma Katie (voce), la diciottenne Elise (percussioni), il dodicenne Burke (fisarmonica, chitarra e voce) e il piccolo Dolsy, di soli 9 anni (fisarmonica e voce), coadiuvati da membri dei gruppi Racines e The Mamou Playboys: Chris Stafford (chitarra e organo, piano, basso e co-produzione), Sam Broussard (chitarra e voce), Trey Boudreaux (basso), Aaron Boudreaux (batteria, congas e percussioni). Due anni di musica suonata insieme per compensare l’isolamento del periodo più duro della pandemia portano a “La vita di Riley”. Steve racconta che due anni hanno significato anche la rapida crescita musicale dei figli: “Una delle più grandi benedizioni della pandemia! insieme al sostegno costante dei nostri amici, della famiglia e dei fan che si sono sintonizzati sui nostri spettacoli ci ha alimentato per continuare a crescere, imparare e scrivere nuove canzoni insieme. La vita di questa famiglia Riley è incentrata sull’amore per la buona musica e armonie di sangue!”. Steve Riley, già vincitore di un Grammy Award, ha iniziato a suonare musica cajun precocemente, a 7 anni, imparando da suo nonno. Da adolescente, ha affinato il suo stile con un musicista del calibro di Dewey Balfa, con cui ha suonato a lungo fino alla sua morte, avvenuta nel 1992. Tra le altre sue influenze Steve cita Sean Ardoin, la famiglia Savoy, naturalmente, e ancora Zachary Richard e Barry Jean Ancelet. Questa registrazione d’esordio della Riley Family Band si compone di tredici brani; il programma è aperto dal superbo zydeco “Crowley Blues”, classico degli anni Trenta del Novecento, composto dal cantante e fisarmonicista creolo Amédé Ardoin. Cantata in francese, “2020” si carica della speranza di lasciarsi alle spalle le difficoltà degli ultimi anni. Nell’entusiasmante tradizionale “J’ai passé devant ta porte”, padre e figlio (Burke), rispettivamente a violino e fisarmonica, si scambiano i ruoli vocali. Invece “King of Quarantine”, ballad dai toni country & western cantata in inglese, è un’altra riflessione sulla fase più dura del confinamento sociale. La band accelera di nuovo nella title track, in cui entra la chitarra flat-picking di Stafford, che ci mette pure organo, piano e basso. Nel secondo tradizionale in scaletta, “Mulberry Waltz”, il secondogenito Burke si rivela uno che ha la stoffa per andare lontano, qui assumendo il ruolo di lead vocalist. Il pezzo successivo è una ben riuscita cover di “That’s Where It’s At” di Sam Cooke e J.W. Alexander. Si balla alla grande nella prorompente “Perrodin 2-Step” (sentite che violino!), cui segue il delizioso “La valse de la peine” (firmato Doug Schroeder). Fa bene sentire risuonare “Il martello della giustizia” e la “campana della libertà” del caposaldo seegeriano “If I Had a Hammer”, inserito nel proprio repertorio da Riley dopo l’assassinio di George Floyd. Con “Cowboy Waltz” Steve rende omaggio al suo mentore Dewey Balfa, subito dopo è ripescata “Driftin’ Blues”, song di Charles Brown, un classico degli anni Quaranta. “Scott Playboy Special” di Walter Mouton è di due decenni successivo, il two step, divenuto uno standard cajun, è il motivo di commiato con la famiglia è fluidamente in sintonia. Umanità, sincerità e stile raccolti in poco meno di cinquanta minuti di artigianato folk; uno spaccato di vita familiare: presente e futuro della tradizione.


Ciro De Rosa

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