Mónika Lakatos és a Cigány Hangok – Hangszín (FolkEurópa/Hangvető, 2020)

Nell’ambito del World Music Expo (WOMEX) tenutosi a Budapest in versione digitale nell’ottobre 2020, la cantante ungherese Mónika Lakatos, appartenente alla minoranza Oláh, una dei tre gruppi di popolazione Rom che vivono nel Paese magiaro (300.000 persone sui 9,8 milioni di Rom che rappresentano circa il 7 % della popolazione ungherese), è diventata la prima artista di cultura romaní a ricevere il prestigioso Lifetime Achievment Award – assegnato annualmente dagli organizzatori della fiera più importante delle musiche del mondo – per il suo carisma di performer, per la sua passione e energia nel canto.  A dirla tutta, Lakatos non è nuova a ricevere onori, perché aveva già ricevuto un premio a Babel Med Festival (2007) e riconoscimenti ufficiali in patria (Pro Cultura Minoritatum Hungariae); nel 2019 era entrata nel novero dei Kukt50, i più influenti artisti ungheresi per il periodico “Fidelio”.  Nata non lontana da Budapest quarantadue anni fa, Mónika ha appreso a cantare in ambito familiare in un contesto in cui è sempre stata circondata dalla musica suonata nelle occasioni sociali comunitarie. Nel 1996, a soli 17 anni, si è imposta nello storico talent show ungherese “Ki Mit Tud?” (“Chi Sa Cosa?”), interpretando musica tradizionale della sua comunità. Si è fatta conoscere al di fuori dei confini dell’Ungheria con i Romengo, la band costituita da suo marito Rostás ‘Mazsi’ Miháli (chitarra e tambura), tra le più attive nel circuito della world music. È vero che non si è trattato della prima band professionista di Oláh a imporsi nel circuito folk, poiché negli anni Settanta del secolo scorso i Kalyi Jag si segnalarono all’attenzione nel paese danubiano nel corso del rinnovato interesse rivolto alle musiche tradizionali. Quegli anni formidabili rappresentarono un momento di svolta per la cultura “zigana” in Ungheria per il riconoscimento del suo valore culturale non solo da parte di un pubblico più vasto ma anche in seno agli stessi Rom divenuti più consapevoli di quanto avessero da offrire. 
Se è vero che da secoli i gruppi Rom Romungro erano ben conosciuti per la loro cultura musicale, però più che suonare la propria musica essi erano parte della più ampia sfera della musica di intrattenimento per i gagé. Quando la cultura romaní iniziò ad apparire in televisione, ebbe un impatto notevole sul pubblico. Il già citato “Ki Mit Tud”, che ha lanciato anche Mónika Lakatos, è stato l’unico talent show di vecchio stampo prodotto nel periodo del regime socialista. Il programma andò in onda tra il 1962 e il 1996 e comprendeva una giuria di eminenti esperti provenienti dal mondo musicale, teatrale e, più in generale, delle arti ungheresi (vedi qui), il proposito era di far conoscere culture altre, diversamente dal format degli show contemporanei. Non secondario il fatto che molti musicisti “cigány” entrarono nel movimento culturale, musicale e coreutico Táncház 1 (“Case da Ballo”). Tra gli Oláh, più recentemente, gruppi quali Ando Drom, Romano Drom o Parno Gaszt si sono fatti un nome nei festival internazionali, ma la carismatica vocalità di Mónika, il virtuosismo della band guidata dal marito e la proposta di un repertorio interno alla comunità sono il punto dei forza dei Romengo e delle Gipsy Voices, la band che accompagna Monica dal 2018 e che le è accanto nel recente “Hangszín”, secondo album della Lakatos a suo nome dopo  “Romanimo” (2017), lavoro imperniato unicamente sul repertorio di canzoni chiamate hallgató, ricche di pathos. Corporatura minuta, lunghi capelli neri, sguardo profondo, voce melodiosa, Mónika Lakatos è artista e donna consapevole della sua identità duale, ungherese e Rom, e dell’importanza del suo impegno civile come rappresentante della cultura Oláh, con la convinzione che il linguaggio musicale possa essere viatico di conoscenza e di comprensione di mondo culturale spesso ignorato o discriminato dalla maggioranza, Mónika Lakatos ci parla della sua comunità e della sua recente produzione musicale. 

Ci può parlare delle comunità Olàh?
Le comunità qui in Ungheria sono speciali, in quanto stiamo ancora conservando la lingua lovari, che è un dialetto romaní, ed è una pietra angolare molto importante della nostra musica e della nostra vita. Tradizionalmente gli Oláh erano allevatori di cavalli e venditori itineranti. Sul piano culturale, viviamo davvero nella nostra cultura e cerchiamo di trasmetterla anche ai nostri figli. 
È importante che la cultura musicale sia trasmessa alle future generazioni a casa.

Nell’Ungheria odierna qual è la condizione degli Olàh all'interno della più ampia popolazione rom?
Una cosa che mi rende particolarmente triste è che la gioventù di oggi non impara più la lingua lovari, sono sempre meno quelli che la parlano. Ecco perché per me è così importante cantare in questa lingua. Ma posso anche vedere alcuni cambiamenti nelle nostre tradizioni e costumi: ci stiamo lentamente fondendo con la più ampia popolazio ne Rom.

Che può dire della discriminazione nei confronti dei Rom nell’Ungheria contemporanea. Quale il suo ruolo come artista?
Non sarei sincera se dicessi che nulla è sbagliato. Da cittadina incontro ogni giorno delle cose orrende perché sono Rom. Ma come artista, scendendo dal palco, incontro sempre gente amichevole. Purtroppo, il sentimento anti-zingaro 2 è presente anche nel mondo degli artisti, sappiamo che alcuni organizzatori di festival non amano gli “zingari” e quindi non invitano musicisti Rom a suonare. Personalmente cerco di non prendere posizione con la mia arte. Il mio obiettivo prima di tutto è quello di suonare, di mostrare la nostra eredità musicale a più gente possibile. Cerco di fare del mio meglio nella musica e di essere il più professionale possibile nel mio lavoro. Lo dico ogni volta che mi viene chiesto, che il razzismo in Ungheria è reale. 
Ma la nostra musica costruisce un ponte tra “zingari” e non zingari, e può persino aprire delle porte. Può fare meraviglie anche per le persone che non hanno l'apertura mentale per sapere qualcosa sulla musica romaní.

Come ha appreso a cantare?
Si potrebbe dire che sono un autodidatta, ma non è proprio così: ho  imparato da mio padre e dalle mie zie, dai cantanti della comunità, però non ho mai ricevuto un apprendimento musicale formale.

Ha avuto modelli di cantanti in Ungheria e fuori dal Paese?
Sì, molti di loro in effetti! Per esempio, ho seguito il lavoro di Esma Redžepova e della cantante folk ungherese di fama mondiale Márta Sebestyén. Ma i miei modelli più vicini sono i cantanti della mia famiglia e della mia comunità.

Da dove proviene l‘ispirazione per “Hangszìn”?
Il nostro nuovo album, “Hangszín” (“Colore Sonoro”, ndr) è stato principalmente ispirato da gioiose serate passate a cantare e suonare insieme nella nostra comunità: abbiamo suonato per il nostro divertimento, ma pensiamo anche che sia importante sostenere le vecchie canzoni tradizionali. La particolarità di “Hangszín” è che le canzoni sono cantate da cantanti dilettanti, ma incredibilmente talentuosi, che non si esibiscono in gruppi: sono interpretate nel modo più autentico possibile.

Sono tutti motivi tradizionali?
La maggior parte delle canzoni sono tradizionali, con due eccezioni: “Khél Lászá” è stata scritta da me, mentre “Szávátoné” da mio marito Mazsi Rostás. Per quanto ne sappiamo i tradizionali appartengono alla tradizione Oláh. Sono canzoni eseguite autenticamente come le abbiamo sentite quando eravamo bambini, come le abbiamo imparate dai membri della famiglia, ma ci sono anche delle improvvisazioni.

In che misura il repertorio Olàh è diverso da quello degli atri Rom?
Ci sono tre grandi gruppi etnici all’interno dei Romaní d’Ungheria: gli Oláh, i Boyash (Beás in ungherese) e i Romungro o Carpato-Rom, che sono dell’Ungheria orientale. 
La musica dei Boyash è molto simile alla nostra, ma ci sono differenze nella lingua e nei testi. I Romungro suonano soprattutto musica da festa e tendono a non parlare la lingua. La cosa davvero speciale della nostra musica Oláh è che tradizionalmente usiamo utensili da cucina e da casa come strumenti percussivi: kanna (una grande brocca per l’acqua metallica, ndr), kanál (cucchiai, ndr) e teknő (trogolo di legno, ndr). Lo si può sentire anche su “Hangszín”, con i suoni sorprendenti della brocca o il “szájbőgő” (che è il beatboxing, una sorta, per così dire, di “basso orale”, ndr) veramente unico, che oggi è spesso accompagnato dalla chitarra acustica.

C’è un luogo che più di altri è importante per la musica degli Oláh?
Gli Oláh vivono nella diaspora, ma se si deve parlare di una città legata alla nostra tradizione musicale, questa è sicuramente Nagyecsed, nell’Ungheria nord-orientale. Mio marito è originario di lì. Molti famosi cantanti e ballerini Oláh sono cresciuti in quell’area 3.

C’è una canzone nell’album o un tipo di canzone che può rappresentare più di altre l’appartenenza agli Oláh di oggi?
Beh, sarebbe impossibile scegliere, perché il messaggio centrale di tutto il nostro album è esattamente questo. Ogni canzone su “Hangszín” riguarda la vita, la cultura, la tradizione vivente degli Oláh Romani: si tratta di come vivevano nel passato e di come viviamo noi oggi.

Ci presenta la band Gipsy Voices?
Le cantanti sono Andrea Balogh, Ildikó Balogh e mia figlia Dzsenifer Rostás. Con Gipsy Voices abbiamo lavorato insieme per ricercare, rendere più fresche e presentare al pubblico le canzoni romaní più antiche e più vere. Abbiamo voluto lavorare con cantanti della nostra comunità che non sono ancora professionisti o che si sono esibiti in altre formazioni in passato. Questo è stato importante per noi, in modo da poter coinvolgere più giovani e rendere questa tradizione rilevante per una nuova generazione.

Cosa ha significato il Premio alla carriera ricevuto al WOMEX?
È stato un incredibile onore ricevere il WOMEX Artist Lifetime Achievement Award, soprattutto perché non solo sono stata la prima cantante romaní a riceverlo, ma anche la più giovane di tutti i tempi. Quindi, per quanto sia un grande onore, è anche un’immensa responsabilità. Posso solo sperare che tra dieci anni sarò stato all’altezza del premio, e che la scena musicale mondiale mi ricorderà come  

Progetti a venire?
In questo momento stiamo lavorando al terzo album della mia band Romengo dove suono con mio marito, Mazsi, che uscirà nell’estate 2021. Io e Mazsi stiamo anche scrivendo musica che un giorno diventerà la continuazione del mio primo album da solista, “Romanimo”, che ha raggiunto la top 4 della World Music Charts Europe.


Si ringrazia Ella Csarnó di Hangvető per la mediazione e la traduzione.

Ciro De Rosa


Mónika Lakatos és a Cigány Hangok – Hangszín (FolkEurópa/Hangvető, 2020)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Una raccolta di brani che segna un passaggio importante per questa cantante Rom Oláh, insignita del Premio alla carriera al WOMEX 2020, che si tratti delle canzoni d’ascolto (hallgató) di impronta lirica e ricche di pathos o di travolgenti motivi danzanti (pergető), come “Hej Bora”, brano d’apertura di “Hangszín (“Colore sonoro), il cui tema è la seduzione operata da una donna di nome Bora. 
In prevalenza, quelle di “Hangszín (“Colore sonoro”) sono composizioni prodotte e ascoltate in ambienti familiari, eseguite nel corso di feste, rituali o altre occasioni sociali comunitarie. Le doti vocali e le sfumature del timbro di Mónika Lakatos, rauco ma intenso, colori da blues singer, sono esaltate dall’accompagnamento, misurato e mai pervasivo: ci sono la chitarra e il tambura di suo marito Mihály ‘Mazsi’ Rostás, la chitarra di Róbert Lakatos, le percussioni di Máté A. Kovács, che fa uso di attrezzi casalinghi come un trogolo di legno e una zangola metallica e, soprattutto, impiega la tecnica beatboxing del “szájbőgő” (sorta di “basso orale”), originale accompagnamento della musica Oláh, che consiste nell’emissione di sillabe acute e interiezioni con particolari accentazioni delle note, innesto di brevi e veloci formule e grida ritmiche. E poi ci sono le voci femminili delle Cigány Hangok (Gipsy Voices) di Ildikó “Kriszti” Balogh, Andrea Balogh e della figlia Dzsenifer Rostás. “Un disco ispirato dalle serate passate a cantare, a suonare insieme nella nostra comunità”, spiega Mónika, nello spirito del divertimento, ma anche con l’intento di trasmettere le vecchie canzoni tradizionali, che costituiscono la prevalenza del programma. “Lóli Coxá” (“Vestito rosso”) è la schietta storia di un vestito regalato dal padre alla figlia; in “Az én uram” (“Mio marito”), una moglie canta del suo consorte, un ricco minatore; segue il pensiero positivo di  di “Na ker - na ker” (“Non agitarti”), “perché il sole tornerà a splendere”. Con intensa voce accorata, accompagnata soltanto dalla chitarra di Mazsi, Mónika riporta il lamento di un uomo che – miserabile omicida – langue in prigione ubriaco responsabile dell’assassinio della moglie (“Mátyilém mé mámo”, “Madre, sono ubriaco”). Al di fuori del repertorio tradizionale si colloca “Khél Lászá” (“Danza con me”), un incoraggiamento rivolto a un ragazzo di chiedere a una ragazza di ballare con lui, motivo scritto dalla stessa Lakatos, che si sviluppa con marcata spinta improvvisativa creata dalle acrobazie del basso beatboxing e dal ritmo scandito dalla kanna, la percussione metallica che è non è altro che una brocca per l’acqua; nella parte centrale entrano le strofe sillabiche non sense sincopate di Mónika che interagiscono con Kovács. Il tradizionale “Elment a madárka” (L’uccello è andato via”) è una canzone d’amore di rara bellezza per l’interpretazione della cantante e per l’arrangiamento minimale, quasi sperimentale potremmo dire, che può riportate alla mente certe intuizioni dei Makám (i più attempati li ricorderanno prima in sodalizio con i Kolinda e poi in solo, per gli altri rimandiamo a un’opportuna ricerca in rete). Di nuovo il piglio danzante in “Khángéri” (“Chiesa”), il racconto del precipitarsi alla vista di un’avvenente donna varca la soglia della chiesa. Avanza in un crescendo di voci “Csi lav tut” (“Non ho bisogno di te”), mentre il cordofono tambura guida “Szávátoné” (Di Sabato”), pezzo scritto da Mazsi Rostás su una tipica vicenda avvenuta a una fiera (gli Oláh tradizionalmente erano commercianti di cavalli). Si continua in levare con “Pálinka”, storia a elevato tasso etilico, in cui una suocera fa ubriacare la sposa. In conclusione, ci piazzano ancora tanto ritmo nel brano d’autore (Balogh István e Varga Ildikó dei Rományi Rota, altra band di culto, nata nel 1985 a Nagyecsed) che racconta di “Jóska bácsi” (“Zio Giuseppe”), uno scaltro e ricco self-made-man che argutamente pratica l’arte di ammaliare le donne. “Hangszín” è una schietta celebrazione della cultura dei Rom Oláh del passato e del presente con l’intento di portarla al grande pubblico senza diluirne l’essenza più profonda.


Ciro De Rosa


Foto di Attila Kleb, Janez Marolt.jpg e András Farkas
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1 Sul movimento Táncház si vedano il documentario diretto da Simon Broughton, “Fly, bird, fly – The Hungarian Dance House Story” (2020) e il volume di Béla Szilárd Jávorszky, “The Story of Hungarian Folk”, Kosuth Publishing (2015).
2 Lakatos usa la parola “cigány”, che si può tradurre con zigano o zingaro, sottolineando che non considera l’eteronimo dispregiativo di per sé, perché è piuttosto l’intenzione del parlante a fare la differenza, rivelandone la connotazione discriminante e ciò può accadere anche per etnonimo Rom (cfr. Songlines #164, January/February, p. 33).
3 Si tratta di un territorio nel quale alcuni ricercatori ungheresi, tra i quali i fondamentali György Martin e Rudolg Vig, hanno condotto ricerche sul campo per raccogliere i repertori folklorici locali. Cfr. Béla Szilárd Jávorszky, “The Story of Hungarian Folk”, 2015.

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