Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale Italiana, Loano (Sv), da 27 al 30 luglio 2021

La musica non si è mai fermata né si è mai allontanata da Loano nel corso di questi tempi difficili. Nel 2020, se da un lato i suoni dal vivo del Festival di Musica Tradizionale Italiana non hanno riempito la cittadina rivierasca del savonese, dall’altro il Premio Loano ha continuato a scandagliare, a documentare, a raccogliere i responsi dell’autorevole giuria composta da oltre sessanta giornalisti e studiosi, il che rende il Premio l’unico Folk & Trad Award d’Italia. È un dato di fatto, dio cui i ruoli istituzionali nelle arti e nella cultura a livello nazionale dovrebbero tenere conto, perché stiamo parlando di un’eccellenza di produzione culturale. Così l’edizione numero diciassette ha inglobato anche la numero sedici (quella riguardante le produzioni discografiche targate 2019) per animare la bella Piazza Italia con le musiche di una manifestazione il cui filo rosso di quest’anno è stato lo “Sguardo a Sud”, in omaggio alla Liguria, terra da sempre culturalmente protesa verso meridione e oriente Mediterraneo. A tenere la barra del timone, naturalmente, la Compagnia dei Curiosi, l’Amministrazione cittadina e la Fondazione De Mari, rispettivamente con funzione organizzativa la prima e finanziaria le altre, sotto la direzione artistica del musicologo Jacopo Tomatis. 
Storie e suoni che s’intrecciano nel festival loanese, parlando di tradizioni e suonando musiche ispirate alle tradizioni orali, sempre intese nel segno del divenire, mai della fissità e della reificazione. È stata un’emozione ritrovarsi dopo due anni nel pomeriggio di martedì 27 (al ridotto del Giardino del Principe, che ha ospitato gli incontri preserali) per la tavola di fiati popolari imbandita da Edmondo Romano, polistrumentista genovese dall’ampia visione musicale, compositore di suoni creati per la scena, per i dialoghi e per le immagini, oltre che a essere protagonista con band di ambito world e trad. Un Virgilio dei fiati, che ci ha condotto in giro per almeno quattro continenti, soffiando in ance e flauti con dovizia e suggestione. I concerti della sera hanno portato sul palco di Piazza Italia i Fratelli Mancuso, Premio Migliore Album 2020 per “Manzamà” (Squilibri). Un’opera da grande slam che, dopo la proclamazione di Loano si è aggiudicata anche la Targa Tenco per i dischi in dialetto, e che è stata proclamata – ben prima, a gennaio! – anche il disco dell’anno 2020 dalla redazione di “Blogfoolk”. Quello dei Mancuso è canto che nasce dalla memoria ma che desidera incontrare il mondo Le emozioni si manifestano subito di fronte all’abbraccio fraterno nel canto a cappella “Ti preu Maria”, trionfo di armonici che apre il set. 
S’incontrano la Sicilia e la Spagna (“Ti nni va puisia”), c’è il lirismo di “Uocchi di vetro”. Corde vibranti, voci delicate ma gonfie di fremito poetico in “Manzamà”, cui segue “Deus Meu”, sorta di lamentazione con le voci lacerate e sublimi appoggiate all’harmonium indiano e al sipsy turco. Un canto d’amore elogia la bellezza (“Nesci Maria”), mentre il recitato del “Credo”, dolente e urlato, sfocia nel fraseggio penetrante del violino sostenuto da un austero bordone di harmonium. I versi umili di “Sacciu chi parli alla luna” portano a compimento l’incanto della fratellanza. A seguire, è on stage Setak (Premio Loano Giovani 2019 per “Blusanza”), cantautore abruzzese (voce e chitarra) accompagnato dal suo fratello Nazareno Pomponi (tastiere e voce), Luca Guidi (chitarra) e Fabrizio Cesare (basso e voce). Il giovane artista ha dato vita a un set deliziosamente compatto, intimo ma coinvolgente, in cui la musicalità del dialetto di Penne (nell’entroterra pescarese) trova nuova espressione nelle note blues e nelle forme del rock e del soul. Nel frattempo la musica non è rimasta nel cassetto, così “lu fij dilu setacciar” (da cui il nome d’arte Setak) ha suonato anche brani dal suo nuovo disco “Alestalé” (finalista alle Targhe Tenco 2021). Scorrono il suo manifesto “Blusanza”, c’è il ricordo delle passeggiate in montagna con il padre (“Mane a’tj”) e quello del nonno (“Marije”), ci sono i sapori semplici di un tempo (“Pane e ‘ccicorje”). 

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