Le donne non dimenticano Ciampi: Alessia Arena/Chiara Riondino – Piero è passato di qui (Materiali Sonori, 2022)/Sara Jane Ghiotti – Non siamo tutti eroi (AlfaMusic/Egea, 2022)

Per la prima volta in questi due simultanei omaggi l’opera di Ciampi è messa in scena da voci femminili per la lunghezza di un disco intero (in precedenza “E il tempo se ne va” di Rossella Seno, 2008 era un mini-cd composto da quattro pezzi mentre “Ho scoperto che esisto anch’io” di Nada, 1973 era praticamente scritto appositamente per l’occasione). La scelta delle canzoni evidenzia perlopiù l’esclusione dei disperati capolavori che tratteggiarono la figura del Ciampi degli anni Settanta, ribadendo ancora come le donne privilegino la melodicità dei testi de Litaliano. “Piero è passato di qui” contiene brani originariamente pubblicati in 45 giri nel 1960 (“Conphiteor”, “La Grotta dell’Amore”), 1962 (“Alé Alé”), 1971 (“Il vino”) o provenienti da inediti provini del 1967 (“Albergo”, “Niente Risolto”, “Ho le tasche sfondate”) e del 1966 (“Più di così no”, che Teresa De Sio interpretò mirabilmente nel 1991). La poetica di Piero ha ispirato ad Alessia e Chiara anche due inediti originali posti in chiusura del disco e intesi come omaggi a lui indirizzati: “Una estate così fredda” e soprattutto “Di te” dall’atmosfera che mi ha portato una dolce suggestione “pavesiana”. Dalla scaletta del disco, il pezzo che più è entrato nella storia, è sicuramente “Il Vino”. Una canzone che in origine conteneva versi ancor più drammatici di quelli ufficiali: “sono quasi morto dentro l’acqua sporca, sto sognando un orto ma l’incubo è la forca, viene vicino un treno, fischiando maledetto, vorrei gettargli il freno che non possiedo in petto, cerco di rialzarmi, scorgo un casolare, vedo troppi danni in questo camminare”. Questo grottesco testo e la sua irresistibile melodia ebbero una magnetica attrattiva che rimase misteriosamente velata anche dopo le riproposizioni di Gino Paoli (1980) e di Marco Ongaro (1992), fino ad esplodere infine con l’interpretazione dei La Crus, ben ventiquattro
anni dopo la composizione. A dire il vero dal sorgere del triste decennio dell’egoismo sociale in cui lui morì, l’intera figura di Ciampi era stata nell’ombra e vi rimase fino a metà anni Novanta. Poi successe qualcosa, forse fu uno dei vari moti di ribellione al berlusconismo dilagante o uno dei tanti desideri di bellezza sbocciati dopo la fine del maledetto conflitto balcanico, a noi geograficamente così vicino. Come per la riscoperta di Nick Drake, un pubblico smarrito e curioso che amava la canzone d’autore, sull’onda di figure come Ian Curtis o Nick Cave, riconobbe anche Piero Ciampi. Immerso nel tema del rapporto con la donna è anche il cd di Sara Jane Ghiotti, interamente interpretato e arrangiato al femminile e pervaso prevalentemente dalle classiche sonorità di un quartetto d’archi che si ritaglia anche uno splendido arrangiamento strumentale del medley composto da “Tu no/La colpa è tua/Non chiedermi più”. Non mancano tuttavia gli interventi di fiati, arpa o altro, “Andare, camminare, lavorare” è un duetto voce/percussioni. “Non siamo tutti eroi” reca il medesimo titolo della compilazione curata da Luciano Ceri all’alba del nuovo millennio che per la prima volta raccoglieva in cd la serie completa di 45 giri di Ciampi editi tra il 1960 e il 1965 dalle etichette Bluebell, CGD e Ariel. Anche in questa occasione i brani sono prevalentemente scampoli dell’opera iniziale quando la poetica esistenziale era pacata e nostalgicamente evocativa, le atmosfere solenni, virate al grigio di un ombroso
romanticismo. “Qualcuno tornerà” e “Hai lasciato a casa il tuo sorriso” vennero inizialmente pubblicati da Litaliano come singoli nel 1961, “Confesso” e “Non siamo tutti eroi” l’anno seguente. “Barbara non c’è” (1970) e “L’amore è tutto qui” (1971) provengono dagli ultimi due 45 giri di Piero. “Sporca estate” è l’apertura del sontuoso secondo LP con le quattordici tempere di Aldo Turchiaro e vincitore del Premio della Critica Discografica di quell’anno. Le interpretazioni meno antiche provengono dal terzo disco “Io e te abbiamo perso la bussola” (1973): “Tu con la testa, io con il cuore” e “Te lo faccio vedere chi sono io” che viene mescolato con l’inedito “Tento tanto” che, su martellante musica di Gianni Marchetti, arriva invece da un fortunoso provino allegato come supporto sonoro all’indispensabile volume “Tutta l’opera” (1992) a cura di Enrico De Angelis. Come precedentemente sostenuto* questi altri due sentiti tributi al femminile sono l'ennesima smentita alla banale falsità ciclicamente pronunciata del "Ciampi dimenticato". A meno che non lo si voglia confrontare con chi notorietà e successo li ha inseguito sul serio ma non certo cantando canzoni come le sue, scritte per immagini, quasi stesse dipingendo. Caratteristica questa dei più grandi, visto che anche Jacques Brel sosteneva: “in una canzone le parole sono il disegno, la musica è il colore”. Non è stato per niente dimenticato questo figlio dell’isola di Livorno dove nacque mezzo slavo-ebreo da parte di madre e mezzo cugino del futuro Presidente Carlo Azeglio da parte di padre e dove, per non aver capito il peccato di sognare, continuò a cercare invano “l’infinito nel tempo che è passato”. Per come ha duramente inteso la sua esistenza, per il modo sciagurato in cui ha "gestito" la propria "carriera", per il tono polemico e rissoso delle poche apparizioni canore pubbliche, dopo tutti questi decenni, è addirittura miracoloso che sia così
 tanto celebrato. Nel 1974 Ornella Vanoni chiese canzoni di Ciampi per un intero LP, Piero il disgraziato non rispose neppure. Dubito assai che la cronologia dei suoi avvenimenti discografici sarebbe stata la stessa senza gli interventi determinanti di chi lo ha pazientemente e concretamente aiutato: Ennio Melis e Gianni Marchetti in testa. Le condizioni imposte per essergli amico dovevano essere davvero proibitive per chiunque. La sua dipendenza dal vino ha certamente influito nella mitologica narrazione postuma ma chi l’ha conosciuto afferma di non averlo mai visto perdere il controllo o l'eleganza nella figura, sobrio o ubriaco che fosse, poteva essere digiuno e squattrinato ma la camicia era sempre ben stirata. Come testimonia la straziante canzone rivolta alla figlia, dove specifica comunque che“...non ti potrò baciare perché anche tra noi due l'attesa è sacra e la diffidenza necessaria...” (L’incontro, 1975). Sicuramente da moltissime persone l'opera completa di Piero Ciampi non è conosciuta ma la sua poetica ha un proprio pubblico che definirei “devoto”, tenuto stretto e guidato dall’assoluta potenza dei versi. Tutti gli anni vengono incise interpretazioni di sue canzoni e pubblicati articoli o libri. Recentemente a Brescia è stato riproposto il volumetto “53 Poesie” (originariamente del 1973), con quelle sue righe carnali e talvolta “prevertiane”. Non credo ci siano in Italia altri autori di canzoni, Fabrizio de André a parte, a cui siano stati consacrati così tanti cd-tributo di artisti singoli o collettivi. Se ne contano (ufficiali) a tutt’oggi una ventina. Esistono un premio annuale nazionale a lui intitolato da ben ventisette anni, concerti, spettacoli teatrali, incontri e traduzioni in altre lingue, anche in tempi recenti, come quelle incise da Georgio “the Dove” Valentino, Stella Burns (alias Gianluca Maria Sorace), Giulia Millanta o da Peter Hammill. E non era stato ignorato neppure in vita, quando le sue canzoni furono affidate ad un buon numero di cantanti dell'epoca come Gigliola Cinquetti, Wilma Goich, Dalida, Patty Pravo, Nicola di Bari o Gianni Morandi. Canzoni che talvolta arrivarono ad essere presentate ai maggiori eventi canori nazionali, il Festival di Sanremo e Canzonissima.
Dove nel 1971 Carmen Villani offrì una indimenticabile e straziante interpretazione di “Bambino mio”, affrontando probabilmente per la prima volta in canzone la tematica del rapporto tra un figlio e un genitore separato come avrebbero fatto Gaber/Luporini l’anno seguente ne “Il mestiere del padre”. Com’era usanza dell’epoca, qualche pezzo di Ciampi venne inoltre tradotto in altra lingua, all’interno di 45 giri destinati ai mercati esteri. Erano certamente tempi dove la popolarità di un cantante era la sola cosa che emergeva e il pubblico non si interessava a chi avesse composto la sua canzone. Ma la fama di Ciampi-autore era conosciuta nell’ambiente musicale italiano e perfino Francesco Guccini agli inizi degli anni Sessanta interpretava in pubblico “Il vento si leva” e “L’ultima volta che la vidi”. Ci sono certamente personaggi all'interno dell'epopea della canzone d’autore italiana che furono disadattati quanto lui e che oggigiorno sono circondati da un oblìo superiore. Chi davvero, dopo la sua morte, lo ha costantemente e colpevolmente ignorato, è stata l'industria discografica nazionale che di un talento del genere avrebbe dovuto mantenere tutti i preziosi dischi perennemente in catalogo. Invece è stato scelto ottusamente di compiere un vero e proprio “omicidio culturale” a cui tanti appassionati nel tempo hanno cercato di rimediare in ogni modo, spesso con entusiasmo e competenza davvero encomiabili. Come nel caso della riproposizione nel 2014 ad opera di vari artisti, di tutti i brani che composero l’esordio in 33 giri di Piero Litaliano, rispettando
 pedissequamente l’ordine della scaletta originale del disco...cinquant’anni dopo. C'è anche chi va fiero di lui, visto che recentemente (Delibera n.645 del 14/11/2017) la Giunta Comunale di Livorno ha apposto una lapide commemorativa fuori del palazzo di via Roma 1, dove ebbe i natali, dichiarandolo ufficialmente “poeta e cantautore fino all'ultimo minuto”. Ha vissuto poco tempo Piero Ciampi, alzando continuamente la posta, come fece anche Vladimir Vysotsky e non si può ogni giorno ricominciare da zero, senza andare alla malora come successe a loro. Ma probabilmente se fosse rimasto non avrebbe più inciso dischi come aveva peraltro già confessato a Gianfranco Reverberi. L’ultima volta che venne visto a Livorno era il 6 marzo 1979, all’Enoteca Mannari (che si chiamava fino a cinque anni prima, Osteria dei Terrazzini). Così, per molto tempo, il 6 marzo di tutti gli anni, per qualcuno, come in un rito, divenne abitudine ritrovarsi proprio in quell’osteria nel suo ricordo. Dal 2008 non c’è più neanche l'enoteca Mannari. Così come viveva, così scriveva. Affermava di aver deciso troppo tardi che il Natale era il 24 o di essere un grande chitarrista perché lui era un gitano. Ma aveva sicuramente davvero visto “rive senza mare”, Piero che alla fine se ne andò senza possedere davvero nulla, nemmeno gas, luce e acqua. 

Flavio Poltronieri



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