I silenzi discografici non sono tutti uguali. Ognuno ha i propri artisti silenti, tanti ne abbiamo avuti, differenti tra loro nel passato lontano o in quello recente, per ultimo quello dignitoso di Francesco Guccini. Ce ne sono in questo tempo due europei e due americani che, per motivi differenti, appaiono particolarmente “di peso”.
Il primo silenzio è quello di Robert Wyatt. Dura da dodici anni. In più l’ultimo cd prodotto “For The Ghosts Within'” è attribuito al trio Wyatt/Atzmon/ Stephen e l’unico brano composto dal nostro, "Maryan", era già apparso in "Shleep", quindi bisognerebbe tornare addirittura a “Comicopera” (1) del 2007 per trovare un disco completo di canzoni originali. E gli anni di silenzio diventerebbero quindici. Le condizioni fisiche menomate, la dipendenza dall’alcool e la proverbiale pigrizia valgono senz’altro più dell’ammirazione incondizionata di cui gode da parte di tutti. Nessuno avrebbe mai immaginato nel settembre del 1971 alla cacciata dai Soft Machine che dietro il batterista si celasse un cantautore di tale stoffa. Anche se Wyatt, da buon dadaista, è sempre stato convinto che per descrivere o spiegare più che le parole siano utili i suoni, in modo da lasciare libere le interpretazioni secondo la sensibilità di ciascuno. Inoltre, ha sovente ripetuto di sognare costantemente e ciò ha prodotto anche quel capolavoro assoluto e inarrivabile che è “Rock Bottom” a partire da un organo giocattolo, uno strumento portatile di marca “Riviera” regalatogli dalla fidanzata Alfreda Benge per ingannare il tempo. L’aveva accompagnata controvoglia a Venezia nell’inverno del ‘72 dove era stata ingaggiata come seconda assistente al montaggio di un film (2). Senza dimenticare ovviamente quella voce con cui raggiunse l’anima al suono di un semplice respiro (“Alifib-Alife”) ma con cui seppe contemporaneamente trovare sentimento dall’odore salmastro del mondo sotto la superficie dei canali della Giudecca (“Sea Song”). Per trasportare quell’incanto acquatico nel dramma post-traumatico servono talento e coraggio non comuni, come per esprimere alla donna parole d’amore...totalmente prive di qualsiasi senso logico: “not nit not nit no not nit nit folly bololy, Alifi dispensa mia, per jangle e bojangle trip trip pip pippy pippy pip pip landerim”. Infatti lei subito dopo gli rispose seccata: “Non sono la tua dispensa, barattoli di vero e mostarda, non sono la tua cena, tu, vecchia crema sdolcinata e cos’è un bololy? È una follia?”. Dopo aver condensato un anno di indicibili grovigli emotivi in pochi minuti di vocalizzi primordiali, Wyatt impreziosirà cento e più disparate collaborazioni, come forse solo il contrabbasso di Charlie Haden sapeva fare. La sua voce dev’essere proprio simile a quella di un angelo se ad un certo punto tentò veramente di volare…! La dimensione onirica gli è rimasta come unica via di fuga da un mondo di sconforto, depressione e altre pesantezze intollerabili “Se fossi stato libero, avrei scelto di non essere me, forze demenziali mi hanno spinto pazzescamente in un ingranaggio, lasciatemi andare, sono molto stanco (3).”
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Storie di Cantautori