Ideato e realizzato in coppia con Francesco Turrisi, torinese ma dublinese di residenza, musicista di area jazz e musica barocca (tamburi a cornice, piano, fisarmonica, banjo, liuto e colascione), “There is no other” è un altro svettante lavoro della prolifica e artisticamente avventurosa Rhiannon Giddens (minstrel banjo, violino baritono, viola). Il disco segue “Songs of Our Native Daughters” (2019), album di consapevolezza femminile afro-americana, in cui Rhiannon aveva accanto Amythyst Kiah, Leyla McCalla, Allison Russell, e l’altrettanto brillante album a suo nome “Freedom Highway” (2017), per non dire, poi, delle musiche composte per il teatro per il balletto “Lucy Negro Redux”, il cammeo nel nuovo disco degli irlandesi Dervish e le apparizioni in televisione nella serie “Nashville”. Diciamo che negli ultimi anni la quarantaduenne artista della North Carolina – studi da soprano al conservatorio nell’Ohio, una carriera iniziata con le Carolina Chocolate Drops, scelte politiche pubbliche ben nette e determinate, riconoscimenti come un Grammy per il folk con i CCD e il prestigioso MacArthur Fellowship – non è mai uscita dalla nostra playlist e ci rimarrà ancora a lungo, considerato che i dodici brani allineati nel fantasioso “There is no other” sono tutti di alta caratura.
Prodotto da Joe Henry, registrato ai Windmill Lane Studios della capitale irlandese, in presa diretta nel corso di una sessione durata una manciata di giorni, “There is no other” è un disco che esalta l’intimità, indirizzando un messaggio di apertura verso l’alterità, è una immaginativa esplorazione di intrecci musicali e di connessioni timbriche, suonato con strumenti che hanno essi stessi attraversato i continenti, accompagnando chi, per forza o per scelta, è migrato.
Arpeggi profondi di liuto e bordone del violino baritono dominano la superba “Ten Thousand Voices”. Si prosegue con la rilettura dai contorni arabeggianti di “Gonna Write Me A Letter” della conterranea banjoista e folksinger Ola Belle Reed (1916-2002), dove il bendir si unisce al banjo a cinque corde e alla viola di Kate Ellis. Nel tradizionale “Wayfaring stranger” – entrato nel canzoniere del gotha folk a stelle e strisce – il connubio tra voce, minstrel banjo e fisarmonica produce un’atmosfera da brividi. Banjo e daf dialogano nell’originale strumentale che dà il titolo all’album; si cambia registro con “Trees on the mountains”, motivo proveniente dall’opera di Carlisle Floyd del 1955, costruito, essenzialmente, per voce (e che voce!) e piano con tocchi del violoncello della Ellis. La coppia fa tappa in Salento per una resa convincente (anche riguardo alla pronuncia salentina: di certo non hanno fatto meglio cantanti mainstream nostrani portati sul palco di Melpignano) di “Pizzica di San Vito”, eseguita con tombak, tamburello e colascione! Ci infilano, poi, la drammaticità dalle venature arabe di “Brown Baby”, numero firmato da Oscar Brown Jr. ma portato al successo da Mahalia Jackson. Nel secondo strumentale, “Briggs’ Forrò” (di Hermeto Pascoal e Thomas F. Briggs), banjo e fisarmonica si librano in libertà, richiamando atmosfere nordestine. Intensa la ghost story ballad degli Appalachi “Little Margaret” (presente in Inghilterra già nel quattordicesimo secolo, pubblicata nella collezione ottocentesca di Child, che Giddens aveva in repertorio nei Carolina Chocolate Drops), qui interpretata per solo voce e un furente e incalzante daf. Si volta ancora pagina con l’aria “Black Swan”, proveniente da “La medium”, dramma lirico di Gian Carlo Menotti del 1947, mentre “I’m on my way”, scritta a quattro mani da Joe Henry e Giddens¸ ci riporta in ambientazione hillbilly. Il gospel “He will see you through” è il commiato di spiritualità e speranza a firma Dirk Powell (produttore di “Freedom Highway”) e della stessa artista, con il violoncello di Ellis che fa da contorno a voce e pianoforte.
In definitiva, un altro bel capitolo per una star del firmamento folk: da non mancare.
Ciro De Rosa
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