Suonno d'ajere – Suspiro (Ad Est dell’Equatore, 2019)

Con l’espressione ‘canzone napoletana’ si intende quella produzione d’autore che si afferma a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, aspetto significativo della nuova cultura urbana. Principalmente a quel periodo, cosiddetto ‘classico’, si rivolge Suonno d’Ajere, nome naturalmente di ascendenza danielana per il trio (com’è noto, il brano è contenuto nel primo album di Pino Daniele, “Terra Mia”), che allinea la voce di Irene Scarpato, il mandolino e mandoloncello di Marcello Smigliante Gentile e la chitarra classica di Gian Marco Libeccio. Sono musicisti che hanno attraversato percorsi musicali variegati, dal jazz alla formazione classica di conservatorio alla tradizione popolare. La scelta della strumentazione richiama gli assetti strumentali della ‘posteggia’ del primo Novecento mediata dalla proiezione più classica. Senza imbarazzo, tra i loro astri di riferimento canori i Suonno d’ajere citano nomi che contano nella storia della canzone, da Nino Taranto a Gilda Mignonette, da Ria Rosa ad Angela Luce. Ancora, guardano a Murolo e Bruni: stili e modalità artistiche diverse, ma senza dubbio numi tutelari imprescindibili a cui rivolgersi se si intende carpire modelli di interpretazione. “Suspiro” è l’esordio discografico dopo tre anni di studio sui repertori e di numerosi concerti. Il programma presenta dieci titoli, registrati all’Auditorium Novecento, negli storici ambienti dove nacque la Phonotype Record e dove è passata molta della storia musicale della città dai tempi della riproduzione meccanica dei suoni. Per i Suonno d’ajere non si tratta di mettere mano a una mera riproposta di evergreen all’ombra del Vesuvio, ma di compiere una scelta attenta dettata dallo studio ragionato delle fonti e dell’espressione, che tocca tanto la dizione della lingua napoletana quanto la dimensione storica e di scelta dei repertori. Loro mentore il noto compositore e musicologo Pasquale Scialò (di recente autore di un importante primo volume di una “Storia della canzone napoletana (1824-1924)” che nelle note introduttive al disco ben si spende per un trio «che respira insieme dal minimo sussurro al pieno»: parole che centrano la cifra degli affiatati Suonno d’ajere, la cui ricerca raffinata fa trapelare un gusto retrò ma, soprattutto, un equilibrio di modi, di certo in controtendenza con eccessive pronunce world. Determinata e credibile per presenza scenica e molteplicità timbrica la voce femminile, che sa essere scura e impetuosa, ma anche ironica e ammaliante (Scarpato vanta anche un riconoscimento della critica al Premio Bianca d’Aponte), mentre le corde dei due strumentisti, mediando tra espressività e virtuosismo, si cercano, si appoggiano l’uno all’altro, si muovono in controtempo. Il trio non poteva iniziare meglio che con la serenata “Scétate” di Ferdinando Russo, in cui Scarpato fa prevalere l’impeto popolare, mentre i plettri ora assecondano l’armonia ora si fanno incalzanti. Il programma prosegue con la digiacomiana “Serenata Napulatana”: il canto si fa più teso, così come il pathos. C’è l’ironica lingua vivianea di “’O Guappo ‘nnammurato”, di cui rammentiamo l’indimenticabile interpretazione di Nino Taranto. Ci spostiamo di una dozzina d’anni per la minimale “Silenzio Cantatore” di Libero Bovio: un capolavoro, secondo Luigi Pirandello. Canto pieno e fiero su andamento andaluso in "E ppentite", dello stesso autore. Si accomodano, poi, la marcata teatralità di “Nun è Carmela Mia” e l’irresistibile briosità di “’A Casciaforte”, sulla scia di Carosone e Murolo. Sale di nuovo la tensione con un altro numero eccellente, “Num me scetà”, dove si mettono in circolo essenze fadiste. A questo punto il trio vira verso la seconda metà del Novecento, cantando l’amore che non c’è più di “’A Bonanema ‘e ll’ammore”, in cui Scarpato si fa sciantosa, appoggiandosi alle corde che si aprono ad echi sonori d’oltreoceano. Infine, i Suonno d’ajere si congedano con l’inedito “Suspiro”, firmata da Smigliante Gentile, un’ipotesi riuscita di combinazione di portamento classico napoletano e nobili moduli contemporanei d’autore. 


Ciro De Rosa

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