Massimo Germini – Qualcosa di familiare (PlayAudio/Azzurra Music, 2021)

Questo è il primo disco di Massimo Germini da cantautore – ha all’attivo molta produzione di tipo strumentale – ma è davvero il caso di dire che la canzone d’autore è per il chitarrista, anzi, per il “mago delle corde” milanese, davvero “Qualcosa di familiare”; non solo perché la sua lunga carriera è colma di collaborazioni eccellenti e di primo livello e non solo perché regina tra le sue collaborazioni è quella con Roberto Vecchioni, che alla canzone d’autore ha dedicato addirittura la Voce nell’enciclopedia Treccani; è qualcosa di familiare perché è il suo timbro vocale ad essere “cantautorale” per eccellenza; perché è il suo modo di cantare ad essere perfettamente “in linea”; Massimo ha raccontato a chi scrive, in una intervista radiofonica, che proprio da Vecchioni – che sostituisce spesso alle prove nel canto – ha avuto due dritte fondamentali, che solo all’apparenza sembrano scontate: la prima è che quando si canta musica d’autore bisogna pensare intensamente a quello che si dice e la seconda è che quello che è importante davvero non è il canto, ma il racconto; potremmo quindi forse dire: “Canta come parli”. Germini lo fa nei sei pezzi scritti con i testi del poeta Michele Caccamo – gli altri cinque, che vanno a comporre l’album, sono strumentali – e lo fa con convinzione, delicatezza ed eleganza. Grazia Di Michele ha detto a Germini di essere “credibile” quando canta. Ed è proprio così. Si tratta, come dice lui stesso, di un progetto mai divisivo, un disco di canzoni d’amore, o meglio, un disco intimo, che parla all’anima più profonda, ai sentimenti più delicati, ma anche al disincanto. È un lavoro malinconico ed elegante, che si fa ascoltare tutto con condiscendenza si potrebbe dire, condiscendenza verso se stessi. In questo disco quando si soffre, si soffre con pudore e stile, con delicatezza. E dopo averlo ascoltato ci si sente meno soli. E questo è opera non solo delle belle parole di Caccamo, di cui si nota la particolare sintonia con Germini – il disco è stato concepito durante il primo lockdown, in un momento di solitudine di entrambi: dovevano essere canzoni scritte perché altri le cantassero, come per esempio Claudio Baglioni, che, guarda caso, ha apprezzato la parte compositiva e testuale e anche e soprattutto la voce di Germini… - ma anche dei suoni, di tutte le corde attente (chitarra classica, liuto cantabile, charango, basso) del musicista milanese, che ha prodotto e arrangiato il tutto e si è avvalso del contributo degli strumenti di Carmelo Colajanni (arghul, clarinetto, bansuri, duduk), di Emiliano Cava (percussioni), di Lele Battista (tastiere) di Robero Gualdi (percussioni) e della voce di Roberto Vecchioni nel brano che dà il titolo al disco. L’augurio è che sia solo l’inizio: Massimo Germini, come tutti i veri musicisti, ha la capacità assoluta di collaborare e fondere il suo lavoro con quello degli altri; gli si addice la parola “insieme”; per riuscire in questo ha la bravura, la pazienza e anche l’umiltà (a volte anche eccessiva a parere di chi scrive); continuerà quindi a produrre bei dischi, a suonare per grandi artisti, a scrivere libri a sei mani - come il recente volume “Canzoni” di Roberto Vecchioni, con i suoi commenti e quelli di Paolo Jachia (Blogfoolk se ne occuperà) - a partecipare a progetti di Teatro Canzone, da vero gaberiano qual è. Ma la speranza è che voglia anche continuare a porgere all’ascolto la voce, attraverso le sue eleganti canzoni. 


Elisabetta Malantrucco

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