“Kërkim nasce intorno la fine del 2012. Rientravo da anni di militanza partenopea presso La Mescla, un collettivo di musicisti napoletani con cui avevo girato parte dell’Europa dell’est e negli stessi anni, con altre collaborazioni, diverse regioni del Nord Europa. Ho portato con me storie e suggestioni di tutti quei luoghi e ho scelto di condividere questo desiderio di ricerca insieme a Vincenzo Grasso, con cui avevo già collaborato. L’intento era, ed è tutt’ora, legare insieme con un filo pentagrammato i diversi territori che si affacciano sul Mediterraneo e che sono a noi geograficamente prossimi. Partire carichi di orecchie e strumenti, ascoltare le varie tradizioni che si incrociano e dar vita ad uno ‘scambio inclusivo e multiculturale’ di frequenze che raccontano storie di popoli”, così si racconta Manuela Salinaro (batteria etnica, daf, drabouka, djembe e qraqeb), che con Vincenzo Grasso (clarinetti e sax soprano), Maurizio Pellizzari (voce, saz e mandolino), Bruno Galeone (fisarmonica) e Francesco Pellizzari (batteria) ha dato vita ai Kërkim, parola albanese che significa “osservare” o “ricercare”.
Un’attitudine ai dialoghi sonori già espressa nel manufatto eponimo d’esordio (Digressione Music, 2015) e maturato in questa seconda produzione, intitolata “La Giostra”, in cui il quintetto di casa in Salento si affida all’immagine dell’attrazione che anima le feste comunitarie, passando di paese in paese, incrociando lingue e volti sempre differenti, a simboleggiare le culture migranti. Nelle parole di Manuela: “Nell’immaginario la giostra rappresenta il riscatto, il sogno, la pace, un momento di condivisione di gioia e divertimento. A livello figurativo, è un movimento circolare carico di suoni e colori, di occhi sorridenti e corpi in movimento, che sottende al tempo stesso una tensione emotiva un po’ nostalgica di un ritorno alla quotidianità con la fine dei giochi”. Ed è proprio la title track – sorta di filo conduttore dell’intero disco – dà principio al programma: la voce narrante fissa la scena a tempo di valzer (che chiude anche il brano), l’ingresso della sezione fiati
(Giovanni Chirico al sax baritono, Andrea Perrone alla tromba, Giovanni Spedicato al basso tuba) scuote il tema, portandolo a ritmo “zoppo” verso i Balcani, ma non basta, perché sax e basso tuba innestano impreviste digressioni jazz. “Come racconta il testo recitato, è il momento dell’incontro di due culture, quella italiana, lo fa attraverso il valzer, quella balcanica attraverso l’incalzante sette ottavi che accompagna la seconda parte del brano. Una dimensione felliniana circonda l’ascoltare con suoni orchestrali e festosi che sottendono la storia del giostraio, tra il dolore per l’abbandono della propria terra ma allo stesso tempo il desiderio di condivisione. Nel momento in cui sceglie di far partire la sua giostrina con una musica che gli ricorda il suo paese, il giostraio crea una magica fusione tra la gente che è attratta dalle lucine della giostra e da una musica ‘mai ascoltata’. Ne nasce una danza festosa, un gioioso momento di condivisione, privo di bandiere o colori”. Già entrato nel primo brano, il violino di Gianpaolo Saracino è protagonista nella sevdah bosniaca “Zapievala”, contrappuntando il canto di Irene Lungo, tra i tanti collaboratori del quintetto che assume spesso la fisionomia di un’orchestrona. Difatti, la bussola sonora punta ancora verso le terre al di là dell’Adriatico con la fanfara baldanzosa e danzante che alimenta “Tutti frutti”, motivo proveniente dalle scene di “Latcho Drom” di Tony Gatlif, un film culto per gli amanti dei suoni romanì come i Kërkim. “Lavoriamo sui brani di cui ci innamoriamo e che scegliamo con rispetto per la tradizione mista ai nostri arrangiamenti.