Antonio Mazzi, nel mondo ogni cosa a suo modo canta, con il dialogo del sorriso

In “Il Dialogo del sorriso” (novembre 2021), numerosi titoli dei capitoli sono denominati “cantici”. Sono formalizzazioni dei suoi pensieri o sintesi di discorsi orali, brevemente introdotti in prosa e poi, quasi sempre, esposti sotto forma di poesia: “Cantico dello scartino, del silenzio ignorante, dell’anima, del frammento, dell’esiliato, della polvere, dell’insieme, del tempo, della mitezza, delle piccole cose, della terra, della vita”. Il testo è stato scritto con libertà espressiva (“scompaginato come il suo padrone, ma infinitamente terapeutico”, ha scritto in presentazione). Ricco di spunti musicali è il capitolo “Silenzio-Deserto”. Dove il silenzio acquisisce importanza quotidiana rispetto al cammino interiore, il quale “aiuta a imparare a vivere il presente…, la ribellione”. Silenzio che è fascino e va vissuto, poiché è “creativo e odia la normalità”. Silenzio che serve per ritrovarci, per creare il Deserto: «Per deserto intendiamo il terreno che ciascuno di noi deve percorrere da solo. L’esistenza è sempre in un deserto. Il quotidiano è il deserto che rifiorisce. Il deserto è la metafora dell’esistenza». Evocativi sono anche i versi del capitolo “La cetra e l’uomo”, dove lo strumento diventa simbolo e mezzo di accompagnamento dell’esistenza, «… perché nel mondo ogni cosa a suo modo canta. I colori, i fiori, gli alberi, i temporali, le albe, le stelle, i bimbi nelle pance delle mamme … cantano. Anch’io canto … è strano che mi venga voglia di cantare quando sono arrabbiato…». Nel testo la cetra viene spaccata. Dalla rottura simbolica inizia il ritrovamento interiore, che invita «a uscire da te, andare verso l’altro, perché la vita è amore e amore è estasi dall’io al tu». Il concetto dell’alterità viene ripreso nel capitolo “Dialogo con Dio”, dove l’Autore conia il trilogismo: “amandonarsi” (amarsi, abbandonarsi, donarsi). Nel termine, risalta il concetto di amore vero: «Dopo aver scoperto la nostra anima, ci permette di capire che possiamo comunque amare donandoci noi e agli altri gratuitamente e simultaneamente». Nelle conclusioni, emerge un’altra umana espressione sonora: il ridere. «Dove non si ride, manca un ingrediente fondamentale della nostra umanizzazione. Perché ridere è segno di maturità. Ridere è da buoni. Ridere è da liberi. Ridere è da civili». Da cui la poetica del sorriso, che viene dall’Autore rafforzata citando frasi di Teresa di Calcutta, Roberto Benigni e Caroline Adams Miller. In chiusura l’esortazione: «Signore, insegnaci a parlare meno e a sorridere di più anche nei deserti delle nostre vite balorde». Pensiamo sia di buon auspicio esprimere con sentimento gli auguri per il nuovo anno all’insegna del dialogo del sorriso, secondo i sani propositi formulati da Don Mazzi, il quale, in vario modo, ringrazia per quanto ricevuto in vita, ma fa intendere di avere in mente un mondo societario più semplice e umano, meno burocratico e dogmatico, più equo, più giusto, più generoso. In sintesi, un mondo distante da quello contemporaneo tecnocratico e digitalizzato, nel quale le leve del controllo sociale internazionale e i capitali finanziari sono concentrati nelle mani di pochissimi individui (sempre più ricchi). Leggendo il testo di Don Mazzi ci è tornata alla mente una nota frase di Shakespeare: “Che epoca terribile quella in cui degli idioti governano dei ciechi!”. Tutto il suo libro è un invito a non isolarsi, ad aprire gli occhi e il cuore, ma anche «un invito a voltare le spalle all’aggressività dei nostri tempi, allo spettacolo della prepotenza e allo schema della prevaricazione e ad abbracciare il “dialogo del sorriso”, il confronto aperto, lo scambio nel quale è meraviglioso ascoltare e dal quale si può anche imparare». Con spirito di risonanza, a tutti i lettori-osservatori-ascoltatori, noi porgiamo gli Auguri di Buon 2022, all’insegna della Musica, della Natura (capace di insegnare il valore della differenza in ambito cooperativo) e dello spirito di Libertà e di Abbondanza, per una consapevolezza e una crescita “without chains” che pensiamo, in futuro, riuscirà ad accomunare pacificamente tutti i Popoli del mondo. Utopia? 

Paolo Mercurio

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