Il 26 e 27 settembre 2018, gli studi Wisseloord ad Hilversum hanno ospitato un quintetto d’eccezione, il Madar Ensemble, raffinata connesione fra musiche della sponda sud del Mediterraneo e della Mesopotamia, che la registrazione e il missaggio di Fieke van den Hurk, ci restituisce con una presa di suona particolarmente pulita e attenta alle sfumature. Nasser Salameh è fra i percussionisti giordani più seguiti: le sue video-lezioni di darbuka hanno superato il milione di visioni nel canale didattico Izif. Originario di Sousse, porto tunisino, Jasser Haj Youssef ha scelto di vivere in Francia, base che rende più agile alla sua viola d’amore partecipare ai numerosi progetti artistici in cui è coinvolto. Nei Paesi Bassi hanno incontrato l’ud del palestinese Nizar Rohana, il clarinetto di Maarten Ornstein e il contrabbasso e il violone di Tony Overwater. “Acamar” presenta undici composizioni originali. Fatta eccezione per Salameh, gli altri quattro membri di Madar si sono presi cura delle composizioni, con un’equa distribuzione dei compiti e un brano (“Furud”) firmato a otto mani.
“Madar Bayati” apre l’album in modo solare con le percussioni di Nasser Salameh che dialogano con la viola di Haj Youssef e l’ud di Rohana, che ha anche composto il brano, in continuità con la raffinatezza che contraddistingue i suoi precedenti lavori. Al solo clarinetto di Maarten Ornstein è affidato “Sofia”, il secondo brano, senza fronzoli, dispiegando progressivamente il nucleo melodico e il suo rapporto con le pause, prima di chiudere sottovoce per lasciare spazio alla seconda composizione di Rohana, quella che dà il titolo all’album e che, anche in questo caso, mette in evidenza le voci soliste appoggiate dal bell’intreccio fra ud e percussioni. La parola “Acamar” deriva dalla frase araba “Ākhir an-nahr” (“L’ultima parte del fiume”) ed è il nome di una stella nella costellazione Eridano, sinuosa linea di stelle dell'emisfero celeste australe, collegata dagli antichi astronomi ai fiumi che attraversano le regioni Mediterrane e del Medio Oriente, dal Nilo, al Po all’Eufrate. Un nome che ben si abbina al significato di Madar: orbita e che si riflette nella fluidità con cui il quintetto interpreta il brano e calibra gli abbinamenti fra gli strumenti che danno spessore alle parti melodiche. Con “Silence” la scena è tutta per le sei corde della viola d’amore di Jasser Haj Youssef: il titolo è indovinato per un brano che riprende il precedente dialogo di Ornstein con l’arte della pausa e mette in luce i diversi aspetti timbrici dello strumento, senza mai rinunciare al registro narrativo. “Abakua” (di Overwater) permette a clarinetto, ud e contrabbasso di esplorare una dimensione più marcatamente cameristica, mentre “Furud” cambia registro e propone un emozionante crescendo nel dialogo fra il trio di corde, Rohana, Overwater e Haj Youssef.
Fatta la conoscenza con le varie soluzioni timbriche del quintetto, i quattro brani della seconda parte dell’album mettono le ali e proiettano l’album in orbita, prima di adagiarlo dolcemente sulle colline di Delfi con la delicata composizione finale di Overwater “Hills of Delphi”.
Alessio Surian
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