Kërkim – La Giostra (Liburia Records, 2020)

Accanto c’è una strada che percorre gli inediti a cui dedichiamo sempre maggiore attenzione. Piace pensare a Kërkim come un progetto che si evolve nel tempo senza perdere le radici. Abbiamo ricercato un flusso sonoro comune, raccontando singolarmente ognuno di noi la propria provenienza musicale. Il caposaldo è sempre stato condividere le singole storie e gli stili musicali e riporli come scalette di idee in sala. Di base si ascolta ciò che viene fuori dagli incontri con i musicisti dei vari posti in cui ci troviamo a suonare. Dall’ascolto nasce uno scambio, una sorta di interplay spontaneo. Se l’atmosfera che viene fuori risulta coinvolgente per tutti, allora lo riprendiamo in sala e lo facciamo girare, da lì si smonta e si rimonta varie volte. Invece per alcuni brani si parte dai testi, da storie che desideriamo volere raccontare”. Quali storie narrate prendono emotivamente i Kërkim? “Amore, lotte del popolo, resilienza, viaggio. Un leitmotiv delle tradizioni musicali che provengono dal Mediterraneo ad esempio, è la forte contrapposizione tra ritmi festosi e testi drammatici che parlano di abbandoni. Crediamo sia una risorsa preziosissima da condividere, quando si sceglie di raccontare attraverso la musica di popoli che hanno affrontato guerre, dolori, subìto dittature e disgregazioni”. Si prosegue con il baricentro che si sposta sulla sponda sud-occidentale del nostro mare con le percussioni, le calde note dell’oud (Antonio Alemanno) e la voce araba di Jamila Harbi, che conducono “Tu che parti”, singolo con video che omaggia “Ya Rayah,“ il celebre chaabi dell’algerino Dahmane El Harrachi. “Sentiamo molto vicine a noi le melodie algerine, coinvolgenti, semplici e allo stesso tempo cariche di bellezza ed eleganza. 
Il testo, in particolare, in qualche modo racconta una storia di disillusione del viaggio, della migrazione in sé, della vergogna di non poter rientrare nelle propria terra di provenienza senza una storia di successo. E lo fa attraverso un ritornello intenso, dal carattere rabbioso, ripetitivo e incentrato sul doversi pentire di essere partito, riferendosi al migrante. Il viaggio racconta molte storie: gli incontri, l’ascolto, lo scambio creano aperture. Attraverso i nostri viaggi e le musiche sentiamo il dovere di accendere delle luci su terre al di là dei nostri confini. Abbiamo pensato di raccontarla scegliendo di affiancare una narrazione visiva, grazie alla regia curata da Gabriella Cosmo, che mettesse al centro il viaggiatore, nella dimensione del viaggio in sé, immerso tra smarrimento e meraviglia, e accanto ad esso l’avvolgente voce algerina di Jamila che irrompe come un monito al non partire, con un canto deciso ma allo stesso tempo impreziosito dalla delicatezza femminile”
. Un gruppo plurilingue deve fare molta attenzione alla credibilità interpretativa nei diversi idiomi. “Senza dubbio. Morris Pellizzari, in particolare per il brano “Tu che Parti”, ha studiato per mesi la pronuncia e il particolare dialetto in cui è scritto il testo. In generale, c’è un lavoro di lettura dei testi insieme con le rispettive madrelingue. Si entra nel vivo delle lingue per rispetto e conservazione delle loro autenticità, così come si fa per le parti strumentali. Mantenere intatti i colori dei luoghi che raccontiamo è per noi dovere culturale; fonderle con i nostri colori misti con una sorta di contemporaneità strumentale, è la strada principale di Kërkim”. Come quando arriva “Tre Tzigani” (il testo originale proviene dalla canzone “Trec Tzigani”) che porta la band dalle parti del Carpazi, mentre rappresenta un ritorno – per così dire – a casa la ripresa dello standard
arbëreshë “Lulle Lu”, in cui il tratto malinconico della canzone, interpretata da Pellizzari e Lungo, è contrappuntato dall’andamento accelerato e festoso nella parte strumentale della sezione centrale e nel crescendo finale del brano, che è entrato nella colonna sonora di “Neverland”, docufilm del regista albanese Erald Dika. Sono proprio gli arrangiamenti un punto di forza della band salentina, ma come procede la fase di rielaborazione? “Arrivati in sala, ognuno di noi porta delle idee sul brano scelto. Principalmente Vincenzo e Bruno, i nostri autori e arrangiatori, si occupano di mettere in ordine diciamo il tutto. Si parte dall’originale, lasciando quasi intatta l’ossatura melodica e si procede con l’inserimento di parti strumentali, che in qualche modo traghettano i brani in una dimensione di contemporaneità. Gli si disegna intorno un lavoro originale Kërkim che si intreccia con il tradizionale e dialoga con esso attraverso armonie e ritmiche provenienti dai nostri singoli percorsi musicali di provenienza”. Poi ci sono i numerosi collaboratori che intervengono ad arricchire la cifra sonora: “Sono calibrati con l’idea di rendere le partiture più dense dal punto di vista orchestrale, provando a non sbilanciare di molto l’assetto globale del sound. Ne arricchiscono il valore conducendo l’ascoltatore in una dimensione festosa o contemplativa a seconda del tipo di brano. Dal vivo poi, non è escluso che ci siano delle sorprese con delle ospitate qui e lì. Il live alterna momenti di ascolto a momenti di pura giostra gremita di colori e suoni per il pubblico che in qualche modo può perdere i confini e ritrovarsi in un ‘non luogo’ abbandonandosi totalmente alla musica”. Come avviene in “Ballata a ritmo incerto”, un'altra nuova composizione (Vincenzo Grasso) che fa centro per il suo procedere ritmico ondivago, a ben simboleggiare il “ricercare”, il viaggio senza barriere: “Ballata a ritmo incerto”, dall’acronimo B.A.R.I., 

è il luogo di partenza direzione Balcani. Alterna due momenti ritmici, uno dolce, festoso, quadrato, italiano, uno grintoso, irregolare, claudicante, caratteristico delle terre poste ad Est. Il messaggio può intendersi: quando tutto appare sulla retta via, improvvisamente può irrompere una stortura. senza arrendersi, la festa ricomincia”. Chiaro, no? Il finale è ancora all’insegna del pathos che segna la carezza portata dalla canzone macedone “More Socol Pie”, ma andando fino in fondo alla traccia (verso i 4:45), c’è un’impennata festosa e danzante che serve a guardare con rinnovata positività al futuro. Bravi per davvero Kërkim: realizzano un disco che fa presa dall’inizio alla fine (peccato che siano solo 37 minuti); produce sincerità, frutto di ricerca e vivaci idee musicali: chiamatela pure world music, ma – sia chiaro – nella sua accezione migliore. 


Ciro De Rosa

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