Premio Bianca d’Aponte 2021 XVII Edizione, Teatro Cimarosa, Aversa (Ce), 22 e 23 ottobre 2021

“Lo senti il rumore dell’universo?” cantava Giovanni Truppi al Teatro Cimarosa di Aversa venerdì 22, davanti ad una platea finalmente piena e attenta; una grande emozione in quel momento e quel rumore io l’ho sentito davvero, come ogni volta che mi trovo dentro a quel teatro; ho capito quest’anno che la cronaca professionale di quello che andavo a vedere e sentire non aveva realmente più senso; ho sentito la necessità, almeno per una volta, di parlare in prima persona, di tentare di spiegare quelle emozioni, quel miracolo minore che è sentire quel rumore in questi due giorni; ho anche chiesto il permesso al direttore del giornale - perché esistono delle regole editoriali che una rivista seria deve seguire e le eccezioni vanno autorizzate – di provare a raccontare in un altro modo. Nella concitazione dell’incontro, del ritrovarsi davvero (e del non rispettare le regole che Gaetano D’Aponte ha scritto nella lettera di accompagnamento che accoglie ognuno di noi, nome per nome, ospite per ospite, tutte le volte: le regole raccomandate di non abbracciarsi, di non baciarsi, di non toccarsi perché siamo ancora in pandemia... ma Gaetano caro, come possiamo non abbracciarci dopo questi due anni? Come possiamo non abbracciare te soprattutto, e Giovanna e Gennaro? 
Non si chieda l’impossibile!), della gioia semplice e diretta del rivedersi, il brusìo di sottofondo e anche le risate insensate sembravano all’inizio generare un poco di confusione nel cuore. Leggevo prima un articolo toccante ed emozionato del critico musicale Michele Monina che proprio di iniziale confusione interiore parlava. È la stessa che ho provato io: non ero più abituata. Ma poi è arrivato davvero, come ogni volta, quel suono universale... in quella canzone che si chiama “Amici nello spazio,” di Giovanni Truppi (con la sua maglietta fina, e la sua chitarra, lui è un genio e mi ha commosso fino alle lacrime, io che non mi commuovo mai), l’altro prosegue dicendo: “lo sai che noi non moriremo mai?” e Giovanni pensa di no, che non lo sa. E invece – ditemi pure che è retorica, ma io non la temo – ha ragione l’amico: noi non moriremo mai, non morirà mai Bianca D’Aponte, non morirà mai Fausto Mesolella, non moriranno mai tutti quelli che non vediamo ma sono lì, dietro ogni colonna, dietro ogni poltrona rossa, dietro ogni risata, ogni nota, ogni interpretazione incerta, ogni emozione. È la musica forse, è l’amore, è la gratitudine che è l’unico vero motore proprio dell’universo e che guarisce alfine ogni dolore. O forse, no, forse solo lo culla, come un bambino, per farlo stare calmo. Come sa bene anche Cristina Donà 
(è stata pazzesca: sembrava una Dea!), che – guarda caso – proprio grazie all’universo, alle sue stelle, riesce ad affrontare un grande dolore e al suo brano lega “Across the Univers” dei Beatles... coincidenze? Sincronicità? Nulla è davvero casuale nel mondo e nulla è causale. È proprio da questo che arriva il mistero. Il mistero di Bianca che passa del tempo con noi durante la due giorni e ascolta magari Chiara Civello che porta i capelli come li portava lei e ci aiuta a scoprire un altro suo brano straordinario, “Erbe ed erbacce”.  Ma quanto era brava Bianca D’Aponte? Che intelligenza e maturità di scrittura, che capacità di sintesi, di creare immagini e possibilità. Che talento straordinario! E che brava Chiara Civello non solo a darle voce, ma anche a presentarsi sul palco con eleganza, con classe e anche con l’umiltà che sanno avere solo i grandi: l’umiltà di chi non invade, di chi non prevarica gli spazi altrui, di chi sa stare al proprio posto perché il posto è proprio quello giusto e altro non dico. Complimenti a Chiara Civello quindi, ma bravo anche Mannarino, che per me che scrivo è stato una vera scoperta. 
Ma sì, certo che conosco la musica di Mannarino, però forse, proprio perché sono una vera “romana de Roma”, coi “romani de Roma” ho a volte difficoltà. Eppure non so, sarà stata l’occasione, sarà stato il momento, sarà stato che anche lui ha messo un po’ di capelli grigi, ma il suo set è stato delicato, familiare, perfettamente in sintonia con il tutto. Sono stati in sintonia anche gli Still Life, vincitori dell’ultimo Premio Parodi ma anche del Premio Bianca D’Aponte International; però in fondo era per loro paradossalmente più facile, perché la loro proposta musicale è già di per sé delicata ed elegante e si confà al rumore dell’universo. Un altro momento di particolare sintonia con l’universo è stato quello che ha aperto la seconda serata del sabato, quando Giuseppe Anastasi ha interpretato, accompagnato dal direttore artistico del premio Ferruccio Spinetti e la Resident Band, un brano di Fausto Mesolella tratto da quel disco strepitoso, scritto a quattro mani con Stefano Benni, dal titolo “Canto Stefano”: un momento di pura emozione, seguito dall’energia infinita della vincitrice del Premio Bianca D’Aponte 2020, assegnato a luglio di quest’anno e che abbiamo con Blogfoolk già raccontato.  Lei è Monica Sannino, una forza della natura, una voce potente che mi ha fatto pensare al ruggito caldo e animale della
 Loredana Bertè dei vecchi tempi. Quanta forza, quanta giovinezza, quanta voglia di vivere ogni momento! Avrei ovviamente da dire tante cose anche su Tony Canto, su Kaballà, sul bravissimo Tricarico con Jennà Romano, su Carlo Marrale e le sue “Vacanze romane”, oppure sui presentatori Carlotta Scarlatto e Ottavio Nieddu, ormai inossidabili. Ma è necessario arrivare alla gara delle dieci finaliste. Che poi, diciamolo, anche chiamarla gara un po’ stona. Però di questo infine si tratta. E se il premio della critica se l’è aggiudicato la proposta della raffinatissima Miriana Faieta, il premio Bianca D’Aponte è stato invece vinto dalla toscana Isotta. Poi una valanga di menzioni, borse di studio, proposte di collaborazioni, produzioni di brani e promesse. Il premio ha questa missione, questo scopo: dare una possibilità in più a chi ne cerca, farsi ascoltare, farsi anche aiutare, vincere e permettersi il lusso della sconfitta. Ci pensavo proprio mentre Peppino Di Capri, a cui è stato assegnato il Premio alla carriera, cantava fiero dei suoi 82 anni “Champagne”, aggiudicandosi la meritata standing ovation: ci deve essere stato qualcuno che ha dato una possibilità anche a lui, ormai qualche decennio fa.  Piccola nota dolente: non voglio chiudere questo
scritto polemicamente, però voglio sperare che l’anno prossimo non accada di nuovo un accavallamento di date con altri eventi musicali in giro per l’Italia; un accavallamento che era sempre stato precedentemente evitato. Le date del Premio D’Aponte erano note da gennaio: chi è arrivato dopo poteva fare di meglio, come un tempo. E attenzione: non se ne facciano di classifiche di “importanza”, perché ormai il Premio D’Aponte ha raggiunto una attenzione e una notorietà eccezionali e gli addetti ai lavori fanno a gara per parteciparvi: ogni anno siamo davvero sempre di più e non sapendo più con quale volto noto fare un selfie almeno io ho preferito rinunciare. E no: questo accavallamento con un Premio noto che preferisco non nominare almeno qui, ha creato disagio soprattutto agli addetti ai lavori che hanno dovuto dividersi e scegliere; questo non può aver fatto che danneggiare gli artisti che si sono esibiti in entrambe le manifestazioni. So per certo che Gaetano D’Aponte non se ne è fatto un problema. Ma io sì e non solo io. E lo voglio ribadire, andando così a disturbare la bellezza del rumore dell’universo. A cui ritorno però immediatamente e “Come Dorothy nel mago di Oz troverò la mia strada dorata ad attendermi” per dirla con Bianca. E a Michele Monina vorrei invece dire che quella confusione forse era solo polvere di stelle. 


Elisabetta Malantrucco

Foto 1-2-3 di Giorgio Bulgarelli

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