Francesco Di Giacomo – La parte mancante (Sprea/Aereostella, 2019)

Nel 2016 “Bomba intelligente” si aggiudicò con merito la Targa Tenco come miglior canzone dell’anno; era il primo brano che vedeva la luce dopo la morte del suo autore e interprete, Francesco Di Giacomo. Era un fatto abbastanza noto che ci fosse dell’altro materiale pronto – o quasi - per un disco che avrebbe dovuto lanciare una nuova fase della carriera della storica e mitica voce del Banco del Mutuo Soccorso. Da anni Francesco stava lavorando a nuove canzoni insieme con il musicista Paolo Sentinelli. Poco prima della sua morte aveva debuttato con successo nello spettacolo “Cenerentola - La parte mancante” (una Cenerentola invero speciale e forse più umana). E nel 2013 aveva anche lasciato il suo storico gruppo. Era solo l’inizio di un qualcosa che la morte ha purtroppo interrotto. Però “Bomba intelligente” - ospitata come una vera chicca all’interno dell’album di Elio e Le Storie Tese “Figgatta de Blanc” – dimostrava che qualcosa di importante esisteva già e aspettava solo di mettersi in mostra. In effetti, però, nessuno poteva immaginare fino a che punto fosse autorevole e completo il lavoro già fatto, come mostra l’album “La parte mancante”. E come – per usare la parola più volta ripetuta da Di Giacomo nella title-track – fosse “congeniale” all’ascolto e alla musica italiana. Va anche detto che il modo in cui si è deciso di proporre il disco è stato originale e vincente: prima in vinile, allegato in edicola a Prog, rivista diretta da Guido Bellachioma. E poi, in un secondo momento, in cd, con quattro extra molto speciali. A spiegarci tutto sono stati lo stesso Paolo Sentinelli e Antonella Caspoli, moglie di Francesco e produttrice dell’album. 

Cominciamo dalle differenze tra vinile e cd, che ha quattro extra. Uno è la versione di “Bomba intelligente”, fatta da Elio con al piano Rocco Tanica.
Paolo Sentinelli -  Sono stati davvero molto carini, con tutti gli impegni che hanno!
Antonella Caspoli -  Sì, concordo, l’incontro con loro, favorito da Duccio Pasqua, è stato da subito felice. Ci hanno fatto ancora una volta un bel regalo!
Paolo Sentinelli -  Gli altri extra sono la “Cenerentola”, letta da Francesco: lo spettacolo che avevamo messo insieme, la “sua” Cenerentola. L’abbiamo registrata a casa, in cucina; c’è poi “Puntualizzazioni sulla vita” con testo di Boris Vian. La cantavamo sempre dal vivo.
Antonella Caspoli - Il quarto extra è “Alì”. È stato scritto all’inizio della Seconda Guerra del Golfo. Subito dopo è nata “Bomba intelligente”. 
Paolo Sentinelli -  Ho preso la voce di Francesco che parla di questo bambino, Alì, e con Adriano Viterbini, a casa mia - con degli strumenti giocattolo - abbiamo messo su questa cosa che ora si sente nel cd.

E veniamo al disco tutto intero. Il vinile è andato a ruba e c’è stata subito una ristampa; in generale l’album sta andando molto bene. Ve lo aspettavate? 
Antonella Caspoli - Posso dirlo? Non me lo aspettavo, no. Non avevamo idea del successo che avrebbe potuto avere questo vinile; è stato veramente un salto nel vuoto. Prima di arrivare alla decisione di uscire con la rivista Prog, avevamo avuto incontri con delle major, ma nessuna ci aveva garantito di poter uscire con seimila vinili. Al massimo parlavano di mille. Noi però puntavamo proprio sul vinile e per fortuna il direttore di Prog, Guido Bellachioma, c’è venuto incontro e ha detto: “bene, io rischio” e ha rischiato quanto noi. Abbiamo messo tre rischi insieme. 

E a che tiratura siete arrivati alla fine?
Antonella Caspoli -  Novemila.

In realtà è una idea molto intelligente, perché si lega all’uscita in edicola di una rivista che ha un suo pubblico scelto, coerente, competente e consapevole. E che non può non amare Francesco Di Giacomo. Non potevano che comprarlo il disco. E poi, visto che ancora non tutti hanno di nuovo il piatto, diventa anche un oggetto da collezione. 
Antonella Caspoli - Sì, assolutamente!

Ha anche un packaging particolarmente felice… 
Paolo Sentinelli -  Per quello abbiamo lottato: uno dei problemi avuti con una major è stato proprio questo. Noi volevamo vederla la copertina, capire, scegliere. Levami i punti di percentuale della royalty, ma voglio vedere come fai il lavoro, ci deve essere il cuore. Posso dirti tranquillamente che fino ad ora la produttrice, Antonella, ci ha messo tanti soldi e invece se avessimo voluto e fossimo stati furbi, tanti soldi li avremmo guadagnati. 
Antonella Caspoli -  Adesso è uscito fuori il commercialista che è in lui. (Ridono insieme)

E quindi, come produttrice, posso chiederti: secondo te vale ancora la pena fare dischi? 
Antonella Caspoli -  Se sono fatti in un certo modo, sì, assolutamente. 

Anche da un punto di vista prettamente economico?  
Antonella Caspoli -  Questo sinceramente non lo so; però posso dirti che io sono una che compra libri belli in quanto tali, come oggetti; compro libri d’arte. Mi piace averli e toccarli, guardarli. Quindi ho pensato che l’album di Francesco dovesse essere concepito allo stesso modo, come disco d’arte. Secondo me questo album doveva essere bello tutto, nella sua interezza. Quindi anche nella cover. Perché secondo me ci sono dieci pezzi tutti quanti belli, tutti ad alto livello. Non c’è una traccia che valga meno, come invece può accadere in un disco. Quindi anche il packaging doveva essere così: una cosa bella da vedere e da toccare. 

Entriamo nel merito. Francesco se ne è andato da un po’ di tempo e quindi vi chiedo perché il disco sia uscito solo ora. Da quello che so anche la gestazione è stata molto lunga per lui, all’epoca. 
Paolo Sentinelli - Avoija, per scelta! (ride)

Appunto. E ho visto anche che intorno a quelli che comunque sono nati come provini, fatti nella bellissima cucina di casa di Francesco, a Zagarolo, tu, Paolo, hai fatto un grande lavoro nel sound. Ho detto intorno, ma sottolineo in entrata, in coda e dentro. È per questo che ci avete messo tanto a pubblicarlo?
Paolo Sentinelli - Assolutamente no. Era tutto pronto, i suoni erano già quelli, li abbiamo solo messi in “BellaChioma” (sic!)
(ridono entrambi per il lapsus)
Paolo Sentinelli - … volevo dire in bella copia… ci abbiamo messo tanto perché dopo la morte di Francesco non eravamo proprio in grado di fare nulla. Io ero disperato e Antonella ovviamente più di me. Qualcosa è cambiato nel mio equilibrio, figurati in quello di sua moglie. Io ho perso la persona con cui scrivevo, ho perso un amico con cui ogni settimana mi vedevo e condividevo la mia intimità. Le mie emozioni. Punto. Succede una cosa così e non ci ho pensato per niente a mettere le mani su quel materiale. Non avevo proprio la visione professionale per fare il disco. Avevo solo una visione di dolore e sconvolgimento. Come facevo a star lì a pensare: “Ora su questa voce ci metto questo riverbero, qui il pianoforte lo risuono in questo modo”? figurati: impensabile!  Ecco, forse potevamo farlo uscire un poco prima, al quarto anno magari. Invece siamo arrivati fino ad oggi. Di certo nei primi tre anni c’è stato il silenzio assoluto. Altrimenti, credimi, eravamo in condizioni di uscire tre mesi dopo.  

Maurizio Masi ha avuto un ruolo importante nella realizzazione, vero?
Paolo Sentinelli -  Maurizio ha dettato il tempo, perché è molto più pragmatico di me e ha saputo proprio prendermi per mano da musicista; parliamo la stessa lingua, perché suoniamo insieme da una vita e ci conosciamo da trent’anni: è un amico pure lui. Abbiamo registrato nello studio di questa persona che trovo bravissima; si chiama Alex di Nunzio: ha capito quali fossero le mie esigenze artistiche, come volevo il suono, la mia sensibilità. Non sempre accade. Invece che bello quando va così! Sono felicissimo di come suona il disco. 

Come sono nati i testi? Francesco ti proponeva cose già fatte?
Paolo Sentinelli -  Assolutamente no. Abbiamo scritto tutto in cucina. 
Antonella Caspoli -  Erano le chiacchierate che si facevano tra loro: molte erano frasi che a Francesco venivano in mente così e Paolo è stato bravo a coglierle nel momento in cui le diceva e a scriverle su un foglietto, che poteva essere pure una bolletta da pagare. Usava qualsiasi cosa che gli capitasse sotto mano e prendeva appunti. In un secondo incontro le ripresentava a Francesco, che a quel punto ci lavorava sopra e le sviluppava. Si mettevano a tavolino e usciva la canzone.  
Il bello di questi testi, a leggerli, ma soprattutto a sentirli suonati, è nel modo in cui lui gioca con le parole, con le frasi fatte, trasformandole, invertendole, creando assonanze, al cui senso si arriva intuitivamente, un po’ come con i rumori nei fumetti.
Antonella Caspoli - Verissimo: questo è il dono della lirica, della poesia di Francesco, che con una parola simbolo riusciva a far capire tutto. 
Paolo Sentinelli -  I testi sono tutti suoi. Io non ho messo mano in nessun modo. Quello che portavo casomai era questa inquietudine, questa malinconia che mi cammina a fianco da quando sono nato. Che mi dà fastidio. Avrei voluto fare il commesso, andarmene al centro commerciale, andare al mare, vedere la partita, invece ho questa “amica” che mi sta sempre vicina e con Francesco queste cose uscivano fuori. C’era uno scambio tra noi. 
Antonella Caspoli - Io infatti lo dico sempre, che a Paolo gli è morto l’analista… (ridono)

Nella title-track Francesco spiega quale sia la parte mancante. Ma questa parte mancante era anche altro, non è vero? 
Antonella Caspoli -  Certo. La parte che mancava era anche il pezzo di percorso artistico, che è poi sfociato in questo disco.

Aveva pudore a tirarla fuori questa parte? 
Antonella Caspoli -  Ma no, per niente. Peraltro molte cose erano già state ascoltate e sentite. Per esempio “Emullà” fu scritta per i Têtes de Bois e Andrea Satta, quando fu fatto il loro concerto per la ferrovia dell’allume. Infatti “Emullà” è “Allume” scritto al contrario. 
Paolo Sentinelli -  E quando ho letto questo testo ho pensato che fosse una vera figata e gli ho chiesto di recitarmela. Naturalmente sempre in cucina. E poi a casa ci ho messo sotto quello che si sente. 
Antonella Caspoli -  Nel libretto del vinile è possibile leggere “A certe altezze”, che ha scritto per il Festival di Stradarolo, sempre su invito di Andrea Satta dei Têtes.  L’idea era che Francesco salisse in mongolfiera e da là sopra descrivesse cosa vedeva. 
Poi la mongolfiera non partì perché c’era troppo vento. Per fortuna… no, nessun pudore a mostrare le sue cose. Casomai era pigro. Questo sì. 
Paolo Sentinelli - Tutto quello che scriveva era senza pudore e senza censura e col desiderio proprio di essere senza filtri. Francesco voleva essere libero. Libero di esprimersi e di farlo come e quando voleva. Forse l’unica volta in cui io ho lanciato un’idea è per “Lo stato delle cose”. 
Antonella Caspoli -  Lì lo hai sfidato! 
Paolo Sentinelli -  Sì. L’idea è nata partendo da un testo di Pasquale Panella per Battisti. Allora ho detto a Francesco: “Ce la fai a farmi un testo con solo verbi e avverbi?” Lui all’inizio ha protestato, ma ormai lo avevo sfidato e quindi lo ha fatto.  
Antonella Caspoli - Si tratta di una canzone indirizzata a una classe politica, a una sorta di stanza del potere.
Paolo Sentinelli - Andava così: io mettevo melodie a queste parole e poi lui le metteva a posto quando gliele facevo sentire. La materia prima però erano queste frasi che gli uscivano quando parlava, una dietro l’altra. Tutto nasceva durante questi dialoghi intimi e poetici, in cui io prendevo appunti. 
Antonella Caspoli - Per esempio “Insolito” è nata da una storia vera di una donna che si stava separando. Ma poi è diventata una storia universale, al punto che io non sono riuscita ad ascoltarla per tanto tempo.  

Questo modo di scrivere era “congeniale” a Francesco, per usare la parola chiave della title-track. A voi cosa è congeniale? 
Antonella Caspoli - Andare al mare mi è congeniale, andare a una mostra mi è congeniale, sentire una bella canzone mi è congeniale, ascoltare la musica che mi appartiene mi è congeniale, andare a teatro con le amiche mi è congeniale, viaggiare mi è congeniale. 
Detta così sembra una vita da farfallona? Non mi è congeniale una forzatura, non mi è congeniale quando mi dicono che devo fare una cosa che non vorrei fare. Poi magari la faccio lo stesso, perché sono un soldatino. Ma non mi è congeniale. 
Paolo Sentinelli - A me è congeniale il mare, ma da solo non basta: mi è congeniale quando sono in linea con il respiro e con la mente e con le persone che mi stanno intorno…  perché se vai al mare con una persona che non è in linea non va bene.  Mi è congeniale quando ho quella linea mentale di piacere con le persone che mi stanno intorno: ecco, quello mi è congeniale! E ovviamente non mi è congeniale tutto il resto: vivo di più nella non congenialità che nella congenialità.

Dall’elenco di Francesco nella canzone qualcosa magari manca. A lui cosa era congeniale e cosa no? 
Antonella Caspoli - A sentirlo parlare sembrava non essergli congeniale il mondo per come è andato e andava, così lontano dalle sue aspettative di uomo libero, con dei sogni che dopo sembravano essere diventati utopia, pure se invece potevano essere a portata di mano.  
Paolo Sentinelli -La canzone parte proprio da qui. Dalla mancanza di congenialità con quella zona calma… 
Antonella Caspoli -  Sì, con questo mondo di ignavi.
Paolo Sentinelli - “La parte mancante” è nata così: eravamo sulla porta di casa e lo stavo salutando. E mi dice: “Voijo scrive ‘na cosa sulla solitudine, però non nel senso che me manchi, ma una cosa tipo: scusa ero distratto guardavo il mare”. E poi ha cominciato a ripetere la frase più e più volte dandomi l’input per la linea melodica.  
Antonella Caspoli -  Quando ha scritto “La parte mancante” li ho lasciati alle tre di pomeriggio. Erano lì con questo “Scusa, ero distratto”; quando sono tornata, erano tutti contenti e mi hanno detto:
“Senti cosa abbiamo fatto”. Avevano registrato. E io quando ho ascoltato sono scoppiata a piangere. Perché era come se mi parlasse, quando diceva: “Tu tieni il mondo sotto controllo”. E in effetti io ero così. Mentre lui giocava un’altra partita, in fuorigioco. E poi… sembra che parli d’amore per te e invece finisce: “Scusa ma mi hai distratto”. Mi hai distratto dalla mia solitudine…  

Questa immediatezza, questo uso intuitivo delle parole, questi giochi, secondo te hanno a che fare con la sua romanità, con la sua “inflessione” non solo linguistica? 
Antonella Caspoli - Se ce la senti, allora sì. Lui era un intellettuale e sapeva esprimersi perfettamente, ma era anche un romano che parlava un dialetto antico, non volgare, diverso dallo slang contemporaneo. Nobile. 
Paolo Sentinelli - Immediatezza che dipende secondo me anche da altro, da una cosa che mi ha insegnato e che mi ritrovo nello stile di vita. Lui diceva sempre di considerarsi un precario. Io anche ho imparato ad avere un approccio alla vita precario: questo messaggio che mi ha ripetuto per anni l’ho fatto mio. 

Cosa succede ora? Quali sono le sensazioni dopo l’uscita?
Paolo Sentinelli - Quando è uscito il disco io ho sentito un grande affetto nei confronti di Francesco, da parte di tutti. In quindici giorni è sparito e non sai quante persone ci hanno scritto in privato per capire dove trovarlo. È stato emozionante. Mi sono reso conto di quanto fosse amato. Molti pensavano fosse la classica operazione da cassetto aperto per tirare fuori gli scarti e invece tutti sono rimasti entusiasti. Qui ci sono gli ultimi dieci anni della storia artistica di Francesco e le persone lo hanno capito. 
Antonella Caspoli - Fino a che tutto questo è rimasto chiuso e non condiviso non era possibile andare oltre. Adesso che quelle parole non sono più solo mie e nostre, ma sono di tutti e per tutti, allora è possibile lasciare andare…



Francesco Di Giacomo – La parte mancante (Sprea/Aereostella, 2019)
Prima di affrontare gli accordi e le parole di questo album, mi è necessario fare una premessa personale: ho conosciuto Francesco Di Giacomo molti anni fa, grazie ai Têtes de Bois, che oltre ad essere una delle band più importanti e felici della nostra Canzone d’Autore, è per me anche un gruppo di amici carissimi, che mi ha adottato in un momento davvero difficile della vita. Così sono entrata in contatto anche con quel grande uomo, quel grande italiano che è stato Francesco Di Giacomo; sono entrata in contatto con la sua barba, col suo accento romanesco così simile al mio, con la sua intelligenza e con quella acutezza che non faceva sconti a nessuno. Soprattutto non scontava nulla ad Andrea Satta dei Têtes, sempre pronto a coinvolgerlo nei più straordinari e incredibili progetti… a volte autentiche follie: un’amicizia, la loro, fatta di minacce, risa sornione e grande amore intellettuale e umano. E vi è una chiara traccia della loro collaborazione nel disco, particolarmente in “Quanto mi costa” e in “Emullà”. Insomma: impossibile non provare nei suoi confronti – e anche nei confronti della sua mitica amatriciana – un timore quasi reverenziale, che nel tempo, e con la maggior confidenza, si è tramutato in stima profonda. D’altronde, chi lo sentiva parlare capiva subito di avere di fronte un genio. Un genio con una delle voci più incredibili e inimitabili della storia della canzone italiana. Ho ritenuto quindi necessario fare questa premessa, perché prima di ogni altra cosa - quando si scrive e si “critica” - bisogna non perdere mai la propria onestà intellettuale. Chi non lo fa non solo danneggia sé stesso, ma fa anche un cattivo servizio a chi sta giudicando, soprattutto quando critica “in bene”. Ho ascoltato questo album in anteprima, con una certa paura. Non temevo fosse brutto, no: questo proprio era impossibile. Avevo però paura che non fosse all’altezza delle aspettative. Le mie innanzitutto. Ma anche di tutti quelli che hanno amato molto il Francesco Di Giacomo del Banco e che quindi erano lì in attesa di scoprirlo davvero in questa nuova veste che da dieci anni preparava con Paolo Sentinelli. Ebbene, mi sono trovata di fronte a un capolavoro. Uno degli album più belli degli ultimi anni. Di certo uno dei più importanti e coerenti. Un disco che dovrebbe andare in continuazione su tutte le radio, come quando una volta uscivano i dischi di De André o Lucio Dalla. Tutti dovrebbero imparare a memoria “La parte mancante”, “Insolito”, “In quest’aria”; tutti dovrebbero poter far diventare queste canzoni familiari alla propria vita e di consolazione di fronte alle paure, alle ingiustizie, agli amori finiti, alle domande senza risposta. Una fortuna che la nostra generazione ha avuto e che ci ha permesso di condividere un’intera cultura di suoni e accordi. E che ora invece sembra di nuovo preclusa alla Canzone d’Autore. Lo dico da giorni che questo album è un disco “antico”, ma non perché suoni in maniera vecchia. Tutt’altro. Questo è un disco antico perché sembra un vinile dell’RCA italiana, o dell’Ultima Spiaggia di Nanni Ricordi. Nessuno potrebbe mai credere che queste canzoni in realtà sono state registrate nella cucina di Francesco Di Giacomo, a Zagarolo; registrate da Paolo Sentinelli, che intanto prendeva appunti, andando dietro alla vorticosa mente del cantautore romano. Che intesa la loro: che miracolo! Sentinelli si mette sempre un passo indietro; quando gli parli, ti risponde usando un linguaggio “semplice” e dialettale: si schermisce sempre, volge con imbarazzo lo sguardo altrove – anche lui “guarda il mare” come il protagonista della title-track – per non apparire, perché essere davvero bravo lo mette a disagio. E invece, che lo sappia e se lo metta bene in testa: è un musicista straordinario, fuori dal comune; il suo è un cuore ispirato, le sue melodie straziano, commuovono e stupiscono; i suoi arrangiamenti, la sua propensione all’elettronica, le sue code, i suoi cori, certe intuizioni che scendono sulle parole di Francesco come gocce di pioggia magiche… sono tutte soluzioni uniche. L’incontro con Francesco è stato perfetto: ma che non perda mai questa capacità visionaria, che ha saputo di pancia e d’amore interpretare la poesia di Francesco. Nulla impedisce di trovarla ancora. Come fatto nuovo, come quando arriva un amore. E poi c’è Francesco Di Giacomo, il suo dialogare con la vita e con un mondo spesso estraneo. C’è Francesco Di Giacomo e la sua scrittura miracolosa, la sua capacità di inventare giochi con le parole, la sua straordinaria duttilità nel travolgere il senso e i significati, arrivando sempre al punto. Senza sbagliare il ritmo interiore del parlare, dello scrivere, del dialogare. E del cantare. Diventa difficile anche estrapolare passaggi particolari. Ma certe idee apparentemente complesse - perché così profondamente interiori - arrivano subito allo scopo, senza intermediazioni, senza inutili fronzoli, come le immagini di un film, o le nuvolette elettrizzate dei fumetti, come un’illustrazione particolarmente felice con la china. Le canzoni di Francesco Di Giacomo sono immagini disegnate e in alcuni momenti diventano come pale d’altare medievali. Sono poesia che mentre suona e canta ti permette di vedere cosa hai intorno e ti strazia fisicamente l’anima. E so bene che a leggere questa recensione si penserà che ho esagerato. Proprio per questo era necessaria la premessa: per evitare che qualcuno lo pensi. Non ho esagerato affatto. Ma forse, per usare espressioni care a Francesco, è più semplice di così: forse in questo mare di “ingenialità” in cui viviamo, diventa esagerato tutto quello che ci è “congeniale”. Come “La parte mancante.” Come Francesco Di Giacomo.


Elisabetta Malantrucco

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