Per un’Accademia rinnovata e aperta al confronto
Il teatro è vita: «Attraverso il teatro io penso tutto il resto», diceva. Era per lui azione artistica e culturale da diffondere a vari livelli con conferenze, mostre e dibattiti, dedicati alla contemporaneità e alle questioni internazionali. Un teatro concepito anche come efficiente macchina produttiva, il cui funzionamento richiede competenza, creatività, diplomazia e concretezza manageriale, soprattutto riferita alle leggi del mercato e della politica. In venticinque anni alla guida del Piccolo, vennero allestiti circa centocinquanta spettacoli, con ottomila repliche e tournée in quasi duecento realtà internazionali, riferite a trenta diverse nazioni. Nel giorno della commemorazione della “Liberazione”, nel 1972, Paolo Grassi lasciò la guida del “Piccolo”, dopo averlo portato ad affermarsi in tutto il mondo per le sue peculiarità. Una notorietà conquistata anche in ambito professionale, grazie alla costituzione dell’“Accademia di Arte Drammatica” (1951), destinata alla formazione degli operatori di settore (regia, recitazione, organizzazione dello spettacolo ecc.), strutturata e concepita secondo modelli innovativi e aperta al rapporto con le attività produttive del mondo teatrale, cinematografico e televisivo. Sin dai primi anni Cinquanta, Grassi si adoperò per il riconoscimento dell’Accademia da parte del Comune di Milano. Oggi la “Scuola Civica di Teatro” porta il suo nome. Negli anni, diversi direttori si succedettero, tra i quali ricordiamo Roberto Leydi, dal 1976 al 1985. I due intellettuali operarono in sintonia. Ci limiteremo a ricordare le rappresentazioni di “Milanin Milanon” - che vide tra gli interpreti Sandra Mantovani -, e di “Sentite buona gente”, curato dall’etnomusicologo per la stagione 1966-1967 del “Piccolo”, con la consulenza di Diego Carpitella e la regia di Alberto Negrin. Allo spettacolo parteciparono gruppi di esecutori popolari provenienti da diverse regioni italiane. Riteniamo che l’esperienza teatrale e culturale promossa da Grassi e da Strehler, negli anni Cinquanta, fu di particolare stimolo per l’attività di ricerca di Leydi, come pure il fitto rapporto intessuto con numerosi intellettuali (di varia estrazione e provenienza) all’epoca gravitanti su Milano. Leydi, al pari di Grassi, era animato dall’idea di una promozione ad ampio raggio della cultura popolare, nell’alveo del cambiamento e di una riflessione critica, grazie alla quale si riteneva fosse importante dare voce anche agli esecutori della musica popolare, un obiettivo conseguito, negli anni Sessanta, con tutto il Gruppo di lavoro e di ricerca denominato “Nuovo Canzoniere Italiano”.
Entrambi i due intellettuali operarono a favore di un’Accademia capace di entrare nel vivo della “practica” quotidiana, stimolando creativamente un continuo confronto con i massimi esperti del settore. Un’Accademia intesa e strutturata secondo i principi della cultura laboratoriale, in cui la teoria si apprende stando a diretto contatto con i Maestri e con gli operatori esperti del settore, perché il teatro è vita, è “continuous learning” e, in quanto tale, richiede di essere vissuto come attività espressiva in costante aggiornamento anche per quanto riguarda il raffinamento delle tecniche da utilizzare per fini rappresentativi e di ricerca. Grassi dialogò e cercò confronti e collaborazioni con diverse altre realtà teatrali sparse nel territorio nazionale. Ricordiamo, ad esempio, il rapporto avuto con Eduardo De Filippo (e la “Società Teatrale Napoletana”) per la riapertura del “Teatro San Ferdinando” e i gemellaggi con il “Teatro di Venezia” e il “Teatro Pubblico Pugliese (regionale)” di Bari. Come non ricordare, inoltre, l’impegno profuso da Grassi per la salvaguardia del “Teatro Gerolamo”, situato nel centro di Milano, dove erano attivi i marionettisti della famiglia Colla? Il Teatro era destinato alla demolizione, fu salvato e, negli anni Sessanta, divenne un importante centro anche per la diffusione della tradizione teatrale dialettale, nel segno di un rinnovato confronto critico tra la cultura locale e le profonde trasformazioni che caratterizzarono lo sviluppo sociale del capoluogo lombardo in quegli anni. Dopo adeguata ristrutturazione, nell’aprile del 1958, il Teatro riprese le attività con la rappresentazione de “L’opera del pupo” di Eduardo De Filippo. Di recente, il “Gerolamo” è stato nuovamente ristrutturato e, nel 2017, ha ripreso le attività.
La sede di via Rovello e l’attività giornalistica
La sede del “Piccolo Teatro”, situata in via Rovello, a breve distanza dal Castello sforzesco e dal Duomo, venne ricavata sistemando a spese del Comune l’ex cinema “Broletto”, la cui capienza era di circa cinquecento posti. Per l’inaugurazione venne rappresentato “L’Albergo dei poveri” di Maksim Gor’kij. In quegli anni si guardava con vivo interesse alla produzione letteraria e artistica russa e la stessa denominazione di “Piccolo” venne ricavata da un adattamento italiano di “Maly Teatr”, prestigioso teatro moscovita. Oltre a Grassi e Strehler, figura decisiva per la gestione amministrativa del “Piccolo” fu Nina Vinchi, che si distinse oltre che per doti professionali anche per capacità d’interlocuzione e di mediazione tra i due principali protagonisti dell’attività artistica. In “Paolo Grassi, Senza un pazzo come me, immodestamente un poeta dell’organizzazione” (a cura di Fabio Francione, Skira, 2019), abbiamo esaminato la Relazione inviata dall’amministrazione del “Piccolo” alla Vice Presidenza del Consiglio (a Roma), il 5 febbraio del 1947, dalla quale è possibile evincere tutta una serie di dati oggettivi, tra cui gli scopi di promozione sociale che trovavano riscontro pure nell’azione calmierata della vendita dei biglietti:
«I prezzi del Piccolo Teatro della città di Milano saranno alquanto inferiori a quelli dei teatri a gestione privata e sarà cura del Comune offrire varie recite a prezzi popolarissimi per le classi meno abbienti». Con un certo entusiasmo espositivo, nel testo viene pure evidenziato che «… si tratta del primo teatro a gestione municipale d’Italia in cui un comune prenda una iniziativa di tale genere, nel settore della cultura e in cui ogni speculazione privata viene tassativamente esclusa» (la sottolineatura è nel testo). Il Teatro si dotò subito di una compagnia stabile composta da sei attori principali e altrettanti per i ruoli minori. Inoltre, è interessante leggere il preventivo di spesa contabile, nel quale furono previsti 6.750.000 di uscite, circa 4.950.000 di entrate e un disavanzo di circa 1.800.000 lire. Vennero, quindi, richiesti ulteriori sovvenzionamenti pubblici, specificando la trasparenza dei resoconti finanziari, in quanto l’amministrazione del “Piccolo” sarebbe stata controllata dalla Ragioneria municipale, da revisori dei conti, dalla Prefettura e dal Comune di Milano. Venendo brevemente a scrivere dell’attività giornalistica, si ricorda che Paolo Grassi, per diversi anni, operò come critico teatrale per l’ “Avanti!”. Gli articoli sono stati raccolti in un libro curato da Carlo Fontana (Skira 2009). A cura di Guido Vergani, invece, sono state ordinate le comunicazioni epistolari comprese tra il 1942 e il 1980 (Skira, 2004). Tra gli articoli, ci sembra utile menzionare quello pubblicato il 25 aprile del 1946 (data simbolica): «Teatro, pubblico servizio. Se vogliamo salvare il nostro teatro di prosa da una lenta morte, è necessario prendere urgenti provvedimenti di ordine strutturale ed economico». In sei colonne, venne illustrato il pensiero dell’autore, il quale evidenziò la profonda crisi delle compagnie teatrali e di come il teatro sarebbe dovuto essere pubblicamente valorizzato, essendo «… fra le arti più idonee a parlare al cuore e alla sensibilità della collettività… strumento di elevazione spirituale e di educazione culturale a disposizione della società». L’anno successivo, il “Piccolo” divenne realtà, grazie anche al sostegno del sindaco Antonio Greppi. Sul numero di gennaio-marzo de “Il Politecnico”, venne pubblicata la “Lettera programmatica per il P. T. della Città di Milano”, a firma di Grassi, Strehler, Apollonio, Tosi. In prospettiva, veniva espresso l’intento di allargare il pubblico di sala, coinvolgendo attivamente la cittadinanza (non teatro “chiuso a una cerchia di iniziati”), avendo la consapevolezza e l’ambizione che un «… domani ogni comune grande e piccolo avrebbe potuto imitare il nostro “Piccolo Teatro”».
Un “teatro d’arte” - stabile, pubblico, sociale - dotato di una rigorosa struttura amministrativa e organizzativa, capace di guardare oltre la città, per affermarsi a livello nazionale e internazionale, quale accreditata struttura artistica per la promozione drammaturgica.
Grassi s’impegnò come artista e attivista politico. Rimase alla direzione del Piccolo sino al maggio del 1972, conducendo decisive battaglie a favore di un teatro pubblico “di tutti e per tutti”, ma il conseguimento degli obiettivi richiese sacrifici, in primis quello di rinunciare ad affermare le proprie doti creative, che aveva iniziato a coltivare come attore, regista e critico tra la fine degli anni Trenta e la fine del ventennio fascista. Grazie al “Piccolo”, Milano conquistò (anche) nel teatro di prosa un ruolo rilevante nella scena mondiale.
Dall’infanzia fino alla fine della seconda Guerra
Paolo Grassi nacque a Milano, il 30 ottobre 1919. Il padre Raimondo era giornalista, originario di Martina Franca (TA), cittadina alla quale la famiglia restò sempre affezionata, come evidenziato in un’intervista particolarmente “friendly” rilasciata a Dacia Maraini nel maggio del 1972: «Dell’infanzia rimpiango … le vacanze in Puglia. La scoperta della civiltà contadina… La dimensione umana da noi ormai perduta. Un rapporto diverso con gli uomini, con la natura. Un rapporto più intenso, più profondo. Rimpiango le gioie della conversazione, il piacere delle notti passate all’aperto, seduti a parlare, a fumare. È un piacere che a Milano non si riesce nemmeno a immaginare». La madre, Ines Platesteiner, parmense, era originaria di Fiorenzuola d’Arda ed era amante di musica lirica. Sin da ragazzo, Grassi si appassionò al teatro durante gli studi liceali (al “Parini”). Nel 1937, iniziò a scrivere come critico nel “Sole” di Milano, giornale in cui lavorava il padre. Nello stesso anno intraprese le prime esperienze artistiche come regista. Entrò, poi, nella “Compagnia della Commedia” diretta da Gian Maria Cominetti e, nel 1940, come organizzatore, in quella di “Ninchi-Dori-Tumiati”. Nel 1941, fu tra i fondatori del “Palcoscenico”, sodalizio del quale fecero parte Giorgio Strehler (inseparabile amico, conosciuto alcuni anni prima) e Franco Parenti. Nell’ottobre del 1941, curò la regia de “Gli interessi creati”, di Giacinto Benavente, con la compagnia di Marcello Giorda, debuttando al Teatro “Quirino” di Roma. Lo spettacolo non ricevette critiche entusiasmanti. Alla fine dello stesso anno, venne arruolato. Riprese le attività culturali nel 1944, tra l’altro dirigendo le collane teatrali delle case editrici “Rosa & Ballo” e “Poligono”.
In ambito editoriale, nei decenni successivi, curò pure la direzione d’importanti Collane edite da Einaudi e Cappelli (rispettivamente “Collezione di Teatro” con Gerardo Guerrieri e “Documenti di Teatro” con Giorgio Guazzotti).Nel 1945, dopo il rientro di Strehler a Milano, promossero il circolo culturale “Diogene”, ponendo al centro della discussione i temi concernenti il rinnovamento teatrale negli anni della ricostruzione post bellica.
Scala, RAI ed Electa
Dalla Liberazione fino al marzo del 1947, operò come critico teatrale e redattore dell’ “Avanti!”. Il primo articolo venne titolato “Teatro e popolo” (30 aprile 1945), l’ultimo “Il Piccolo Teatro della città di Milano” (22 aprile 1947). Nel 1944, sposò la musicista Enrica Cavallo, da cui si separò nel 1947. Si risposò nel 1949 con Carla Bernardi, dalla cui unione nacque Francesca. Dopo la separazione, convisse a lungo con l’attrice Gabriella Giacobbe. Nel 1978, si sposò con Nina Vinchi. Nel febbraio del 1972, succedendo ad Antonio Ghiringhelli, venne chiamato a ricoprire il ruolo di Sovrintendente del “Teatro alla Scala”. Fu stretta la collaborazione con Claudio Abbado e Massimo Bogianckino, i quali si riproposero di riportare il Teatro meneghino ai massimi livelli artistici, ridandogli una centralità all’interno delle attività municipali, intessendo dialogo con le principali attività sociali, culturali, produttive e istituzionali della città e con i rappresentanti istituzionali di nazioni estere. Giunto ormai al termine dell’incarico, Grassi ebbe modo di sintetizzare i risultati conseguiti, in un articolo pubblicato sul “Corriere della sera” il 25 aprile 1976, titolato “L’ora dei chiarimenti”, tra cui l’accesso al Teatro a un nutrito pubblico composto da giovani e lavoratori, grazie a innovativi accordi sindacali; l’istituzione di archivi e di un centro per migliorare il funzionamento della struttura amministrativa; il rinnovamento della convenzione tra Comune e Teatro (l’ultima risaliva al 1929); la realizzazione di un impianto televisivo e radiofonico a circuito chiuso. Naturalmente, la sua attività scaligera meriterebbe una ben più vasta trattazione, soprattutto per quanto riguarda le scelte prettamente musicali, nelle quali si diede discreto spazio a compositori contemporanei, quali Luigi Nono, Bruno Maderna, Salvatore Sciarrino, Pierre Boulez. Alla “Piccola Scala”, Luciano Berio fu coinvolto in un ciclo di conferenze-concerto, in cui Roberto Leydi e Sandra Mantovani illustrarono i rapporti tra la musica popolare e la musica d’arte.
A seguito di discussioni infinite, in cui decisivi risultarono i rapporti politici interni all’istituzione melodrammatica, Grassi consegnò la lettera di dimissioni, il 9 aprile del 1976. Nel gennaio del 1977, a Roma, venne nominato Presidente della RAI, carica che ricoprì per alcuni anni, nei quali venne istituita “Rai 3”, che rispondeva all’esigenza di un decentramento operativo, per garantire maggior visibilità alle diverse realtà locali. La rete iniziò le trasmissioni nel dicembre del 1979, di poco successiva fu l’istituzione del “TG3”. La sua esperienza “romana” fu ricca di esperienze professionali, ma si concluse, nel 1980, con interviste pubbliche in cui manifestò “disgusto” nei confronti della “iperpoliticità” che attanagliava la gestione dell’Ente. Tra il 1979 e il 1981, Grassi divenne Presidente della casa editrice “Electa”. Tra i titoli e le onorificenze, ricordiamo che fu anche Presidente della Sezione Italiana dell’ “Istituto Internazionale del Teatro” (ITI), Presidente del “David di Donatello”, Presidente onorario del Premio “Dino Ciani” e componente della Commissione italiana dell’UNESCO. Inoltre, gli vennero conferiti i titoli di “Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito” della Repubblica Italiana, la “Legion d’Onore” e altri titoli internazionali dal Governo francese e da quello tedesco. Prematuramente, passò a miglior vita il 14 marzo 1981, a Londra, dove si era recato per sottoposi a un delicato intervento al cuore. Il giorno dei funerali, Strehler, rivolgendosi all’amico di una vita disse: “Gli uomini come te, Paolo, non si commemorano, si ricordano, si amano, si capiscono, quando se ne è capaci”.
In memoriam
Paolo Grassi appartiene a quella che siamo soliti denominare “great italian generation”, costituita da uomini e donne che, nel secondo dopoguerra, con grinta, entusiasmo, concretezza e creatività, secondo personale sensibilità, portarono ai fasti un’intera nazione. Il loro agire dovrebbe essere valorizzato presso le giovani generazioni. In ambito culturale è certamente questo uno degli obiettivi che persegue la “Fondazione Paolo Grassi”, operativa sin dal 2006 (venticinquesimo dalla scomparsa), nella quale è impegnata anche la figlia Francesca, Coordinatrice del “Paolo Grassi Centenario”, per il cui ricordo sono previste numerose attività che si concluderanno, il 30 ottobre del 2019, presso il Foyer del “Teatro alla Scala”. Una data da annotare, in cui si renderà doveroso omaggio a uno dei più importanti protagonisti italiani nel mondo del teatro, della musica e dello spettacolo, simbolo di un’intera generazione. Un combattivo artista, “poeta dell’organizzazione” che, passionalmente, difendeva e “amava quello che faceva”. Con ingegno, onestà intellettuale e senso dello Stato seppe indicare una strada per valorizzare il teatro in cui, da tempo immemorabile, si narrano gioie e dolori terreni. Un teatro per amare la vita che si apprezza giorno per giorno, ponendosi obiettivi a lungo termine. Una lezione di cui far tesoro soprattutto nelle dinamiche società odierne, sempre più “glocalizzate”, in cui riteniamo sia fondamentale promuovere dialogo e confronto internazionale, tenendo in debito conto la ricchezza e la specificità culturale delle singole comunità.
Paolo Mercurio
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