Ustad Saami – East Pakistan Sky (Glitterbeat Records, 2021)

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Per il terzo anno consecutivo Ustad Naseruddin Saami rilascia un album di musica vocale, nuovo tassello di una carriera discografica iniziata tardi per gli standard occidentali (l’Ustad ha 77 anni) ma fondamentale traguardo per la preservazione di una tradizione che scomparirà col maestro. Ad un orecchio poco allenato la musica dell’Ustad suonerà come quella di ogni altro Ustad di musica classica dell’Asia Meridionale, perché di fatto di questo si parla: Ustad Saami fa parte della Gharana di Delhi, fondata dai suoi antenati. Con Gharana si identifica un sistema e luogo di trasmissione musicale e stilistica tradizionalmente basato su legami di sangue e familiari, una sorta di scuola nel senso pedagogico del termine ma anche nel senso estetico: ogni Gharana approccia lo stesso genere di musica in modi unici e caratteristici. In questo senso, quindi, Ustad Saami fa la gavetta come molti altri, assorbendo e ascoltando per poi specializzarsi in Khayal, il genere di musica classica più popolare al giorno d’oggi. Ciò che rende l’Ustad speciale è l’utilizzo della scala Surti, che divide l’ottava in 49 microtoni regalando, a chi la padroneggia, una palette espressiva ricca di sfumature. Ustad Saami è l’ultima persona rimasta ad utilizzare questa tecnica che verosimilmente scomparirà con lui. Questo è probabilmente il risultato di una serie di fattori, tra cui certamente troveremo la standardizzazione dei metodi di insegnamento della musica che hanno invaso tutto il mondo colonizzato, spesso sradicando sistemi estetici e di giudizio indigeni. 
Lo stesso Ustad, crescendo, è stato spesso giudicato stonato per l’utilizzo di una scala così poco comune che infrange le regole degli altri sistemi musicali. Alla scala Surti Ustad Saami affianca testi di lingue diverse. A seconda della performance l’ascoltatore può ritrovarsi a sentire poemi in sanscrito, urdu o hindi, ma anche lingue meno comuni nel genere, come il persiano e il sanscrito vedico. Fortunatamente l’artista ha raggiunto le orecchie del celeberrimo produttore Ian Brennan, che nel 2019 ha registrato il primo disco di Saami a Karachi, Pakistan, “God is not a terrorist”, cui un anno dopo ha fatto seguito “Pakistan is for the Peaceful”. Il produttore americano, che probabilmente conoscerete per produzioni come Tinariwen e Canzoniere Grecanico Salentino, si concentra da anni su album che hanno un valore sociale e documentativo. Gli album di Ustad Saami sono a tutti gli effetti documenti sonori, anche se non conservati in un vero e proprio archivio. Sugli scaffali di chi comprerà il disco o sulle librerie web rimarrà la traccia sonora di uno stile che sarà, a breve, estinto. Con queste premesse, vi invito ad aprire qualunque piattaforma streaming o – meglio ancora – ad acquistare il disco, indossare delle cuffie comode e ascoltare “East Pakistan Sky”, che non è solamente l’ultimo disco e manifesto di quanto detto sopra, ma probabilmente il più accessibile e fresco dei tre. L’album contiene due pezzi, “Night Falls (Desert Melody)” e “Prayer for Peace”, che sono di fatto un’unica performance frammentata per poter rientrare nei canoni di release contemporanei e rilasciare un singolo. La divisione, tuttavia, non è arbitraria: i 35 minuti di performance vengono separati in 29 e 6 minuti, dove la prima “metà” contiene l’ālāp e la seconda bandiś e laykārī. L’ālāp è una lenta invocazione ed esplorazione del raga (scala) scelto per la performance. Il cantante comincia a improvvisare usando poche note e mano a mano ne aggiunge altre, tutto ciò senza accompagnamento ritmico e in totale libertà di movimento. 
Segue il bandiś, la vera composizione, di solito basata su due versi di poema e accompagnata dai tabla o dal pakhavaj. Dal nucleo di questi versi inizia poi l’improvvisazione virtuosistica tipica del laykārī, dove il cantante o musicista mostra la sua versatilità metrica e melodica destreggiandosi in rapidi fronzoli. Queste ultime sezioni, per ovvi motivi, sono state scelte per il singolo, che non poteva certo includere mezz’ora di improvvisazione non metrica. Nonostante ciò, il taglio sembra del tutto naturale perché piazzato dove i musicisti avrebbero in ogni caso preso il fiato prima di partire con le nuove sezioni. In questo disco Ian Brennan cattura una performance genuina e ammaliante di Ustad Saami dove la voce è un protagonista quasi silenzioso, mescolato con i bordoni della tanpura e le note dell’harmonium. Un fantastico esempio di musica classica dell’Asia Meridionale, che ne racchiude gli originali toni meditativi ma strutturandosi per un disco per il mercato moderno e occidentale. Una fotografia acustica che cattura il panorama sonoro del Pakistan di Saami attraverso i secoli e per i secoli successivi. 


Edoardo Marcarini

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