Giunto al suo ventiquattresimo anno di attività, il Padova Jazz Festival è riuscito a mettere in cartellone quasi tutti i concerti programmati per l’edizione 2020, annullata sul filo di lana in rispetto delle misure legate al Covid-19. Dal 10 al 21 novembre, la ventitreesima edizione del festival padovano ha tenuto in vitale tensione jazz statunitense ed europeo, con artisti da Italia, Svezia, Germania, Russia. Nel caso degli statunitensi, per questa edizione ha privilegiato chi vive prevalentemente in Europa, nomi di primo piano come Charles Lloyd e David Murray.
Grazie all’impegno di Gabriella Piccolo Casiraghi con l’Associazione Culturale Miles, il Padova Jazz Festival ha saputo radicare nella città veneta un appuntamento autunnale che coinvolge i più diversi palchi e locali e, da tre anni, ha stabilito anche un fruttuoso sodalizio con il Centro d’Arte degli Studenti dell’Università di Padova, l’altro attore storico in questo ambito.
L’edizione del 2021 è stata attraversata da un profondo dolore: la morte l’11 ottobre, a sessantadue anni, di Enzo Carpentieri, da anni manager del festival, forte della sua eccezionale esperienza di didatta e di musicista, protagonista come batterista di gruppi che hanno segnato il jazz italiano, da Massimo Urbani a Antonio Faraò a Carlo Atti (innumerevoli ed indimenticabili le jam insieme), e di collaborazioni con solisti del calibro di Art Farmer, Tony Scott, Steve Grossman, oltre che propulsore di progetti che sapevano reinventare la storia del jazz:
da Dufay, con Erwin Vann, a Dolphiana, al Lunar Quartet con John Tchicai, al trio con Greg Burk con cui avrebbe dovuto suonare al Caffè Pedrocchi il 14 novembre.
Il festival ha offerto un’anteprima dedicata alla musica brasiliana il 23 ottobre nel teatro MPX con il duo che vede la collaborazione fra Fred Martins alla voce e alla chitarra e Jaques Morelenbaum al violoncello – con la partecipazione nei brani centrali del concerto di Melissa Freire alla voce.
I due palchi principali sono stati il teatro Verdi e la Sala dei Giganti nel Palazzo Liviano. Qui hanno aperto le danze da par loro il dieci novembre gli energici svedesi Angles 7, seguiti il giorno dopo da uno dei gruppi partoriti dal lavoro creativo del pianista Fabrizio Puglisi, i Guántanamo e poi dai tedeschi Monk’s Casino. Insieme al concerto al Verdi della Fire! Orchestra (guidata da Mats Gustafsson e Johan Berthling), queste serate rivelano l’attenzione del Centro d’Arte per la musica contemporanea che sa mantenere viva l’esplorazione della dimensione improvvisativa, trovando anche modi di abbinare al concerto principale un set di apertura che ha visti impegnati l’11 novembre Dimitri Grechi Espinoza, con un approccio meditativo al sassofono, abbinato ad un effetto di riverbero; il 15 novembre il duo con Errico De Fabritiis al sassofono e Federica Michisanti al contrabbasso, impegnati nell’interpretazioni delle eleganti ed espressive composizioni di Michisanti; il diciassette novembre la capacità tellurica espressa dai fiati di Marco Colonna insieme al contrabbasso di Silvia Bolognesi.
Il set più intenso l’ha offerto Pasquale Mirra, eseguendo in solitudine, con vibrafono e campane tibetane, una splendida suite che alterna la rivisitazione brani chiave nella sua formazione jazz e nella musica contemporanea a momenti di libera improvvisazione che determinano la scelta del brano successivo, liberando così l’esecutore dall’idea di scaletta predeterminata. Mirra è stato anche brillante protagonista del bel viaggio di Guantanamo fra le tante declinazioni delle melodie e dei ritmi afrocubani, attingendo al repertorio del cd “Giallo Oro” così come a classici del jazz composti da Bud Powell, George Russel e Joe Zawinul che trasformano il gruppo, integrato da Luca Valenza (marimba, armonica a bocca), Davide Lanzarini (contrabbasso), Danilo Mineo (percussioni), e Gaetano Alfonsi (batteria) in una vera e propria orchestra. Se possibile, ancora più coesi, imprevedibili e divertenti sono risultati i Monk’s Casino, quintetto tedesco che vede al piano una leggenda dell’improvvisazione europea, Alexander von Schlippenbach insieme a Axel Dörner (tromba), Rudi Mahall (clarinetto basso), Jan Roder (contrabbasso), Michael Griener (batteria).
Sempre la Sala dei Giganti, ha ospitato il diciassette novembre un trio che sintetizza e rilegge buona parte dei linguaggi dell’avanguardia jazz dagli anni ’80 ad oggi, guidato da David Murray ai sax con Brad Jones al contrabbasso e l’impareggiabile Hamid Drake alla batteria.
La Fire! Orchestra al Verdi è stato l’ottimo epilogo di questo percorso a coronamento di un progetto riuscito di collaborazione anche con Area Sismica (Forlì) dove il nucleo svedese del gruppo (con Mads Forsby alla batteria, Susana Santos Silva alla tromba, Mats Äleklint al trombone, Anna Högberg e Mette Rasmussen ai sax),ha potuto provare con una selezione di musicisti italiani: Gabriele Mitelli (tromba), Virginia Genta (sassofoni), Stefano Pilia, Sara Ardizzoni (chitarre elettrica), Valeria Sturba (theremin e voce), Elio Martusciello (elettronica), Fabrizio Puglisi (tastiere), Jacopo Battaglia (batteria). La conduzione di Johan Berthling ha permesso di esplorare temi molto diversi fra loro, tutti accomunati dalla capacità dell’orchestra di lasciare mano libera al solista di turno per poi
costruire ampie dinamiche sonore in grado di cogliere e intrecciare l’ampia gamma di timbri e sonorità del gruppo.
Rispetto al versante mainstream, la Sala dei Giganti ha ospitato il tredici novembre un eccezionale duo di pianisti: Dado Moroni e Danny Grissett, con un programma che rimandava a Charlie Parker e al virtuosismo hardbop, ma ha saputo far spazio anche a interpretazioni molto espressive di ballad e di Monk. Nelle due serate conclusive, il teatro Verdi ha proposto, in esclusiva per l’Italia, il sax tenore ed il flauto di Charles Lloyd accompagnato dal trio con Gerald Clayton al pianoforte, Reuben Rogers al contrabbasso e Kendrick Scott alla batteria ed ha riservato l’ultima serata alla poesia del flicorno di Enrico Rava in duo con il pianista Fred Hersch. Poesia che ha caratterizzato anche il concerto di “coda”, la mattina di domenica 21 novembre, con Ermanno Maria Signorelli alla chitarra acustica e Ares Tavolazzi al contrabbasso a porgere dal vivo i diversi colori del recente “Silence”, giustamente offerto senza batteria nel contesto di una chiesa, come quella di San Gaetano, che non avrebbe reso giustizia alla formazione in trio.
Accanto a questo programma “principale”, una miriade di appuntamenti nei locali cittadini – frutto nel lavoro nel corso degli anni proprio di Enzo Carpentieri insieme a Sara Pezzato Carpentieri, con nomi di primo piano al Caffè Pedrocchi: il dodici novembre la cantante Lucy Woodward, ed il sedici novembre il quintetto Halfplugged Syncotribe guidato dal sassofonista Maurizio Giammarco.
Fiore all’occhiello le mostre fotografiche dedicate agli scatti di Carlo Verri (Scuderie di Palazzo Moroni, dal 5 al 30 novembre) e di Giuseppe Craca (Caffè Pedrocchi, dal 9 al 28), oltre alla presentazione del libro fotografico di Alessandra Freguja.
L’ampio lavoro di documentazione audiovisiva dovrebbe essere convogliato nei prossimi mesi nel canale youtube del Padova Jazz Festival, come avvenuto negli anni scorsi.
Alessio Surian
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