Considerato uno dei maestri della chitarra acustica flat-picking (e non solo) a livello internazionale, Beppe Gambetta è un artista profondamente innamorato della musica e della bellezza. Basta scambiare con lui poche parole per comprenderlo. Si resta incantati dalla passione con cui, a cuore aperto, racconta della sua musica, dei suoi padri musicali o dei tanti aneddoti che caratterizzano il suo cammino artistico. Un viaggio lunghissimo, cominciato ormai diversi anni fa, quando volò negli Stati Uniti per mettersi sulle tracce della roots music americana, e proseguito ininterrottamente dividendosi tra tour, concerti, dischi, attività didattica e numerose collaborazioni di prestigio da Doc Watson a Tony Trischka passando per Gene Parsons e Norman Blake per arrivare a David Grisman, oltre ovviamente Dan Crary, Tony McManus e Don Ross suoi bandmate nel superquartetto Men of Steel. Di casa nei più importanti festival internazionali come Walnut Valley Festival di Winfield in Kansas, Merlefest di Wilkesboro in North Carolina, Chico in California ed ancora i festival canadesi di Edmonton e Winnipeg, Gambetta ha parallelamente dato vita alla fortunata esperienza di Acoustic Night, documentata dal disco dal vivo celebrativo del decennale “Live At The Teatro Della Corte – The First 10 Years” e considerata un momento incontro preziosissimo per tutti gli amanti della chitarra acustica, un occasione rara di ascoltare non solo i talenti della chitarra acustica italiana ma anche quelli europei ed americani. Dal punto di vista discografico, negli ultimi anni, Beppe Gambetta ci ha regalato lavori pregevoli come “Round Trip” con Tony McManus del 2015 o, il più recente “Short Stories” del 2018 che metteva ancora più in luce l’unicità del suo stile chitarristico in grado di coniugare le sonorità americane con quelle del Mediterraneo, ma una rivoluzione copernicana nella sua carriera era pronta a sorprenderci.
Il nuovo album “Where The Wind Blows”, infatti, lo vede per la prima volta nelle vesti di autore di canzoni. Un approdo naturale che arriva in età matura ma nato da una stratificazione progressiva di anni di intense ricerche sulla tradizione musicale americana come su quella italiana, di intersezioni con la canzone d’autore e di una consapevolezza profonda nel proiettare le radici verso il futuro. Nel corso di una recente FoolkNight, abbiamo intervistato il chitarrista genovese per farci raccontare la genesi di questo nuovo lavoro ed approfondire con lui questa nuova fase della sua carriera. (S.E.)
Salvatore Esposito - Partiamo da lontano. Come nasce "Where The Wind Blows/Dove tia o vento", pubblicato nel pieno del lockdown?
Beppe Gambetta - Il disco nasceva per questa famosa regola dei tre anni che vige nella musica indipendente. In genere se non esce un disco all'interno dei tre anni da quello precedente, si parla meno dell'artista e c'è meno attenzione per il suo lavoro, e diventa difficile anche essere on the road. Lentamente stava scadendo questo termine e avevamo pensato di far uscire il disco nel ventennale della Acoustic Night, questo spettacolo che organizziamo a Genova da vent'anni e che è motivo di orgoglio perché è completamente autogestito e vive senza nessuna sponsorizzazione ma solo al mio lavoro e a quello di mia moglie Federica. L'idea era quella di far uscire un lavoro speciale per celebrare l'Acoustic Night e quando lentamente siamo andati verso il lockdown abbiamo pensato di provare a dare un segnale che la musica e l'arte devono andare sempre avanti. Così abbiamo accelerato i tempi e abbiamo deciso di farlo uscire in piena pandemia nel momento in cui stavamo ritornando con un volo della Farnesina. Siamo felici di averlo fatto perché tanti artisti in altri modi hanno deciso di resistere e questo è stato il nostro contributo.
Salvatore Esposito - Il disco è stato inciso in larga parte con Rusty Holloway al basso e Joe Bonadio alle percussioni. Ci puoi raccontare il processo creativo alla base di questi nuovi brani?
Beppe Gambetta - Ho deciso di mettermi alla prova. In tutta la mia carriera sono stato un cacciatore di canzoni e di melodie, quindi un interprete di brani popolari o di artisti varia provenienza. Mi sono sempre divertito a scovare canzoni dimenticate e a dargli una veste acustica e un nuovo arrangiamento. Per la prima volta in questo disco ho deciso di scrivere canzoni mie, cosa non semplice a sessantacinque anni perché vuol dire mettersi nuovamente in gioco. Insieme a mia moglie abbiamo deciso di produrre questo album di canzoni di mia composizione. Tutte le volte che faccio un album, mi piace avere qualche mentore perché è molto bello ascoltare musica di altri e trovare qualche esempio che poeticamente ti tocca. Tra i vari dischi che mi piacevano molto c'era l'ultimo album di Richard Shindell, un artista speciale, un personaggio particolare. Si è allontanato dagli Stati Uniti per andare a vivere a Buenos Aires. Mi piacevano moltissimo i suoi suoni e poiché bisogna essere sempre curiosi sono riuscito a trovare, tramite il suo produttore, il suo percussionista che è un italo-americano che si chiama Joe Bonadio. E' sempre bello girare pagina in ogni nuovo progetto, trovare un artista nuovo con cui collaborare. Ho scoperto che ha lavorato con Sting e tantissimi altri artisti. E' arrivato con un pullman di percussioni. Cinque valige di strumenti. Io gli dicevo, questa è una canzone molto tragica che parla di guerra e lui apriva queste valige e diceva: qua abbiamo i colpi di fucile. Rusty Holloway è uno dei più grandi contrabbassisti jazz e forse molto sottostimato rispetto al tuo talento perché ha vissuto parzialmente la sua vita insegnando e non è stato molto on the road. Ci sono dei musicisti che sono a cavallo tra jazz e altre musiche e lui ne è un esempio perché capiva profondamente la sensibilità di mio approccio stilistico.
Ciro De Rosa - Hai privilegiato sempre l'aspetto chitarristi. Come si ci sente a fare un disco da songwriter?
Beppe Gambetta - Ci si sente songwriter se si ha la mentalità di essere artisti curiosi e forse anche vivendo anche in questo ambito come indipendente il cammino dell'artista non ha mai questo picco del successo come può esserci nella musica pop ma diventa una sorta di maratona. Ti dedichi alla musica e la vivi in tutti i suoi aspetti, vivendo in questa nicchia speciale e bellissima. Si parte dalla chitarra che è il grande amore, si scopre che è legata tantissimo al canto. Quando avevo diciotto anni odiavo cantare perché mi piaceva moltissimo la chitarra. Poi lentamente si ci avvicina a tante altre forme, si diventa ricercatori, arrangiatori e produttori. Questo tipo di vita ti fa provare anche a produrre i tuoi stessi spettacoli. Si diventa anche insegnanti perché è bellissimo condividere la propria esperienza con altri. Si provano anche altri strumenti. Tra tutte queste esperienze mi mancava quella del cantautore e avevo voglia di provare a farlo.
Ciro De Rosa - Sono canzone scritte di getto o le avevi nel cassetto?
Beppe Gambetta - Queste canzoni sono nate a dicembre. Mi sono messo e ho provato a raccontare delle storie in cui c'era un po' della mia vita. Sono nate anche alcune cose in genovese. Quando si prova qualcosa per la prima volta c'è sempre una sorta di timidezza e ci si chiede sempre: chissà come sarà.... E' stato molto interessante aprire questa porta e spero che ci siano degli artisti che riescano a trarne ispirazione. Non avere porte chiuse a priori è una cosa molto importante ed è stata una grande gioia potermi confrontare con altre persone. Ho fatto controllare i testi in genovese ad un professore che mi ha trovato sei parole sbagliate ma sono riuscito a portare il disco in porto.
Edoardo Marcarini - Ci puoi raccontare il tuo approccio con la chitarra acustica? Nel disco suoni anche la chitarra elettrica..
Beppe Gambetta - Solo in un brano suono l'elettrica perché ci voleva quel suono ed era importante avere quella forza e quella potenza. Chi suona per tutta la vita la chitarra acustica quando suona quella elettrica generalmente la distrugge perché se suoni il flat-picking con una forza che è ad esempio 80 per l'elettrica hai bisogno di 20 più o meno. Quindi devi suonare tutto come se stessi eseguendo un pianissimo e bisogna fare molta attenzione. Ho usato sei chitarre acustiche diverse. Questo è un disco che rappresenta il sogno di continuare ad essere indipendenti e riuscire ad ottenere suoni complessi anche se non si hanno budget elevati.
Avevo sentito parlare di un microfono cinese acustico bellissimo che è la copia di un Neumann che costava anche pochissimo ma che viene ribobinato da un pazzo di Austin. Sono riuscito ad averlo e ha una qualità fantastica pur avendo un costo molto abbordabile. Mi sono messo a lavorare a casa mia con tutte le chitarre che avevo. Ad esempio in alcuni brani, anche nella semplicità, sono arrivato ad usare sei chitarre. C'è una chitarra dobro suonata con lo slide in alcuni punti, una chitarra bouzouki che crea un tappeto sonoro particolare, una chitarra che ho suonato solo per i suoni armonici ed accordata appositamente per questo, una chitarra dodici corde decomposta con le due ottave in cui la nota alta è completamente a destra e la nota alta completamente a sinistra, per usarla bisogna imparare le parti esattamente e suonarle perfettamente all'unisono. E' chiaro che se si ha un buon suono di partenza e basi tutto sulla chitarra fai tanti esperimenti casalinghi. Ho fatto circa metà del lavoro a casa con tutte le chitarre e quando finalmente c'era la base con tutti i pezzi pronti siamo andati in studio da Bob Harris che è un chitarrista. Quando si fa un album incentrato sulle chitarre è bello avere un tecnico del suono che è un chitarrista. Bob Harris ha suonato una decina d'anni con Vassar Clemens che era un famoso violinista e aveva una band molto popolare a Nashville. Mi ha raccontato tante storie su Clemens che era un grande uomo e un grande bevitore di caffè. Per tornare alle chitarre, io uso una R-Taylor che è una chitarra Taylor normale ma è una Super Taylor fatta a mano. Questo brand non esiste più ma è uno strumento particolare a metà strada tra Taylor e Martin. Ha la botta della Martine e un sustain e una tastiera molto agile come tutte le Taylor. E' il mio cavallo di battaglia. Per registrare uso sempre due microfoni perché le orecchie sono due e questa differenza imprime una profondità particolare al suono.
Edoardo Marcarini - A noi musicisti insegnano che il suono sta nelle dita ma se è vero che il diavolo sta nei dettagli è importante anche la cura di questi particolari...
Beppe Gambetta - A volte la bravura sta anche nell'umilità di ripetere più volte. Ci sono alcune cose che devono suonare bene e per un minuto di musica si può perdere una mattina interna. Bisogna avere la pazienza, specialmente se si è a casa propria, di mettersi là con lo strumento e muoversi davanti ai microfoni finché non si trova il suono veramente speciale, finché non si trova quel tocco giusto.
Ciro De Rosa - Le tue traversate musicali sono state epocali e fatte di tanti incontri. In "Wise Old Man" citi i tuoi padri musicali di Genova e dell'America che è la tua patria musicale elettiva...
Beppe Gambetta - Se parliamo dei padri veri della musica, questi trascendono dal luogo e dalla cultura. Sono questi grandi personaggi che sono patrimonio dell'umanità. Ho cercato di mettere a fuoco questo aspetto perché ho notato che tantissimi nuovi musicisti pensano di avere questo loro percorso didattico senza il contatto e lo studio della musica dei grandi maestri. Sento tantissimi ragazzi delle nuove generazioni che si mettono al computer e trovano di tutto. E' chiaro che da un video si può imparare moltissimo e forse più velocemente di quanto ho fatto io che a diciotto anni ci ho messo tanto tempo. Quello che non c'è il contatto diretto con i padri che c'è sempre stato nella musica popolare e che consiste nell'incontrarsi, nel tramandare e raccontarsi. Oggi si tende a perdere tutto questo. Ne ho parlato tanto di questo argomento perché nella mia vita il contatto con la musica dei padri è stato importantissimo. Tutto questo lo racconto in "Wise Old Man", grande vecchio saggio dove ne ho dovuti scegliere soltanto tre. In realtà ce ne sarebbero molti altri. Ho passato alcune serate pazzesche con Francesco Guccini, sono riuscito a farmi delle grandi chiacchierate con Paco De Lucia con cui parlavamo tante volte del Real Madrid perché lui era stufo di parlare sempre di chitarra.
Ho trascorso tante serate con Wayne Shorter che è questo grande musicista jazz ma anche buddista e grande uomo. Ho conosciuto Bill Monroe, Jorma Kaukonen, ho preparato il risotto a David Bromberg. Per me il rapporto con i padri è stato sempre ciò che mi ha dato la linfa vitale. In "Wise Old Man" ho inserito i padri più importanti. Pete Seeger è il simbolo dell'arte che riesce a cambiare la storia e dicono l'opinione pubblica sulla Guerra in Vietnam sia stata mossa dal suo ritorno in televisione. Per una volta nella storia è successo che un banjo è stato più forte di un fucile che è una cosa pazzesca. Naturalmente c'è Fabrizio De André che ho incontrato due, tre volte ma mai davanti ad un bicchiere di vino. Poi c'è Doc Watson che è il padre della chitarra flat-picking. Ho voluto riportare un po' il fuoco di questi personaggi che hanno questo carisma in grado di inventare nuova musica. E' importantissimo mantenere con loro un contatto profondissimo.
Salvatore Esposito - Il disco si apre con "La nostra musica" è il brano più personale di tutto il disco...
Beppe Gambetta - Questo brano l'abbiamo messo all'inizio perché da questa caratteristica all'album. Inizia con la chitarra elettrica e segna l'apertura di un nuovo capitolo. C'era il desiderio di raccontare la vita del musicista che molti non riescono a cogliere, duecentocinquanta giorni all'anno siamo on the road e affrontiamo problemi di ogni tipo dal varcare i confini al non sapere bene quello che ci aspetta il giorno dopo. Dopo il concerto andiamo a dormire contenti ma quando ci svegliamo ci ritroviamo disoccupati. Ho scritto un insieme di problemi che affrontiamo durante la vita on the road e ho riempito due fogli interi di fatti e di cose. Nella canzone ci sono un decimo di queste problematiche che avevo scritto e la cosa interessante che ho voluto far emergere è che ci sono tante ombre ma anche questa grande gioia di vivere liberi, esprimendosi con l'arte e toccare il pubblico con la propria musica.
In noi c'è anche la gioia di condividere questo viaggio con la persona che si ama. Spero di aver colto tutto con questa canzone. E' stato divertente perché era la prima volta che raccontavo questi miei sentimenti.
Salvatore Esposito - Quali sono le differenze tra "Where The Wind Blows/Dove tia o vento" e i tuoi dischi precedenti, dove eri concentrato sulla reinterpretazione dei brani?
Beppe Gambetta - A livello di produzione non ci sono grandi differenze perché ho sempre svolto, da indipendente, una buona parte del lavoro a casa. In questo caso, la ricerca non è stata verso l'esterno con brani di altri autori ma è avvenuta dentro di me. Sono tutte canzoni nate dalla mia immaginazione. In passato passavo gran parte del tempo ad ascoltare dischi di altri e album di musica tradizionale, ero sempre a caccia della bellezza da riportare in vita rileggendola. Sono sempre stato un entusiasta delle cose belle che ogni tanto vengono dimenticate. In tanti miei dischi ci canzoni di artisti che non sono diventati famosi come meritavano. Qui, invece, ho trovato tutto dentro di me. Ho lavorato con la tecnica di Woody Allen che quando fa un nuovo film riempie la camera da letto di tutti i suoi fogli e foglietti con le idee che ha appuntato. Li guarda, li gira, li sposta. Effettivamente, poi, sono andato a cercare tutti gli appunti con le mie idee per la disperazione di mia moglie ho riempito stanze e pavimenti, per vedere se c'erano spunti che potevano stare insieme o cose che avevo dimenticato nel tempo.
Alessio Surian - Hai fatto riferimento a Doc Watson. Sarebbe bello se ci raccontassi il tuo rapporto con lui...
Beppe Gambetta - Doc Watson è un grande vecchio che ha lasciato tantissimo perché ha inventato uno stile. Era una bellissima persona come anima.
Quando avevo diciassette anni ascoltai un disco che conteneva un suo brano. Ero un Led Zeppelin boy e poi sono diventato un Doc Watson boy perché mi ha intrigato questa sua ritmicità che imprimeva alla chitarra acustica. Durante tutta la mia vita ho studiato tantissimo Doc Watson e quando, nel 1985, sono riuscito ad andare negli Stati Uniti riuscii a vederlo dal vivo in un festival dove suonava. Riuscii ad andare nel backstage e lì me lo presentarono. Quando gli strinsi la mano, notai che aveva un sacco di calli perché, pur essendo non vedente, curava il suo orto. Era in grado di farsi i lavori di casa e dai rumori riusciva a fare tutto. Lui ha inventato uno stile per chitarra mettendo insieme tutte le grandi melodie per altri strumenti. La chitarra nasce in tanti stili diversi come strumento di accompagnamento, poi c'è qualche grande artista che la fa diventare uno strumento solista. Ho potuto suonare con lui anche qualche brano ad una MerleFest e mi ha incoraggiato tanto in alcuni momenti della mia vita. Quando ho saputo che era morto, ho viaggiato tutta la notte per riuscire ad arrivare in tempo in North Carolina al suo funerale. Quando sono arrivato e qualcuno mi ha dato una chitarra e in quel momento mi sono chiesto che cosa avrei potuto suonare. Ho suonato l'Ave Maria Sarda per chitarra e sono certo che avrebbe molto gradito. Ho fatto esattamente quello che ha sempre fatto anche lui prendere una musica tradizionale per altri strumenti e fatti diventare musiche per chitarra. La sua tomba purtroppo non si può visitare perché è in una proprietà privata e se si va Deep Gap bisogna consultarsi prima con la sua famiglia per poter andare a vedere dove è sepolto. Nella città vicina a Boone c'è un bellissimo monumento che lo ritrae su una panchina a suonare, proprio come era solito fare abitualmente.
Alessio Surian - Lo hai visto dal vivo nel 1985 che è l'anno in cui è morto il figlio. Hai avuto modo di ascoltarli suonare insieme?
Beppe Gambetta - No perché era appena successo. Io vidi Doc Watson l'estate successiva in Georgia. Mi aveva stupito questa sua forza e la volontà di ricordare il figlio, continuando a suonare. Infatti aveva messo su questo grande festival proprio in nome del figlio che era esattamente all'opposto, era una persona molto riservata, mentre lui aveva questo modo di fare pazzesco. Gli artisti a volte riescono a creare un filo con il cuore di tutti gli ascoltatori e non si sa come nasce tutto questo, ma ad un certo punto si sente. Succede con molti artisti ma con Doc Watson era particolarmente intenso. C'era questa sensazione di essere connessi con lui molto forte.
Salvatore Esposito - Veniamo a "Dove tia o vento" con cui sei andato in finale alla Targa Tenco come miglior canzone. Come nasce questo brano per la quale hai realizzato anche uno splendido video durante il lockdown...
Beppe Gambetta - La canzone racconta questo amore per la propria città, esistono nella tradizione genovese delle canzoni che raccontano la sofferenza degli emigranti e la voglia di ritornare. E' un sentimento non solo genovese ma questo attaccamento alla propria città c'è in tante tradizioni italiane. In questa canzone ho cercato di allontanarmi da questo campanilismo esasperato in cui si cade quando si compone una canzone per la propria città. In realtà tutte le città hanno i loro problemi e si vuole bene alla propria città comunque. Ho ripercorso tutta la storia travagliata della città, ho messo in contrapposizione la sua bellezze e tutti i problemi che storicamente l'hanno segnata. Ho voluto far emergere che è una città che ti chiama e che vuole farti ritornare e il dialetto genovese ha un po' di questa saudade che si adatta tantissimo al tema. Nella prima strofa racconto dei naviganti e dei mercanti con personaggi che addirittura fanno parte del mio albero genealogico con una mia nonna che è stata abbandonata dal marito, emigrato in Argentina.
Nella seconda strofa, invece il racconto si sposta al periodo del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale fino a toccare il G8 per poi giungere alla terza strofa con i nostri giorni, le alluvioni, i cambiamenti dell'industrializzazione e la tragedia del Ponte Morandi. Anche se non si parla genovese tutto questo emerge comunque dalla canzone perché tutti i nostri dialetti sono una risorsa e una bellezza della nostra nazione. Diceva Fabrizio De André che quando si canta in dialetto si mette in luce la musicalità delle parole che è quasi in primo piano rispetto al loro significato. Il video ha attinenza con tutto questo lavoro che, come dicevo, riguarda molto la resistenza della musica contro le avversità. Eravamo appena tornati dagli Stati Uniti ed eravamo proprio nel periodo più stretto del lockdownd. Ho girato tante immagini in casa. Ci mancava un fotogramma del lume e così ho messo una candela sulle scale di casa. Per evocare il naufragio ho fatto delle barchette di carta e le ho fatte naufragare nella vasca da bagno. Mi mancavano anche immagini della guerra e mettendo alcuni soldatini sul tavolo ho tirato via la tovaglia al rallentatore per farli cadere. Mi serviva uno scoppio e ho usato un mortaio pieno di pinoli. E' interessante questo video perché è l'immagine della musica e dell'arte che ti fa aguzzare l'ingegno. Se bisogna andare avanti un’immagine artistica si trova sempre.
Edoardo Marcarini - Nel disco ci sono diversi brani strumentali ed in particolare mi ha colpito molto "Fighting While We Can". Ci puoi raccontare il processo creativo alla base di queste composizioni...
Beppe Gambetta - Io sono proprio l'esempio tipico della one man band nel senso che il 90% del mio lavoro è in solitaria, anche se spesso collaboro anche sul palco con altri artisti. Ho sempre un po' di attenzione verso il fatto che nei brani che registro tutto sia riconducibile ad una sola chitarra. L'uomo da solo con una sola chitarra. In questo caso ero tentato dal fare un po' di sovrapposizioni ma tutto questo si sarebbe perso dal vivo, dove ci sarebbe stata troppa distanza con quanto c'è sul disco.
La gente ama ascoltare sul palco i brani avendo una idea precisa di quello che andrà ad ascoltare su disco. In questo brano in particolare mi sono impuntato e ho deciso di farlo per una sola chitarra, quindi sono riuscito a suonarlo tutto utilizzandone una sola. Non c'era ancora la pandemia in arrivo, ma c'erano un sacco di ombre. Noi dove viviamo negli Stati Uniti c'è questa angoscia che aleggia, si sente che stanno arrivando tempi cupi politicamente. Questo si sente nella vita di tutti i giorni. C'è più violenza e meno tolleranza proprio negli Stati Uniti che sono stati sempre l'esempio più grande di apertura perché sono nati con l'accoglienza e l'incontro con altri. "Fighting While We Can" è un ritratto di una società che si chiude e lo abbiamo dedicato ai nostri amici più cari che vogliono a tutti i costi combattere questo stato di cose. Nella prima parte c'è una trama più cupa e poi si apre ad una sorta di marcia. Joe Bonadio era incerto su quali percussioni usare e poi sono riuscito a convincerlo a metterci un rullante che sembra un tamburino ma per avere quell'effetto devono essere quattro. Lo abbiamo registrato al sincrono perfetto con questi quattro rullanti che mi hanno lasciato secco perché è molto difficile sovrapporli quando c'è un ritmo così veloce. Altra particolarità è che il brano è registrato con la vecchia accordatura celtica DADGAD che però ha un suo bel suono dal vivo e una sua potenza. Il dettaglio tecnico è che ha una melodia molto forte e tanti accordi. Quando si suonano accordi e c'è una grossa melodia è difficile far uscire le due cose separatamente.
Ciro De Rosa - "Amica Libertà" è una riflessione sul passato, sulla vita di artista. Cosa rappresenta questo brano?
Beppe Gambetta - Ad un certo punto ho pensato che se doveva essere un po' autobiografico questo album era giusto dire le cose come sono e quindi ho voluto raccontare la mia vita dove la libertà è sempre stata la mia amica più importante. Facendo la scelta di vivere nel folk e nella musica indipendente sai che sei al di qua del muro dei grandi soldi, ma sai che hai accesso ad una bellezza infinita.
Ho voluto dire che anche in questo mondo che sembra così puro ci sono le stesse beghe, le stesse complicità che si trovano in tutti i campi della vita. Pur avendo dedicato tutta la mia vita ad un percorso musicalmente molto puro che non ha come finalità principale il guadagno, mi sono sempre scontrato con le bassezze che si incontrano in tutte le sfaccettature della vita. Ho voluto dirlo perché chi ci guarda dall'esterno pensa che sia un mondo incantato, in realtà è bisogna lottare, svegliarsi ogni mattina e mettere la lancia in resta per andare a cercare il proprio mulino a vento. Sono contento di aver raccontato la mia vita ed aver messo in evidenza la mia libertà artistica che si concretizza anche in Acoustic Night. Quando cominciammo abbiamo scelto volontariamente di tenerlo nell'indipendenza più totale per non dover mai chiedere niente a nessuno e avere le nostre scelte artistiche completamente libere. Siamo arrivati all'edizione numero diciannove ed è importante l'esempio che abbiamo dato nel sottolineare che anche in Italia si possono gestire degli eventi musicali importanti senza avere sponsor o sostegni pubblici, ma basta curare con molta attenzione la parte economica.
Ciro De Rosa - Quest'anno cosa succede con Acoustic Night?
Beppe Gambetta - Purtroppo è cascata nel pieno del lockdown e speravamo di poterla recuperare perché alcuni teatri riescono a recuperare le date perse prima della fine dell'anno. Dai segnali di ripresa che stanno arrivando, penso che non sarà possibile recuperarla e fare sia la vecchia Acoustic Night che quella dell'anno prossimo. Molto probabilmente faremo la nostra festa il prossimo maggio. Organizzare questo evento è molto complicato perché arrivano artisti da molto lontano. Per chi volesse dare un’occhiata abbiamo prodotto un video che racconta tutti i diciannove anni e che abbiamo scelto di chiamare Acoustic Night 20 La Festa è solo rimandata. E' stato difficile raccontare in sei minuti diciannove anni in cui abbiamo ospitato circa cento tra artisti e tecnici ma siamo riusciti a farcela.
E' un video che chi ama questo tipo di musica dovrebbe godersi. Il ventennale è spostato di un anno ma questa estate faremo un evento in piccolo in sostituzione con il Festival Internazionale dei Parchi di Nervi che si terrà in un grande anfiteatro con oltre mille posti a sedere. Sono stato invitato e suonerò il 19 luglio in questo evento, presenterò il disco e suonerò con alcuni artisti italiani. I segnali della musica che pian piano riprende sono abbastanza incoraggianti.
Salvatore Esposito - Il disco è uscito per l'etichetta canadese Borealis Records ed attualmente è in vendita sul tuo sito....
Beppe Gambetta - Attualmente è disponibile in digitale su Bandcamp mentre chi volesse la copia fisica, vendiamo delle copie autografate inviandole per posta e chi volesse acquistarlo può scrivermi a beppegambetta1@gmail.com. Si trova anche da DiscoClub a Genova e penso che tra un mesto sarà disponibile ovunque.
Ciro De Rosa - Concludendo, mi piacerebbe soffermarmi sugli altri strumentali come "Lament" e "Hide And Seek"...
Beppe Gambetta - "Lament" sembra, suo malgrado, scritto per commentare il periodo attuale. E' il lamento della Terra che ci chiede di rallentare e rispettarla. Tutti i musicisti che suonano musica folk hanno questa ansia di suonare la prossima nota perché c'è sempre questa tensione a riempire. In questo brano ho voluto dare importanza allo spazio tra le varie note, al silenzio che è una cosa molto importante. Gli altri brani strumentali del disco sono "Lambertville Waltz" che è dedicata alla città dove vivo nel New Jersey che è nello stesso collegio elettorale di Bruce Springsteen che, non ho mai incontrato. Ormai anche lui è un grande vecchio che ci illumina. Poi c'è ancora "Hide And Seek" che vuol dire giocare a nascondino ed è una composizione che rimanda all'aspetto fanciullesco che ogni artista dovrebbe conservare per mantenere viva la creatività. Stupirsi di fronte alle cose, saper scherzare e prendersi con leggerezza vuol dire saper riconoscere la bellezza
Salvatore Esposito, Ciro De Rosa, Edoardo Marcarini e Alessio Surian
Trascrizione a cura di Salvatore Esposito
Beppe Gambetta – Where The Wind Blows/Dove tia o vento (Borealis Records, 2020)
Ci sono dischi che per profondità dei temi trattati e per la loro particolare costruzione vanno, sin dalle prime note, ad occupare un posto speciale nel cuore di chi li ascolta. Un esempio è certamente “Where The Wind Blows/Dove tia o vento”, quattordicesimo album in carriera di Beppe Gambetta in cui, per la prima volta, si scopre songwriter firmando i dieci brani che lo compongono. Ad evocare tutto questo è il doppio titolo del disco in inglese e genovese, ma non solo perché ogni brano è pervaso da quella urgenza creativa e comunicativa che appartiene a quei dischi importanti, nati per lasciare il segno. Se tutto ciò lo si pone in relazione alla scelta di far uscire il disco in piena pandemia, in totale controtendenza rispetto alle logiche commerciali, si comprende lo spirito profondo dell’anima artistica di Beppe Gambetta. Era necessario che questo disco uscisse in quei giorni cupi in cui sembrava non esserci più futuro. Era necessario per affermare che, nonostante tutto, la musica resisteva nelle corde di una chitarra. Si tratta di un lavoro nato tra le pareti di casa, intessuto di esperienze personali e riflessioni e cesellato nota, dopo nota. Ad arricchirlo sono due straordinari strumentisti americani Rusty Holloway al basso e l’eclettico Joe Bonadio alle percussioni con l’aggiunta, qua e là, di alcuni ospiti speciali come Michael Ronstadt al violoncello, il leggendario Tim O’Brien al mandolino, Laura Cortese al violino e Jefferson Hamer alla chitarra. Ad aprire l’album è il brano più intimo e personale “La Nostra Musica” nel quale il chitarrista genovese, su una trama melodica elegantissima, racconta la sua vita di musicista, vissuta sempre accanto alla moglie, compagna di musica e di viaggi, La costruzione del brano vede al centro della scena la chitarra, con il basso di Holloway e le percussioni di Bonadio a costruire una raffinata cornice sonora dove si inserisce la voce di Gambetta. Si prosegue con la solare “Sunrise Melody”, uno strumentale dalla bellezza cristallina intriso di speranza e buone vibrazioni, per giungere ad una delle tracce centrali di tutto l’album: “Wise Old Man”, dedicata a Pete Seeger, Doc Watson e Fabrizio De André, tre figure determinanti nell’ispirazione di Beppe Gambetta, e nella quale fa capolino il violoncello di Michael Ronstadt. Il chitarrista genovese ci parla dei suoi padri musicali, tratteggiandone la personalità e l’approccio all’arte, ma soprattutto facendone emergere l’umanità. La sequenza è completata dallo strumentale “Forget About Me Not”, un invito al ballo, che ci accompagna a “Dove tia o vento”, brano finalista alle Targhe Tenco 2020 come miglior canzone e che Gambetta dedica alla sua Genova. Senza abbandonarsi mai alla retorica, il chitarrista genovese ci parla della sua città, facendone emergere la bellezza e il fascino ma anche raccontandola attraverso le sue contraddizioni che ne hanno caratterizzato la storia: dalle grandi emigrazioni all’avvento del fascismo, dalle alluvioni al crollo del Ponte Morandi. Se “Lambertville Waltz” è dedicata alla città di adozione negli Stati Uniti e lo vede accompagnato dal solo contrabbasso, la successiva “Fighting While We Can” è un anthem strumentale in crescendo che nel finale diventa quasi una marcia ad evocare l’importanza di combattere pacificamente per una giusta causa. E’, insomma, un canto universale senza parole che racchiude le contestazioni alle politiche di Trump, le battaglie per la difesa del nostro pianeta, la lotta contro l’intolleranza razziale. “Amica Libertà” si ricollega idealmente alla iniziale “La musica nostra” raccontando la vita del musicista dalla prospettiva personale dell’autore che ha fatto della libertà artistisca la sua ragione di vita. Completano il disco il sommesso strumentale “Lament”, una riflessione profonda sulle tensioni sociali che attraversano gli Stati Uniti, e la deliziosa “Hide And Seek” che vede il chitarrista genovese accompagnato da Tim O’Brien al mandolino, Laura Cortese al violino e Jefferson Hamer alla chitarra acustica. “Where The Wind Blows/Dove tia o vento” è, insomma, un disco di grande spessore artistico che cristallizza una nuova fase della carriera di Beppe Gambetta e nel contempo ne rappresenta il vertice.
Salvatore Esposito