La spiritualità dell’Armenia cristiana permea il secondo lavoro solista di Areni Agbabian: «La musica armena fa parte del mio DNA, mi parla a un livello spirituale difficile da spiegare. Questa musica sacra ha mutato la mia vita e mi ha fatto conoscere Dio, attraverso i racconti biblici della resurrezione, scritti in grabar (l’armeno classico), che hanno cambiato il mio cuore. A livello intellettuale, è probabilmente più difficile di qualsiasi altra musica io abbia studiato, compresa la musica classica europea. La musica armena, con le sue microtonalità, è una sfida per la memoria a livello linguistico e ritmico. Da quattro anni mi esercito nello studio e nella pratica della musica sacra armena. È musica che richiede comprensione del tempo rituale ed un ascolto cosciente che coinvolge tutta me stessa».
Cresciuta a Los Angeles in seno ad una famiglia armena, la cantante, pianista e compositrice si è fatta conoscere negli anni scorsi soprattutto attraverso le registrazioni ed i concerti nei gruppi del pianista Tigran Hamasyan. La storia del suo nuovo album (il primo, “Kissy(Bag)”, risale al 2014) comincia con Manfred Eicher, che invita Areni Agbabian a considerare per l’incisione l’Auditorio “Stelio Molo” della Radio Svizzera Italiana a Lugano. Durante la visita, Nicolas Stocker stava incidendo con Nik Bärtsch. «Mi ha colpito la sua gentilezza e come fosse in grado di estendere la gamma di colori delle sue percussioni con campane e gong davvero unici» – ricorda Agbabian – «ne è nata la collaborazione che ci ha visti impegnati per alcune settimane prima dell’incisione, sia a Los Angeles, sia a Zurigo. Ho suggerito di aggiungere alcune percussioni al suo set, per esempio delle campane tibetane e in alcuni brani ho utilizzato il piano preparato che ci poneva entrambi nella condizione di percussionisti, specie in “The Water Bride”». “The River” è, di fatto, pura improvvisazione a due e da questa improvvisazione è emerso il groove poliritmico della sua composizione “Colored”. Stocker è autore anche di una seconda composizione inclusa nell’album, “Light Effects”.
Il filo conduttore fra I brani di “Bloom” è l’essenzialità degli elementi musicali e il senso di capacità introspettiva che comunicano, evidente in canzoni come “Patience” e “Mother,” così come nell’inno sacro armeno “Anganim Arachi Ko” e nell’interpretazione di “Garun a”, melodia tradizionale a suo tempo raccolta e arrangiata da Komitas, l’etnomusicologo e compositore simbolo del genocidio armeno, di cui ricorrono quest’anno i 150 anni della nascita. Ancora più esplicito, è il filo conduttore della melodia cristallina che lega tre brani “Petal One,” “Petal Two” e “Full Bloom”. A due terzi dell’album avviene, invece, una sorta di pausa: “The Water Bride” propone l’ascolto di una fiaba tradizionale che non viene cantata, ma semplicemente letta.
Anche Manfred Eicher ci mette lo zampino: il risultato del suo intervento sono “Rain Drops”, nella parte iniziale, e “Whiteness”, nella parte finale dell’album. «Mi ha suggerito di suonare un accordo di mi bemolle e di trovare un modo di risalire la tastiera in modo arioso verso i toni più acuti. Ha condotto lui stesso questi momenti durante le registrazioni in studio».
Alessio Surian
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