Anna Cinzia Villani – Ulìa. La pizzica pizzica incontra la capoeira (Core de Villani, 2020)

 Come si è sviluppato questo progetto?

Attraverso le esigenze e contingenze del momento, e anche con delle pause per quanto riguarda il lavoro discografico. Per quanto riguarda i live invece il nucleo musicale è composto da me più tre musicisti con i quali si eseguono i brani salentini, naturalmente lasciando intatti alcuni di essi, ed elaborando quelli che più si prestano secondo noi ad una nostra reinterpretazione. Quando la sede ospitante si può permettere gli spazi e anche i costi per una formazione più grande offriamo anche la variante che comprende il dialogo con la capoeira, e la presenza di Mestre Canhão e di Davide Monaco .

Come collochi questo album nell’arco della tua ricerca musicale e produzione discografica?
Credo che questo album abbia definitivamente sancito la mia radicalità rispetto alle questioni di contaminazioni musicali, che io chiamerei per lo più sinergie, e quindi la mia convinzione che il senso di appartenenza ad una radice, o matrice sia sacrosanto. La radice o matrice non è solo quella salentina, ma è quella che mi lega alla Terra. Tutte le musiche etiche nascono dalla Terra e si riferiscono alla Terra, ai suoi cicli. In questo senso la musica, il canto e la danza sono unione, preghiera, sacralità. Non è un caso che nella capoeira io abbia potuto riconoscere subito qualcosa di molto vicino alla musica salentina. Si parla di popolazioni povere, spesso sfruttate, ma fiere, he hanno prodotto dei codici che vanno avanti da secoli. E questo perché appartengono a qualcosa che continua a esistere incessantemente, la Terra, alla quale siamo collegati.

Vuoi introdurci anche gli altri musicisti ed il loro contribuito ai brani?
Come già anticipato il contributo più tecnico oltre che musicale è stato quello di Alessandro Lorusso (chitarra classica, berimbau, cavaquinho, tam tam, agogô, caxixi, bongo, cori), poi abbiamo Massimiliano Però all’organetto diatonico, voce in “Sta strada” e cori in vari altri brani, e Francesco De Donatis col suo tamburreddhu, e con bendir, daf, oltre che affidatario di cori in varie tracce. Mestre Canhão oltre ch
e cantare in due brani ha suonato berimbau, pandeiro, atabaque, e aggiungerei che il suo contributo è la sapienza, la pazienza, e l’apertura del cuore. L’augurio è di poter proporre questi brani dal vivo con questa formazione, spero al completo, nelle situazioni in cui la musica e l’arte vengano messe nel giusto contesto che possa valorizzare gli artisti e dare la possibilità al pubblico di ascolto, e partecipazione attiva.  

Dal punto di vista degli arrangiamenti come si è indirizzato il vostro lavoro?
Per alcuni brani avevo già in mente una figura ritmica, e l’ho proposta ai musicisti. Poi piano piano l’abbiamo elaborata insieme dal punto di vista, degli incastri, e poi tra di loro Alessandro e Massimiliano si scambiavano delle idee di armonizzazione. Qualche volta mi accorgevo che un brano poteva essere maggiormente sviluppato perché non dava ancora il massimo dell’emozione, e quindi ho chiesto ai musicisti di cercare, cercare, cercare, improvvisando anche per più di mezzora, fino a quando non veniva fuori qualcosa che mi ‘parlava’. Registravamo tutto per riascoltare e studiare. 

Come hai scelto i brani tradizionali da rileggere nel disco?
Parto sempre dalle registrazioni originali sul campo che sono a nostra disposizione grazie alle ricerche di Alan Lomax, De Martino e Carpitella, e da quelle che io stessa ho fatto. Alcuni brani li ho scelti perché mi piaceva la melodia, oppure perché sentivo che il ritmo del canto si poteva sviluppare col nostro intervento. Altri ancora per queste ragioni ma anche per la tematica. Ci sono delle cose che non sono mai cambiate, nonostante il mondo si evolva, e che vanno comunicate e cantate con forza ancora oggi.

La title-track ti vede protagonista anche nelle vesti di autrice con un brano dal testo particolarmente attuale nel quale tu esprimi il desiderio di lavorare in una lavanderia piuttosto che fare la vita da artista con tutti i problemi connessi. Ci puoi raccontare come è nato questo brano?
“Ulìa”, appunto racconta chi siamo noi artisti quando ci troviamo lontano dal palco e dalle luci, quando ci scontriamo con le esigenze della vita quotidiana che spesso per noi non vengono considerate, e quindi
dobbiamo aspettare pagamenti che avvengono dopo anni. Oppure degli amici o conoscenti che spesso dicono “beata/o te che vai sempre in giro a suonare e puoi vedere il mondo” ignorando il fatto che quando suoni fuori prendi un mezzo per arrivare in un certo luogo, spesso non hai dormito abbastanza, fai il sound-check, suoni, ceni, vai letto molto tardi e la mattina seguente ti alzi, spesso molto presto, e riparti. Il che fa delle nostre trasferte per suonare, soprattutto quando si suona una volta e poi si rientra, non certo delle vacanze. Devi poi anche confrontarti con committenti non sempre capaci di accogliere le tue esigenze, insomma, varie di queste cose che fanno del nostro lavoro un vero lavoro come tutti gli altri lavori. “Ulìa” è stata scritta di getto in aeroporto Fiumicino, tanto per dirne una, mentre mi recavo in Canada, e combattevo con una brutta disavventura causata da Alitalia. E’ sempre attuale perché non siamo considerate persone che lavorano e fanno dei sacrifici come studiare, autotassarsi, investire, produrre. L’arrivo di questa pandemia ha solo scoperchiato dei problemi che erano già esistenti: la cultura e le arti sono spesso ritenute poco importanti per la formazione e la vita delle persone, e gli artisti non sono riconosciuti come categoria di gente che lavora e ha dei diritti. E aggiungo, non è un caso che solo alcune manifestazioni nella scorsa estate abbiano avuto luogo. E che ancor oggi possiamo fruire di eventi che si svolgono online. Si tratta di quelle persone, di quegli operatori che credono nelle arti, e che fanno di tutto per adeguarsi alle misure vigenti, pur di continuare a offrire concerti e spettacoli in cui si privilegia il lavoro di musicisti e attori. Non sono certo quelle realtà che nella maggior parte dei casi si basano su un’offerta musicale che non comporta studio, investimento di tempo e denaro, dedizione. Chi fa dell’arte il suo lavoro, spesso non fa anche un altro lavoro perché non ne avrebbe il tempo.   

Più lirico è invece il canto alla luna "Luna mia bella luna" nel quale ci sembra di vedere la luna immensa che si vede in certe notti d'estate sulle coste del Salento...
Si, una filastrocca che si recitava per avere responsi dalla luna piena e che mi è stata trasmessa da una vecchietta, la zia di una mia amica di infanzia che frequentavo in estate. Ci ritrovavamo nel suo cortile a ricamare con questa zia e sua sorella. Mi ha sempre affascinato che secondo la cultura popolare in natura si possano trovare delle risposte. 
Io l’ho resa melodia su una composizione di Alessandro Lorusso, e ho rimaneggiato il testo adattandolo al mio sentire e vivere. Devo dire che è la traccia che sta piacendo di più. Sono molto contenta.  

Sotto il profilo della vocalità come è cambiato negli anni il tuo approccio alla tradizione salentina?
Ognuno per iniziare deve necessariamente ispirarsi a dei Maestri. E io ho avuto l’intuizione che dovevo subito approcciarmi a coloro che potevano essere i miei Maestri e che erano ancora viventi, a partire da membri della mia famiglia che mi hanno trasmesso tanto. Poi, una volta apprese le tecniche vocali, i modi e le scale, devi essere tu arricchito da quelle conoscenze. Tu con tutto quel bagaglio dentro, ma tu. I Maestri della tradizione procedevano in questo modo: si rifacevano a coloro che erano più esperti, e ogni giorno apprendevano per imitazione da loro, poi in molti casi personalizzavano naturalmente in base ad un criterio di appartenenza a un codice. I codici sono spesso ben precisi, ma lasciano spazio anche alla personalità di ogni cantore o cantatrice. Io credo di avere raggiunto una buona maturità in questo, nell’essere legata ad una tradizione e nell’essere anche me stessa. “Ulìa”, per esempio piace molto al pubblico perché parla di un problema attuale in modo molto ironico, ma sembra al contempo tradizionale pur non essendolo. 

Avete definito questa produzione discografica un “disco esperienziale”. E' un riferimento anche alla sua particolare distribuzione abbinata alle presine e venduto online in un cofanetto?
Si! Esperienziale dal tatto all’orecchio, al movimento di pensieri, del corpo e delle idee. Passando dalla lentezza per costruire tutto e offrire qualcosa di unico, soprattutto l’idea di un oggetto antico e sempre presente nelle nostre case, le presine da cucina appunto, che si rinnova e diventa multifunzionale. E soprattutto non usa la plastica e non inquina. Non so se è un caso ma quando pensavo di fare questo disco non mi immaginavo una copertina. Eppure, ci sono stati degli artisti che addirittura si sono proposti di fare un disegno apposta. Invece a un certo punto mentre per l’ennesima volta ritrovavo cotoni per lavori artigianali, mi dicevo che volevo ricominciare, che volevo ritrovare quella lentezza, quel tempo e quella pazienza che da tempo non vivevo più.  Ma volevo anche trovare il modo di fare qualcosa che si legava al mio lavoro musicale. E poi mi è arrivata questa idea. Tutte le informazioni su questa operazione sono a disposizione nel sito lesorpresinesalentine.com e il disco non è presente online, ma è un bonus per chi acquista i coordinati ispirati al Salento ideati e fatti da me. Inoltre, l’acquisto dei prodotti contribuisce anche a donare un piccolo contributo alla Rete dei Centri antiviolenza sulle donne SanFra, che ha sede a Ugento e di cui conosco diverse operatrici. 


Alessio Surian e Salvatore Esposito

Anna Cinzia Villani – Ulìa. La pizzica pizzica incontra la capoeira (Core de Villani, 2020)
Ogni mese Ian Anderson ci regala Podwireless, la playlist che offre una trentina di brani scelti fra i migliori distribuiti di recente in tutto il mondo. Nel Podwireless di marzo, da “Ulìa”, è in bella vista “E scusati signori”: a farci entrare nella canzone è il ritmo di un cucchiaio di legno che solletica un asse scanalata per strofinare i panni prima di sciacquarli: uno stricaturu o llavaturu che ci porta dritti in Salento, ma anche in qualsiasi altra parte d’Italia prima dell’avvento della lavatrice elettrica. Per una volta, un prodotto discografico connette il presente con la memoria viva di una regione non solo attraverso i suoni, ma anche con la materialità: quella del ricamo che rende omaggio alle “vecchiette vicine di casa”. Quest’arte apparentemente sedentaria, nel caso di Anna Cinzia Villani nasce dalla sua irrequietezza. Da bambina giocava “per strada tutto il giorno! Troppo bello, ma troppo pensiero davo ai miei che mi dovevano cercare continuamente. E allora la mia mamma, che era stata ricamatrice, trovò che l'unico modo per farmi stare in casa fosse quello di insegnarmi dei punti di ricamo e cucito. E così questo diventò per me una vera passione, tanto che, in seguito, alternavo il gioco ai momenti di approfondimento di questi lavori artigianali: mi aggiravo per le strade del paese con sacchetto e sedia pieghevole, e mi avvicinavo alle vecchiette vicine di casa della nonna materna. Nel sacchetto c'erano lane, cotoni, ferri, uncinetto, forbici e aghi. E chiedevo: come si fa la maglia elastica? I buchi? Le trecce, u scavaju, a scollatura, maglia alta, maglia bassa... Quelle donne mi sono rimaste nel cuore, ed è per questo che dedico un pensiero alle donne: una parte del ricavato de Le Sorpresine salentine andrà alla Rete dei centri antiviolenza SanFra”. In oltre vent’anni di incisioni e collaborazioni discografiche, “Ulìa” è il terzo disco solista (a otto anni dal “Fimmana mare e focu”): dodici tracce condivise con quattro musicisti. Salta all’orecchio l’inedito dialogo fra pizzica pizzica e capoeira propiziato dalla partecipazione di Mestre Canhão, sia alle percussioni (berimbau, pandeiro, atabaque), sia alla voce nei brani “Pizzicapoeira” e “Noite escura”. 
E’ proprio il suo berimbau ad aprire “Ulìa”, stendendo un tappeto ritmico e timbrico che accoglie la voce di Anna Cinzia Villani con un senso di reciprocità che sembra rimontare alla notte dei tempi, che coglie la nascita del canto nel parlato che in “Marituma è pecuraro” esprime in modo amaro e indocile lo sguardo femminile della moglie del fattore. Il ventaglio di questa reciprocità si dispiega ulteriormente in “Pizzicapoeira”, nuovamente ancorata al berimbau che, questa volta, tiene in dinamico equilibrio sia la voce di Mestre Canhão, sia quella di Anna Cinzia Villani che chiama, a sua volta, il tamburello e la scansione ritmica della pizzica pizzica. Inizialmente il brano ci porta in una roda di capoeira che, senza fretta, evoca la forza di Sansone e le preghiere a San Matteo; poi, mano a mano che il ritmo si fa più serrato la capoeira si fonde nella pizzica pizzica e la voce di Anna Cinzia Villani da coro diviene solista, così come la lingua portoghese lascia spazio al salentino e alle invocazioni a San Paolo. Con il termine “ulìa” è possibile indicare sia l’oliva, sia “vorrei”: questi canti ci restituiscono sia il sapore delle terre e dei frutti salentini, sia il desiderio e l’arte del coltivare dialoghi con altre tradizioni sincretiche legate alla danza e ai riti collettivi della cura. Un piccolo miracolo che si ripete con “Noite escura” e vede protagoniste le corde in una ballata nuovamente aperta da versi in portoghese seguiti da strofe in salentino: il lamento per l’assenza del maestro che guida la roda di capoeira si sposa con quello per la malattia di “’Ntunucciu”. Si tratta di un registro narrativo e malinconico che il gruppo sa interpretare sapienza pari all’energia che sprigiona nelle pizziche pizziche e che fa apprezzare la versatilità della voce di Anna Cinzia Villani anche nel brano che affronta l’argomento più triste, la privazione della libertà, “Carciru”. Con “Teresina”, il terzo brano”, la trama musicale si fa davvero corale e chiama in causa gli altri compagni di viaggio, le corde, i cori, l’organetto di Massimiliano Però che regala una suadente linea melodica ad addolcire le pizzicate di cui è punteggiata “Teresina” e, più tardi, offre la voce principale al canto polifonico di “Sta strada”. Ricorda Anna Cinzia Villani: “Le signore mi insegnavano molto volentieri tutto, ma, a volte, notavo che la mia presenza impediva loro di fare pettegolezzi. I ragazzini quello che sentono lo ripetono in giro. Però io ero troppo determinata a imparare”.


Alessio Surian

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