Romengo & Mónika Lakatos – Folk utca 2004-2022 (Hangvető, 2021)

Potremmo mai rinunciare a metterci sulla “strada del folk” con i Romengo, che intitolano proprio “Folk utca” il loro ultimo album? Celebrazione di poco meno di vent’anni di carriera per la band Rom Oláh ungherese, guidata da Mihály ‘Mazsi’ Rostás (chitarra, voce, tambura e szájbőgő, sorta di beatboxing per produrre con la bocca un suono di basso) e dalla pluripremiata moglie Mónika Lakatos che comprende il contrabbasso di Csaba Novák, le percussioni di János ‘Guszti Lakatos (tanica di latta, “szájbőgő” e voce), il violino e la voce di Mihály Rosonczy-Kovács, cucchiai, tinozza, percussioni, szájbőgő” e la voce di Tibor Balogh; nel disco sono presenti come ospiti il batterista e percussionista Máte Antal Kovács e il bassista Peter Bordás. Il sound effervescente del sestetto è intimamente legato al loro apprendimento di tradizione orale, ma i Romengo non rinunciano a incorporare elementi innovativi, non solo in termini di collaborazioni concertistiche che li hanno visti calcare i palchi con musicisti di diversa estrazione, ma anche allargando il ventaglio compositivo ed espressivo come accade nell’esuberante rumba (“Rumbáso”). I colori canori di Mónika Lakatos, vocalist dal timbro rauco ma intenso, restano al centro dei brani di “Folk utca”, che raccontano la quotidianità e la vita “on the road” della band. La voce “soul” di Monika emoziona quando canta sia le gioie della festa che le sofferenze nelle relazioni interpersonali. In tal senso, colpiscono i quattordici minuti di “Luludjalo sanco – Siluro”, il cupo e struggente brano di commiato. Ciascun membro della band fa la sua parte vocale in questo terzo disco concepito cucinando, pulendo, accogliendo amici e familiari e, naturalmente, stando in viaggio. Ad aprire alla grande il programma è “Szól a kakas már” (Il gallo chiama), un canto tradizionale chassidico attribuito a Rabbi Yitzhak Isaac Toyb (1751-1821), che ricordiamo in una magistrale interpretazione dei Muszikas in “Maramaros: The Lost Jewish Music of Transylvania”. Segue “Aven aven romale” (Venite, venite, Romani), celebrazione dell’incontro tra genti Rom. Altrettanto trascinante è la corale “Cosoravla”, segnata da un superlativo violino e dalle classiche brevi e veloci interiezioni ritmiche. Il brano racconta della “fuitina” pre-matrimoniale che comporta l’accettazione de-facto dell’unione dei due fidanzanti da parte della comunità. Strumentazione minimale in ”Na dikh aba”, motivo incentrato sulla voce di Monika accompagnata dalla percussione kanna, il recipiente di latta, suonato da ‘Guszti’, che entra in voce nel finale di quest’avvincente hallgató con le sue intemperanze vocali-ritmiche. Ancora il canto di Monika primeggia in “Botolóso” contornata dalle voci della band, mentre è Mazsi a eseguire l’autografo, accorato hallgató “Zörög a kocsi” (La macchina sferraglia). Di registro diverso, nel segno dell’aggregazione festiva e dell’ironia sono “Csingera” e “Domi mó” che procedono spedite. Più intimista, invece, “Majácska”, una sorta di ninna nanna che Mónika cantava alla nipote (di tanto in tanto fa capolino una voce di bimba). Problemi relazionali e migrazioni sono al centro di “Torontó – Montreál”, mentre la vita on the road ritorna in “Turnédal” (Canzoni dalla strada), nata proprio durante un viaggio in autostrada in Germania e cantata da Mihály Rosonczy-Kovács e Tibor Balogh. Coltivare, trasmettere e far conoscere al mondo la cultura Rom Oláh ungherese attraverso le proprie canzoni è la missione dei Romengo: è il gran valore dell’esperienza di frequentazione di questa vivacissima “Folk utca”, che è pure la nostra strada. 




Ciro De Rosa

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